LO SCHIAVONE E IL FRANCESE PORCELLO BUTTATO NELL'ADIGE
L’ultima epopea schiavona fu certamente scritta a Verona (e dintorni) ove i soldati nazionali dalmatini di lingua “illirica” (come erano descritti dal governo veneto) non rinunciarono ad ingaggiare scontri e zuffe furibonde con i francesi arroganti. Tanto da causare, a detta di un Napoleone furibondo, centinaia di vittime tra la truppa occupante. Ennio Concina (Le trionfanti armate venete, ed. Filippi) riporta una bella poesia di autore ignoto, che descrive, nel linguaggio tipico di un “brate” sciavon (brate era l’appellativo con cui tra loro si chiamavano, e significa fratello) la furia insopprimibile di quel valoroso soldato alla vista di un francese addormentato ubriaco sulla sponda di un ponte sull’Adige.
“Ah, pascia viro (porcello), ti e anca to mare
Ti dormi qua su ponte? Ah? Maledetto
In Stato de Sa Marco, nostro Pare,
come ti fussi a casa, su to leto?
Ti ga rason che nostro benedeto
Prencipe te vol bene, te vol salvare,
e a mio Palosso(1) messo ga luchetto
che te vorria da amigo saludare.
Oh se podesse…ma zà no posso
(perché zà muli cata sorte a muchj) (2)
far rossa to camisa con Palosso:
va, porta in acqua, giavolo, culate…
ma ti, se ti xe amigo, Adese, mucchi (3)
se Prencipe lo sa, povero Brate (4).
la bassa montura da caserma o da imbarco da me ricostruita fedelmente |
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