IL RISORGIMENTO LA PIETRA TOMBALE DELL'ITALIA

I tanti problemi che ancora oggi azzoppano il nostro paese sono nati quando è nata l’Italia. Si può riassumere così, con un piccolo gioco di parole, la tesi di fondo dell’apprezzabile saggio Risorgimento disonorato di Lorenzo Del Boca, ristampato nel 2016 dalla casa editrice Utet. La narrazione, singolarmente felice nel piglio giornalistico della scrittura, è divisa in nove quadri, corrispondenti ai capitoli, in cui ogni volta si affronta un episodio o un protagonista diverso del Risorgimento. La storia dell’unità d’Italia, al di là della retorica e delle mistificazioni, mostra così il suo vero volto: quello, cioè, di un’impresa di masnadieri e truffatori, tutta boria e presunzione, i quali, più che spendersi in favore di una crociata per la libertà, si sono fatti in quattro per garantirsi un proprio meschino tornaconto.
Oggi come ieri lo scenario sembra non essere cambiato in nulla. La casta di cui si fa gran parlare non è una novità, ma è la diretta discendente di quella oligarchia liberale a capo del Piemonte che ha dato il la al saccheggio e alla spoliazione della penisola. Il fine, come sempre in questi casi, giustifica i mezzi: il Risorgimento non fu l’inizio dell’Italia ma la sua pietra tombale.
Del Boca mette tra parentesi i problemi strettamente legati al cattolicesimo e, in generale, alla lotta contro la religione condotta da Garibaldi, Cavour e compagnia bella, per concentrarsi sui retroscena politici ed economici di un’unificazione dannosa e, soprattutto, non voluta dal popolo.
Si scopre, ad esempio, che la trattativa Stato-mafia è cominciata con l’ingresso dei garibaldini a Napoli, scortati dagli uomini della camorra; che Callimaco Zambianchi, più che un patriota, era un macellatore di sacerdoti; che il Regno di Sardegna, nonostante la pretesa superiorità morale, era uno stato con un tasso di criminalità piuttosto alto, dove non mancarono clamorosi episodi di connivenza tra banditi e forze dell’ordine.
Ma non è finita qui: il massacro di Bronte racconta la storia terribile di come le camicie rosse, disinteressate a liberare i siciliani dei latifondisti oppressori, volessero solamente compiacere il potente di turno (in questo caso gli inglesi, non meno stranieri degli austriaci); Mazzini, “padre della Patria”, non si faceva scrupoli a raccomandare i propri amici, e l’oro di Napoli finì nelle tasche di vari lestofanti, inaugurando così la mai risolta “questione meridionale”. Che poi già i primi appalti pubblici fossero truccati, è quasi superficiale rammentarlo, così come non impressiona la brutalità dell’esercito di Cialdini, forte con i deboli e debole con i forti.
Risorgimento disonorato è dunque un volume che merita di essere studiato (tra l’altro, con le sue 150 pagine, è anche una lettura agile). Non tanto e non solo per scoprire il lato oscuro del Risorgimento, ma anche per rintracciare l’origine di quei mali che infestano l’Italia e da cui, dopo tanti decenni, non ci si è ancora liberati. Forse, pare suggerire l’autore tra le righe, questo paese, semplicemente, è irriformabile. Certamente non mancano uomini capaci, ma il cattivo albero potrà mai produrre buoni frutti?

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