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Visualizzazione dei post da marzo, 2017

I VENETI DI BRETAGNA DOPO CESARE

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le navi venete affrontano Cesare Nonostante la grave sconfitta adopera di Cesare e la latinizzazione delle città bretoni, la presenza dei Veneti in Armorica continuò. Esagerando ed amplificando l, une conseguenze della sua vittoria, Cesare aveva adottato uno stile propagandistico, per dar bella prova di sé davanti al Senato per non essere da meno dei successi militari di Pompeo. Nel II secolo d.C. i Veneti sono ancora il popolo più influente tra le tribù della Bretagna, tornati ad essere i "signori del mare" di sempre che dominavano il traffico verso le isole britanniche, commerciando stagno, sale e garum , una salsa speciale a base di pesce. Durante l'occupazione romana è attestato un intenso traffico commerciale con la valle del Reno (la via dello stagno). Nella tavola peutingeriana i Veneti d'Armorica sono ancora presenti quattro secoli dopo la sconfitta. importante indizio circa la loro continuità ed identità.   Nel IV secolo d.C. le loro monete attra

IL CULTO DI SAN MARCO E L'UNITA' DEI VENETI.

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Se vi capita di far due passi tra le stradine di Fonzaso, vicino a Feltre, potreste imbattervi in un affresco murale che credo sia di epoca seicentesca, il quale mostra l'immagine di un San Marco sotto spoglie umane, indice che il culto marciano non era solo, anche nel sentire popolare, prerogativa dei veneti di laguna. E in effetti, se i veneziani si erano impossessati delle spoglie, e ci avevano costruito intorno la magnifica basilica, era per ribadire che da Venezia irradiava la luce che guidava tutto il Triveneto, area in cui il culto dell'Evangelista era diffuso da tempi antichissimi. Marco subì un martirio lungo e crudele. Fu legato ad una fune e trainato da un cavallo per luoghi sassosi e scoscesi, finché il 25 aprile dell'anno 68 l'anima sua entrò nella gloria colla triplice aureola del vergine, dello scrittore e del martire. Così ci narra la Tradizione cristiana. Durante i secoli in quel giorno si celebravano processioni in sua memoria, a cui partecipavano

IN ONORE DELLA DONNA VENETA

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UN MIO VECCHIO PENSIERO PER ONORAR LA  DONA VENETA. Ogni volta che esco dal bosco incantato per partecipare a qualche evento indipendentista sono colpito da loro. Le vedo sempre instancabili, sorridenti, piede di fervore e di amor di Patria, stimolo potente ai loro uomini, darsi da fare ad animare banchetti, ad addobbare sale per conferenze, prendere magari la parola in pubblico, e allora resto ancora più colpito per la loro determinatezza.  Non conoscono tentennamenti, non sono mosse da stupide ambizioni personali, sognano solo una Patria finalmente libera dal giogo che la sta uccidendo.  Hanno a volte i capelli di un bel colore tizianesco, lunghi e mossi dal vento, che agita anche il gonfalone che portano con un nuovo orgoglio, oppure i capelli neri e lisci e nascondono dietro due grandi occhialoni da vista, due occhi ridenti e uno sguardo indomito.  Le guardo e penso che sono le stesse che insegnavano la scrittura nel tempio di Ateste o praticavano i riti antichi del cul

L'AMMINISTRAZIONE DEI DOMINI VENETI

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Di Andrea Da Mosto Bergamo vecchia L'amministrazione dei Domini ai quali la saggia Repubblica concedeva grande autonomia e facoltà di amministrarsi con i propri Statuti, era tenuta dai Rettori nominati direttamente da essa, o dai Rettori nominati per privilegio speciale dai Consigli nobili delle città soggette, o dai Rettori  che varie comunità egualmente privilegiate si nominavano da sé, e infine da Signori investiti di feudo.  Naturalmente i Reggimenti più importanti erano alle dirette dipendenze della Repubblica, che mandava ad amministrarli esclusivamente patrizi veneti, eletti dal Maggior Consiglio dal Senato ed assistiti da Segretati, Cancellieri, Assessori e Ragionati iscritti presso l'Avogaria di Comun e scelti dagli stessi Rettori oppure destinati dal potere centrale.  Prima di partire ricevevano le istruzioni contenute nelle cosiddette Commissioni,  elegantemente legate e miniate. La durata dell'ufficio durava dai sedici ai quarantotto mesi. fatta eccez

"LA LOMBARDIA VENETA" DI G. SCAPINI E LA PRESENTAZIONE DI FOGLIATA

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Oggi mi è arrivato il tanto atteso libro di Gualtiero Scapin Flangini, sfogliandolo stupito e ammirato, penso alla mole di lavoro mostruosa che gli sarà costato. Una vera enciclopedia sulla Lombardia Veneta, e il suo rapporto con Venezia, che ne improntò nel profondo, il modo di vivere, produrre, pensare. Ma ne parlerò ancora piluccando per i miei post nei prossimi mesi.. e anni, a Dio  e a San Marco piacendo (690 pagine ne fanno una piccola enciclopedia).  Ora vi metto pochi paragrafi del grande Renzo Fogliata che, col prof, Lorenzo Somma ha scritto la presentazione (due distinte). Giuro che ho gli occhi lucidi, come spesso succede, quando Ti leggo, caro Renzo! Ogni singola comunità lombarda viene ripagata dalla Deditio con la moneta dell'autonomia e della floridezza economica, che solo uno Stato che rappresenta la più grande via (ad alta velocità, per quei tempi), di collegamento e scambio, tra il mondo nord europeo e germanico ed il Levante greco e turco, tra il mare E

"ANDE' IN MONA!" DEI VENEZIANI AI GESUITI CACCIATI DALLA CAPITALE

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Durante l’Interdetto lanciato da Paolo V contro Venezia, nel 1606, il Doge ed il Senato diedero ordine che i religiosi continuassero a celebrare la messa e gli altri uffici divini e ad amministrare i sacramenti, pena l’espulsione dal territorio della Repubblica. I gesuiti, pur continuando a celebrare i loro consueti uffici si rifiutarono di dir messa sotto pretesto che tale atto non rientrava nei loro obblighi religiosi. In tal modo osservavano l’Interdetto pontificio pur rimanendo nello Stato: ma il Senato deliberò che, avendo trasgredito agli ordini della Repubblica, dovevano lasciare Venezia. Il racconto del loro esodo ci viene fatto da fra’ Paolo Sarpi. “ Li gesuiti di Venezia, intesa la deliberazione, chiamarono tumultuariamente alla chiesa le loro divote, da quali ottennero somma di dinari assai grande, e fecero officio con li capuccini che partendo uscissero processionalmente col Cristo inanzi, per concitare la plebe, se fosse stato possibile. Poi, venuta la sera, d

IL BAILO DI COSTANTINOPOLI COSA FACEVA?

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IL BAILO ZULIANI Era una carica molto ambita in quanto, oltre alla retribuzione dello stato, godeva di entrate varie.  Il bailo, termine tradizionale per indicare l'ambasciatore alla Porta (la corte di Istambul) aveva anche giurisdizione sui veneti che risiedevano nella capitale turca, giudicava sulle liti tra Turchi e Veneti, sovraintendeva alle navi dello stato, aveva alle proprie dipendenze i consolati di Smirne, Salonicco, Canea di Creta e Rodi. Da Costantinopoli arrivò il primo dispaccio nel 1219, il primo di una lunga serie di relazioni che costituiscono fonte di conoscenza della storia europea e non solo, in quanto coglievano tutti gli aspetti di interesse degli stati ove operavano. 

GLI INGIUSTI SIANO PUNITI... ANCHE GLI SBIRRI

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Nella casa a destra di chi guarda la chiesa di S. Clemente in piazza dei Signori a Padova si trova murata la lapide di cui parliamo. In quella casa, nel 1722 vi era un caffè chiamato "bottega delle acque" (come  il Caffè Florian , anch'esso con la antica denominazione di Bottega de le Acque)   assai frequentata dagli studenti della prestigiosa università patavina. All'epoca vi era l'obbligo anche per gli studenti di girare disarmati, e durante la notte tra il 14 e il 15 febbraio alcuni sbirri avevano tolte le armi a quattro di loro.  Gli sbirri erano una specie di polizia municipale dell'epoca, alle dipendenze dei Rettori o Capitani delle città. Godevano a quanto riportano diversi studiosi, di cattiva fama ed erano abbastanza invisi alla popolazione. Tornando alla nostra vicenda, la mattina dopo i birri, al loro passaggio furono dileggiati ed insultati dagli studenti e cinque di loro, la sera, si ritrovarono alla bottega. Passarono di là alcuni di quest

"TROVAVASI IN VERONA UN VILLICO ARMATO DI FUCILE..." SCOPPIA LA RIVOLTA!

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Il rancore popolare ribolle e scoppia il 17 aprile 1797, secondo giorno di Pasqua. " Trovavasi il giorno di Pasqua dirimpetto all'Ospedale Nuovo di Verona un villico armato di fucile. Osservato lo stesso da alcuni soldati francesi, ch'ivi d'intorno giravano, fu da essi circondato, e disarmato del fucile, col pretesto che fosse di fucile francese, e di conseguenza rubato.  Risoluto, il villico pose mano prontamente a un coltello, e ferì nella pancia il Francese che gli aveva levato il fucile, così fieramente che gli caddero le viscere in terra, e sul momento morì. Erano intanto accorsi vari soldati Schiavoni, mentre gli altri Francesi avevano arrestato il Villico; e quegli intimarono a questi che lasciar lo dovessero in libertà. Uno de' Francesi rispose con arroganza, e pose mano sulla guardia della propria scimitarra, ma pronto uno Schiavone con un colpo di sciabola gli recise la mano.  Gli altri francesi si decisero piuttosto a una precipitosa fuga. Universa

MIOVILOVICH DIFENDE IL VESSILLO E RIFIUTA DI SERVIRE I TRADITORI, BRESCIA OCCUPATA

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Brescia, il 19 marzo del 1797. Riassunto dalle memorie del colonnello Pietro Miovilovich, dalmata. Allontanato il Battagia (Provveditor Straordinario di Terraferma), i nuovi padroni (i giacobini) si diedero da fare per consolidare il potere, tentando innanzitutto d’assoldare le truppe schiavone del col. Miovilovich. Agli Oltremarini furono inviati viveri e denaro, sdegnosamente respinti “perché quell’anime fedeli ed eroiche invece di cedersi, s’infuriarono contro gli emissari di tal seduzione e presero in isdegno che osato avessero di tentar la loro fede ed esclamarono eglino unanimi nel proprio linguaggio: Ah possie vire! (porci!) porta via: va al diavolo ti to roba e to bessi, no volemo gnente da vu altri ribeli de nostro Principe, nu avemo nostre paghe che nostro Principe passa nu da nostri Ufficiali: adio posia vira! Porta via to roba te dico! Viva San Marco Nostro Santo Protetor Benedeto !" I patrioti (termine con cui si autodefinivano i giacobini), non soddisfatti

SE FOSSI UN LEADER INDIPENDENTISTA.. I VALORI MARCIANI DA RILANCIARE

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Un amico fraterno, che preferisce restare anonimo, mi ha mandato una nota,, che vi giro, in cui propone un rilancio del movimento indipendentista. Le sue parole sono in neretto, i miei commenti, sotto, in corsivo. Se io fossi un leader indipendentista, punterei tutto sulla "dedizione a San Marco". E in questo caso, mi pare indispensabile anche il riconoscimento a dei principi cristiani, a cui l'Europa radical chic, sotto l'imput della Francia ha rinunciato: sarebbe, è, indispensabile, specie con il tentativo di sostituzione etnica in atto nella penisola, popolata sempre più da culture estranee,  con un Papa acquiescente e complice. Valstagna Illustrerei cosa significa esser "marcolino" e quali valori rappresenti il Leone alato. Essere "marcolino" come si proclamavano gli insorgenti contro Napoleone, mentre i pochi sostenitori dell'invasore, tra il 1796 e gli anni seguenti, si chiamarono "Patrioti" e furono quelli che adotta

VENEZIA CACCIA I GESUITI, PER CONSIGLIO DI FRA' PAOLO SARPI

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Papà Francesco, gesuita, ocio... AI CATOLICI VENETI ;) ndR Di Simonetta Dondi dall'Orologio Venezia fin dalla sua fondazione aveva sempre difeso la sua indipendenza non solo politica ma anche religiosa; in particolare rifiutando la giurisdizione di Roma e del Papato. Difatti i rapporti tra la Repubblica di Venezia e la Chiesa di Roma furono spesso travagliati. Un episodio chiave è quello legato alla figura di Fra Paolo Sarpi (teologo, storico e scienziato dell'Ordine dei Servi di Maria). Siamo nel 1606 e a Venezia erano stati arrestati per reati comuni due sacerdoti (che a Venezia venivano giudicati dal Foro civile e non da quello ecclesiastico). Papa Paolo V chiese l’immediata consegna dei due religiosi e con l’occasione pretese anche che fossero abolite alcune leggi di privilegio civile grazie alle quali la Serenissima impediva la costruzione di edifici religiosi senza l’autorizzazione del potere statale, ed altre leggi atte a limitare il controllo di Roma sul

LA COSTITUZIONE VENEZIANA. LO STATO VENETO E LA SUA NASCITA.

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portale di S.Alipio, San Marco La grandezza e lo splendore della civiltà veneziana furono in gran parte il prodotto delle singolari istituzioni politiche della Repubblica, le quali rimasero armoniose ed efficienti per tutto il lungo periodo della maturità.... Anche se quel sistema politico raggiunse la sua pienezza solo agli inizi del Trecento... dal '200 fino alla caduta della repubblica non vi furono rotture di continuità nella sua organizzazione istituzionale.  La Repubblica veneta si venne lentamente organizzando su quello che era il territorio di un antico ducato bizantino, in cui il doge concentrava nelle sue mani il potere amministrativo e militare. Era l'antico esarca alle dipendenze dell'esarca di Ravenna, non essendo l'impero in grado di controllare quelle terre lontane, tanto che per secoli le saltuarie visite della sua flotta costituirono la sola espressione della sua incerta presenza ( quindi indipendenza di fatto dei Veneti di laguna ndR ) e della

Gli antichi Dei onorati a Sirmione e nel lago di Garda

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Un articolo molto intrigante che parla degli Dei pagani dell'epoca preromana e romano veneta, i cui culti hanno lasciato tracce profonde nella zona del lago di Garda, a cominciare dalla toponomastica  (il nome Benacus del lago stesso ne è un esempio), e specificatamente nel suggestivo luogo delle grotte di Catullo, che sono i resti della villa del poeta veneto-romano. L'autrice ci conduce per mano, in un luogo che le è molto caro, tra cippi superstiti, antichi sarcogagi e altari pagani, oggi usati magari inconsapevolmente come panchine dai turisti. Troveremo anche un accenno alla divinità venetica misteriosa Trumusiate, il culto delle acque con Nettuno e il dio Aponus-Apollo, che diede il nome alla nostra Abano. Eccovi il link gli-antichi-dei-onorati-sirmione-

IL GUERRIERO VENETO DI VACE, E LA DIFFIDA DEL MINISTERO

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Uno dei vanti della moderna Slovenia, è il sito archeologico di Vace (zona dell'antica Carantinia) in cui è stata rinvenuta una bellissima situla ( secia in lingua veneta, secchio in italiano tradotto dal latino) con altro corredo, tra cui una piastra riproducente un guerriero veneto ( Chi fosse interessato può richiedermelo, misura cm 28 per 23 ed è in marmorina ). Veneto naturalmente è anche tutto il resto, questo a riprova che l'area di diffusione dei Veneti non si limitava alla Venezia Euganea. Comunque, tornando al nostro guerriero, qualche tempo fa, mi son deciso a riprodurlo in marmorina (ricavato da un modello in plastilina poi riprodotto in uno stampo), facendo omaggio di uno dei primi esemplari al compianto Jozko Savli. Metto anche il disegno del guerriero che compare nel libro "I Veneti popolo d'Europa", che tante discussioni ha innescato dopo la sua pubblicazione; e la riproduzione ricavata.  Del guerriero noto che indossa un corsetto, proba

LA SANITA' E L'ASSISTENZA AL POVERO

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Premetto, prevedendo le reazioni di qualche lettore "libertarian" ad oltranza, che gran parte della spesa era sostenuto dalla carità dei privati e anche fisicamente, i membri delle "confraternite" prestavano la loro opera gratuita, con gran sollievo del bilancio dello stato, il quale organizzava e forniva la normativa ad ho . Nel bel volume di Nelli Elena Vanzan Marchini troviamo questa illustrazione del Grevembroch, che mostra un povero dimesso dall’ospedale presso la chiesa dei SS. Giovanni e Paolo a Venezia. Consiglio caldamente di procurarvi il libro, chiedendolo al Gazzettino, poiché fa capire come funzionasse bene in una cosiddetta “repubblica oligarchica” (cioè al servizio degli interessi di pochi, così è descritta da molti), l’assistenza verso i più deboli e bisognosi. Possiamo solo dire che col cambio di regime dopo il 1797, le cose peggiorarono moltissimo anche per loro, poiché l’ideologia giacobina imponeva la soppressione di gran parte delle

LA SANITA' VENETA, LA PREVENZIONE E L'INVENZIONE DEL LAZZARETTO

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di Elena Vanzan Marchini Per contrastare la peste, la Repubblica di Venezia inventò il primo lazzaretto della storia (1423); creò il Magistrato alla Sanità (1586) che monitorò il mediterraneo per individuare i focolai di infezione e arginare le epidemie con cordoni sanitari e contumacie. Grazie a queste misure la peste dopo il 1630 non tornò più a Venezia, mentre continuò ad imperversare negli altri porti fino alla fine dell'800. Perciò a livello internazionale la Serenissima offrì un modello di riferimento per la prevenzione. Sul fronte interno difese la salute articolando una fitta rete di ospedali,fraterne e luoghi pìi controllati dallo stato,gestiti dalla carità cristiana ed alimentati dalla fede.

RE ARTU' ERA VENETO? INTERESSANTI COINCIDENZE.

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Dal libro "L'alba dei Veneti" di Piero Favero, riporto alcuni interessanti spunti in merito. L'autore nota che popolazioni dal nome venetico erano stanziate ovunque fosse diffusa la leggenda legata al ciclo arturiano e poi elenca gli "indizi" che fan pensare a una stretta parentela tra i Veneti e i cavalieri della Tavola Rotonda (e il loro mondo). Artù era il re della terra di Gwinned, territorio dei Venedoti, la sola tribù presente in tutte le le aree classicamente legate al mito arturiano. Gli elementi presenti nel ciclo in chiara sintonia nella più antica tradizione veneta sono: - la devozione verso il cavallo e di conseguenza il culto della cavalleria, difatti la forza di re Cunedda era nella cavalleria, corpo militare tipicamente veneto, che con buona probabilità darà origine ai noti cavalieri della Tavola Rotonda. - la ritualità della spada gettata nelle acque (una spada veneta fu ripesca anche nella Brenta, di recente ndR), come in Excalibur e

IL GRAN RIFIUTO DELL'ULTIMO DOGE

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Sia nel momento del trapasso di poteri tra la Municipalità giacobina imposta dai francesi, che nei mesi seguenti, il Doge Manin subì una pressione enorme perché lo si voleva nel ruolo di Presidente della Municipalità stessa. L'intento probabile era di dare un senso di continuità allo Stato veneto, legittimando la predazione dello stato veneto e anche i municipalisti come governanti davanti ai sudditi ora trasformati in "cittadini" (alquanto riottosi, a quanto pareva). Insistevano anche i suoi parenti, e diversi patrizi, probabilmente sperando che l'ex Doge potesse attenuare lo sconquasso del cambio di governo, ma Egli fermamente rifiutò. Ecco cosa scrisse nelle sue memorie: " Tali blande proposizioni furono dal signor Tomà Soranzo, ch'era destinato a maneggiar molti affari... cambiate in assolute minacce, dicendo che il signor Willetard, che allora era Ministro di Francia, voleva ciò assolutamente, minacciando in caso di renitenza, la vita stessa. Io gli

RIFORMA DELLA GIUSTIZIA, RIDUZIONE DEL DEBITO, CONTROLLO DEI PREZZI

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SEBASTIAN VENIER DA  DOGE VI RIUSCI'. Sono problemi che si trascinano ormai da decenni, nel serraglio italiano, in cui prevale la lotta tra bande con lo scopo finale di cambiare poco o nulla, anche a costo del disfacimento dello stato per cancrena.  Sebastiano Venier, già anziano quando condusse la flotta veneta alla vittoria alla Battaglia di Lepanto, aveva certamente la volontà e la fermezza adatte (doti che non mancarono ad altri Dogi riformatori, quale il Gritti), per cui, constati i problemi si mise all'opera col suo staff. Ecco quanto scrive lo storico illustre Pompeo Molmenti: " Furono promossi saggi regolamenti sulla retta amministrazione della giustizia. La negligenza, qualche volta interessata, degli avvocati aveva introdotto nelle cause infinite dispute di mera formalità e di sommo aggravio per le parti. Per ciò si nominarono cinque Correttori per ricondurre il procedere della giustizia alla primitiva semplicità. Altri cinque nobili furono scelti per

I VENETI ANTICHI LA CULTURA DELLA VITE E L'APICULTURA

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Lo stesso Plinio ci fa sapere che i Veneti avevano attenzione nell’allevare salici di quel paese,  essendo il terreno per quella specie di pianta assai adattato in più luoghi , e pare che sopra di essi vi gettassero la vite, come fanno ora in tute le basse campagne prossime alla laguna.   Erodiano ancora racconta che a lunghi filari usassero piantare la vite, e i capi di questa disponevano a festoni, tra l’un albero e l’altro regolarmente piantati,... e tale uso dura ugualmente nella terra vicina. Plinio poi ci conservò memoria di un costume singolare, usato da quei veneti dell’agro veronese vicino ad Ostiglia, ed al Po. Mantenevano questi grande quantità di api (gli antichi facevano gran uso del miele) e come poco o niente avevano nel prato vicino (essendo tutto intorno impaludato), perciò ogni dì prima dell’alba mettevano gli alveari sopra le barche e su per lo fiume navigando conducevano le api in luogo dove c’erano praterie buone per esse, e dove arrivavano prima dell’alba.

IL VINO E VENETI ANTICHI

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Non poteva mancare in territorio veneto, anche in epoca antica, la bevanda ancor oggi più apprezzata: il vino. Alcuni autori hanno avanzato l'idea che proprio il vino, detto in lingua greca ènos, abbia dato il nome alla popolazione veneta (come sappiamo, i Veneti erano chiamati, in greco, Enetoi o Hènetoi). Alcuni tra i vini prodotti nella regione veneta divennero famosi presso i Romani e ricercati per il loro sapore. Tra i vini più apprezzati vi era, ad esempio, quello chiamato «acinaticum», un vino denso, liquoroso, simile forse al nostro «vin santo». Nella zona di Fregona, presso Vittorio Veneto, si produce ancor oggi un vino simile, detto appunto «torchiato di Fregona». Sempre in zone montane venete veniva lavorato il vino «retico»: lo preferiva e desiderava trovarlo sulla propria tavola la consorte dell'imperatore Augusto. Una testimonianza dell'abbondanza di produzione dei vini in terra veneta ci è stata lasciata dallo storico greco Strabone (Geografia, Libro

EL FERO DA GONDOLA E IL SUO VERO SIGNIFICATO

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Gigio Zanon 28 dicembre 2013 ·  Ho letto di un grosso errore che molti commettono al riguardo del "rostro" (perchè tale era la sua funzione inizialmente) o "Ferro da Gondola". Vorrei entrare nel merito come studioso della Storia e dell'Arte di Venezia e con il conforto dello scomparso amico Nedis Tramontin che mi ha aiutato a scrivere il libro sulla costruzione della Gondola: dalle radici dei vari tipi di legno che la compongono (sette) alla barca finita e completa di ogni suo addobbo: "careghini", "pusioi", çimiero, remi e forcole ma sopratutto il "FERRO". Tralascio per brevità - rimandando il lettore ad acquistare il mio libro un tempo presso l'Ente per la Gondola - sull'origine del ferro e sulla sua evoluzione nel corso dei secoli. Ininzialemnte, data la instabilità della barca, esso serviva come un bilanciere e - diciamolo pure... - come una specie di "mirino" per il Kondostolo: perchè era così che

L'INTEGRAZIONE IMPOSSIBILE DELLE MASSE AFRICANE

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Contributo molto molto interessante di Gabriele Riondato Se il governo italiano avesse fatto traghettare dalla Marina 400mila Cinesi invece di 400mila Africani (come è successo negli ultimi due anni) questi starebbero ora tutti a bighellonare in giro per le stazioni e i centi cittadini senza fare una mazza ? No, ovviamente se fossimo andati a prendere centinaia di migliaia di cinesi, questi oltre a intascare i 35 o 50 euro e godersi il soggiorno in albergo o villetta, si sarebbero messi a sgobbare cercando di aprire bar, ristoranti,negozi, laboratori.... Perchè invece questi uomini africani, tutti giovani e forti, che lo Stato italiano è andato a prendere fino in Africa non fanno niente dalla mattina alla sera ? La risposta la da l'Antropologia. In Africa hai l'unico esempio storico importante di società "matriarcale", come dicono gli studiosi, cioè società dove tradizionalmente le donne lavorano raccogliendo e procurando il cibo e tenendo dietro ai bambini e gli