AMO IL VENETO PARLATO E SCRITTO

MICHELE BRUNELLI·DOMENICA 5 MARZO 2017

E chi non ha genitori venetofoni? L’importanza dell’insegnamento del #veneto a #scuola. In una recente lettera a Storiamestre (http://storiamestre.it/2017/02/amo-...) il sig. Davide Zotto propone una discussione sulla grafia veneta. Invero fa un gran calderone in cui getta alla rinfusa storia, grafia/lingua, datazione (more veneto). Cerco di rispondere per ordine, limitandomi all'argomento grafia, del quale mi occupo da ormai 20 anni. Premetto che il sig. Zotto fa riferimento a una versione vecchia del mio Manual datato 01·01·2007 more veneto.
In merito alla datazione il sig. Zotto fa un'affermazione ovvia «Marzo è marzo e gennaio è gennaio». La dicitura 01/01/2007 è dovuta al fatto che, com' è noto, marzo è il primo mese dell'anno secondo il calendario more veneto: marzo resta marzo, gennaio resta gennaio, ma marzo è il mese n°1. Con l'occasione informo che la versione aggiornata del mio libro è scaricabile a soli 10€ da www.leolibri.it. In essa trovate una raccolta di dati di diverse varianti venete riassunti in tabelle con frasi di esempio e affiancati da note bibliografiche che rimandano a pubblicazioni universitarie di vari ricercatori e professori.
 
Scusandomi per la divagazione cui sono stato costretto, vado al dunque.

Primo, Zotto sostiene che parla "dialetto" ma ha imparato a scrivere in italiano. Con questa ben nota ovvietà, egli conferma così che a scuola gli hanno insegnato a scrivere in una lingua diversa da quella materna. Diversa per morfologia e sintassi: ad esempio, il veneto ha i clitici "el va, i va" mentre l'italiano ha desinenze "va, vanno". Ebbene, anziché insegnargli a scrivere la lingua che già parlava, gliene hanno insegnata una diversa. Anziché insegnare a rappresentare i suoni del veneto, la scuola gli ha insegnato a trascrivere i suoni di un'altra lingua (l'italiano).
Secondo, Zotto afferma che dopo avere letto diversi dizionari ha trovato che i dubbi sulla grafia sono comuni. Questa è una prova del fatto che in mancanza di un insegnamento scolastico, la gente deve scrivere in veneto arrangiandosi fra i mille dubbi lasciati irrisolti dalle istituzioni.

Terzo, per Zotto è noto che il dialetto varia da luogo a luogo e «ognuno ha la sua versione: pure come si scrive la terza persona singolare dell'indicativo presente dell'ausiliare essere». Zotto però non vuole (o non sa?) dirci che anche altre lingue presentano forme alternative per una medesima parola. Lo spagnolo, ad esempio, ha forme doppie per tutte le persone del congiuntivo imperfetto di tutti i verbi di tutte le coniugazioni: si pudiera/pudiese (se podese), si pudieran/pudiesen (se i podese), si pudiéramos/pudiésemos (se podésimo) e così via per tutti i verbi. Eppure nessuno contesta l'insegnamento scolastico dello spagnolo. 
Ora, dato che le forme alternative non sono un problema per lo spagnolo, esse non possono essere un problema nemmeno per l'insegnamento del veneto.
Quarto, come estremo tentativo di sostenere la propria posizione, Zotto scomoda perfino Parise (dopo aver invano interrogato il defunto Bembo): «amo il veneto come lingua parlata, cioè come pura forma e gioco verbale...». Con questa citazione, Zotto sostiene la teoria del due-pesi-due-misure: non contesta l'insegnamento scritto dell'italiano, ma vorrebbe che il veneto rimanesse solo parlato. In pratica dovremmo avere un pianta che annaffiamo, concimiamo e a cui diamo sostegni per reggersi (l'italiano che ha tv, libri, giornali e scuole) e una pianta a cui invece diciamo di crescere da sola, come va va (il veneto basta parlarlo). 

Non è difficile capire il risultato di questo atteggiamento: la pianta senza cure fatica a tenere il passo. Non stupisce dunque che la conoscenza del veneto presso i giovani sia in forte declino come indicato dai risultati di una ricerca che Emil Andreose ha fatto su un campione di studenti veneti basandosi sui test di bilinguismo studiati per il Canada (E. Andreose, "Mi son bilingue"). Io pur rispettando le opinioni di Parise, amo il veneto come sostanza - non solo forma - e lo rispetto come mezzo di comunicazione - oltre che gioco verbale - per cui ritengo che la scuola debba sostenere il veneto così come già fatto per l'italiano. Al giorno d'oggi, inoltre, abbiamo diversi immigrati e anche vari veneti che non hanno genitori venetoparlanti: dire che il veneto basta parlarlo o impararlo a casa significa escluderli.

Adottando una grafia a pronuncia flessibile - sull'esempio di quanto avviene in spagnolo e portoghese - è possibile conciliare in una sola forma scritta alcune varianti venete a prima vista inconciliabili. Noi ci dibattiamo invano nell'idea di una-lettera-un-suono. Altri popoli invece usano con successo delle lettere che lasciano libertà di lettura. Gli Spagnoli per esempio scrivono estación e leggono in due modi (estasión/estathión). Analogamente possiamo scrivere staçion e lasciare libertà di lettura (stasion/stathion/statsion) secondo la variante locale.
Possiamo scrivere zo e lasciare libertà di lettura (zo/dzo/dho/do). Mentre xe, caxe, caxa ecc... non variano. In portoghese le vocali finali possono essere mute: i Portoghesi scrivono bato e leggono in due modi (batu/bat). È analogo ai nostri gat(o), mont(e). Altre forme invece potranno alternarsi come ad esempio parlemo/parlon. Questi utili confronti fra veneto e altre lingue potrebbero essere agevolmente fatti durante l'insegnamento scolastico, se ci fosse. 
Sono soluzioni grafiche già adottate da altri popoli per le loro lingue. La differenza è che loro hanno la volontà di farlo.

Cordiali saluti, dott. Michele Brunelli (Phd in Scienze del Linguaggio a Ca' Foscari e Geesteswetenschappen all'Universiteit van Amsterdam)

Commenti