VAL DI ZOLDO, la valle dei ciodarot o dei gelatai?
VAL DI ZOLDO, la valle dei ciodarot o dei gelatai?
I territori della Val di Zoldo sono ricchissimi di storia: dalle antiche vie del ferro ai carbonai di Zoppé, dai tintori da guado della valle di Goima ai ciodarot, ai gelatai.
Forse
oggi gli Zoldani sono conosciuti come eccellenti gelatai ma quanti
sanno che questa specializzazione artigianale è la conseguenza
delle migrazioni di massa di inizio Ottocento.
Comunque
pure nei secoli precedenti i cadorini avevano cercato lavoro lontano
da casa, come semplice manodopera scesa in veste di zatéri
per arrivare negli squeri
o all'Arsenale di Venezia per esercitare l'arte di "maestro
d’ascia" o di esperto nelle "arti meccaniche", tutti
mestieri per i quali gli zoldani erano molto ricercati ed apprezzati.
Molti
altri invece raggiunsero, sempre ai tempi dell' impero
austro-ungarico nella seconda metà dell’Ottocento, le miniere ed i
cantieri dell' Europa centro-orientale.
Nello
stesso periodo alla figura dello zoldano, boscaiolo e fabbro, veniva
associato quello di venditore ambulante, attività in cui seppe
distinguersi, come era stato per esempio la famiglia Colussi,
originaria di Pianàz, emigrata a Venezia nel 1700 dove aprì un
forno per fare biscotti che vendeva nei mercati.
Anche oggi sulle scatole di latta dei
Baicoli Colussi, secondo la tradizione veneziana, si possono leggere
questi versi "No gh’è a sto mondo, no, più bel biscotto,
più fin, più dolce, più lisiero e san per mogiar nela cìcara o
nel goto del Baicolo nostro Veneziàn" che tradotto
significa "Non c'è a questo mondo, no, più bel biscotto, più
sottile, più dolce, più leggero e sano da intingere nella tazzina o
nel bicchiere del baicolo nostro veneziano".
Alla
fine dell'800 ebbe inizio anche l'emigrazione verso le Americhe,
soprattutto del Centro e del Sud, e dove arrivavano a fondare una
comunità veneta o cadorina si preoccupavano di mantenere vivo il
ricordo della lontana terra natale con il parlare il dialetto o
facendo conoscere certe tradizioni enogastronomiche ai loro figli e
nipoti.
In quel periodo era facile trovare gli
zoldani nelle piazze delle città dell’Impero, c'erano pure in
piazza S.Marco, con le loro caudiere delle susine , delle albicocche
e delle pere caramellate infilate in quei lunghi "stecchi"
di legno o con le ceste di biscotti; poi iniziarono a vendere
"sorbetti" con i caratteristici carrettini, e nel periodo
fra le due guerre non c’era città d’Europa che non contasse
almeno una gelateria zoldana. Non inventarono il gelato, come quello
che consumiamo oggigiorno, ma affinarono la tecnica di produzione
sapendo usare magistralmente gli ingredienti base e le materie prime
naturali. Hanno trasformato un prodotto in origine di elite in un
alimento "popolare", portantolo con i loro carrettini nelle
strade. Oggi il loro gelato è conosciuto ed apprezzato in tutto il
mondo.
Questo era il passato recente. Ma è
doveroso ricordare quel passato (quasi remoto) che caratterizzò l'
economia della Val zoldana fino alla caduta della Serenissima.
L'attività "siderurgica"
sarebbe stata attiva fin dal 1200, secondo documenti della metà del
1300, tanto che a Forno esisteva un forno definito "vecchio",
dove forse veniva fuso il ferro estratto a Dont, o più probabilmente
la pirite proveniente dalle miniere di Val Inferna, attive già
nell'anno Mille.
Nella metà del 1500, Zoldo contava
circa 1700 anime e l'attività di fusione e di lavorazione del ferro
nella vallata aveva raggiunto livelli tali che oggi verrebbero
considerati "industriali": tre altiforni per la fusione del
minerale, una decina di forni di seconda fusione per la produzione di
acciaio e ferro dolce, più un numero imprecisato di fusinèle
(fucine che sfruttavano come forza motrice la corrente del torrente
Maè) che fabbricavano più di 400 tonnellate di chiodi e attrezzi di
lavoro all'anno.
Dal 1200 al 1600, soprattutto sotto la
Repubblica di Venezia, la valle di Zoldo ebbe il periodo di massimo
sviluppo della lavorazione del ferro (quando si ridusse l’attività
estrattiva), ciò giustifica i simboli dell' incudine e del martello
che compaiono sullo stemma dell' ex municipio di Forno di Zoldo.
La
Serenissima veniva rifornita di chiodi di ogni forma e dimensione e
per ogni utilizzo, dalle piccole broche
per le suole delle scarpe ai grandi ciòdi
da barca per fissare il fasciame delle navi, fino agli enormi
somesàt,
lunghi più di un metro, per le travature dei moli. Venivano
trasportate a dorso di mulo fino a Codissago, poi caricate sulle
zattere che scendevano la Piave per arrivavare in laguna.
I
chiodi di ferro sono stati per qualche secolo il prodotto distintivo
dello Zoldano.
Dal 23 febbraio 2016 il Comune di Forno
di Zoldo si è fuso con quello di Zoldo Alto per formare il nuovo
comune di Val di Zoldo.
Contributi
Il museo del Ferro e del Chiodo -
Forno di Zoldo
Il Museo del Gelato
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