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Visualizzazione dei post da gennaio, 2017

IL FILO' NELLA CAMPAGNA VENETA

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"El filò" nella campagna Maseradese - Anni 1930 - Con la fine dell'autunno, le contrade e le corti cominciavano a vivere una vita di gruppo più intensa, perché il lavoro assumeva un ritmo diverso da quello delle stagioni produttive (primavera - estate). Nel cuore dell'inverno, la stalla diventa il centro della vita sociale e familiare, perché le case erano umide e fredde e la legna scarseggiava. Così, al primo freddo novembrino, le famiglie di una contrada o di una corte, come i contadini del paese, si riunivano nella propria stalla o in quella del vicino e vi restavano fino a un'ora "da cristiani", al caldo degli animali, sotto la luce di una lucerna a petrolio: era il filò. Durante il filò si parlava dei più e dei meno, ma esso aveva una fisionomia ben precisa, una ritualità e una sua importanza economica. Le donne si dedicavano al rammendo, a far calze, scarpette e, soprattutto a filare. La dote, sacrosanta, era messa insieme dalle ragazze duran

CI FOTOGRAFAVANO CON DIETRO UNA GRANDE CARTA GEOGRAFICA,.... e pensavamo di avere un Angelo alle spalle.

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Cosa provava un bambino Veneto, alle elementari negli anni 60 ? Beh, almeno per me, istintivamente, mi immedesimavo nella parte e nel contempo mi proteggevo, serbavo dentro il cuore quello che ero e cercavo di affrontare la nuova realtà, noi pensavamo a non dare noie ai genitori che sgobbavano, pensavamo ai nonni e alle loro storie, a come rapportarsi alla nuova realtà, a scuola si sentiva una lingua nuova, straniera, ci pareva di essere inferiori, quasi sbagliati, come fossimo un poco da correggere.  Per quanto mi riguarda non ci restava che fingere attenzione, partecipazione e riconoscimento alle istituzioni: onorare la maestra/o, diretor, bandiera, le doppie, la punteggiatura, la maledetta e sconosciuta "q", etc , si cercava di esser formalmente educati,... si usava il modulo comportamentale che veniva imposto come unico e giusto, si studiava garibaldi, cavour, la storia "gloriosa" della itaglia che sembrava sempre generosa e invincibile.  Negli ann

LA VICENZA VENETICA, AVAMPOSTO E CONFINE TRA RETI E CENOMANI

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“IAS VENETEKENS OSTS KE ENOGENES LAIONS MEU FASTO, in cui si intuisce un personaggio celta venetizzato, del popolo dei Lenii. Provo a tradurre: "meu fasto "sono stato fatto da Osts della gente di Leni del popolo veneto.  Nel VI secolo prima di Cristo nacque Vicenza (Vicetia), in un posto strategico che collegava il Veneto orientale e la valle del Piave alla pianura veronese e alla valle dell’Adige. Il sito dell’insediamento, in un’ansa del fiume Astico presso la confluenza del Retrone, ripropone la conformazione ideale delle città venete note, quasi isole circondate da corsi d’acqua; nei recentissimi scavi di Strabello degli Stalli è stato rinvenuto un fossato difensivo di grandi dimensioni con tracce di fortificazioni databili nel IV secolo…. Gli interventi più recenti, di carattere stratigrafico,hanno confermato che la città nacque nei primi decenni del VI secolo a.C., incoincidenza dell'avanzata dei Reti verso Verona e degli Etruschi nel mantovano…dapprima si

IL TERMINE "BANCAROTTA" INVENTATO A VENEZIA.

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Di Roberto Stoppato Badoer Il Banco di Giro divenne il progenitore delle odierne banche centrali:i creditori dello stato accettavano in pagamento titoli di credito, ammessi dal Banco, anzichè moneta contante. Il Banco gestiva il debito pubblico e la fiscalità, oltre che la raccolta del risparmio privato e la gestione dei pagamenti. I depositi scritti nei suoi libri non potevano essere sequestrati dalle altre autorità dell Stato ed erano anzi garantiti contro il fallimento. Cosa accadeva all'epoca se un banchiere diventava insolvente? andava incontro alla rottura del Banco da parte di funzionari preposti che in modo molto scenografico spaccavano con delle asce, materialmente, il piano del lavoro del soggetto che svolgeva l'attività di prestito e deposito bancario, solitamente proprio con un banco di legno in prossimità di uno scalo mercantile; tutti così potevano vedere che quel banchiere non era più in grado di garantire serietà e sicurezza nel maneggio del denaro. Da q

I CAVALLI VENETI, FERRARI DELL'ANTICHITA'

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I bianchi destrieri degli Èneti furono apprezzati dai greci nelle gare olimpiche... di GRAZIANO TAVAN Come avere avuto una Ferrari: potenza, valore, prestigio. In poche parole uno "status symbol". Lo stesso che nell'antichità era il cavallo bianco, meglio noto come cavallo veneto: bello, agile, veloce. Quindi ricercato, perciò prezioso. Non a caso i veneti antichi divennero famosi in tutto il mondo allora conosciuto proprio per aver allevato quei cavalli di razza. Li ricorda Omero nell'Iliade ("Èneti, stirpe delle mule selvagge"). Li cita un altro grande poeta greco, Esiodo ("Gli Iperborei dai bei cavalli che la terra dai molti pascoli aveva generato numerosi presso le rapide correnti dell'Eridano profondo", dove per Iperborei si intendono le popolazioni dell'Alto Adriatico e per Erìdano il fiume Po). E il poeta lirico Alcmane per cantare la bellezza della sua amata ricorda quella dei destrieri veneti (" Àgido ci appare così

LAGOLE E LO STRANO DIO A TRE TESTE DEI VENETI

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Nel versante occidentale della valle del Piave si trova la località di Lagole, la cui attrattiva è costituita da tre laghetti e varie sorgive. Erano considerate acque medicamentose, e vi furono rinvenuti molti oggetti, depositati nella forma di ex voto. La frequentazione durò dal VI secolo a.C. al IV secolo d,C. ma fino ad epoche recenti, immergersi in quelle acque era  un atto compiuto dalle giovani spose che favoriva la fertilità delle donne. Oltre a bronzetti, fibbie, alari, spiedi, coltelli in ferro molto numerosi erano i "simpuli", dei mestoli con il manico inciso con brevi scritte in venetico.  La fama del santuario raggiunse nell'antichità tutta al'area nord orientale adriatica, quella alpina e centro europea.  Qual'era la divinità sanante adorata a Lagole? Nelle iscrizioni che appaiono su oggetti votivi in bronzo, viene indicata col nome arcaico di Trumusiat o Trubusiat. Nella radice, il tiferimento al numero tre; a rafforzare questo mistero f

ITALIA MATRIGNA: VENETO "BUBBONE DEL PAESE", DOPO LA GUERRA IN CASA

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NEGLI ANNI VENTI COSI' FUMMO DEFINITI DAL GOVERNO ROMANO Le enormi devastazioni subite dalle terre venete a causa della prima guerra mondiale, furono la causa prima del collasso economico della prima metà del 900, della fame e disperazione nelle campagne, che i nostri nonni (per chi ha origine contadina più o meno lontana) ci han raccontato. Vi era stato un periodo di crisi simile nell’800, con l’annessione italiana delle nostre terre, che portò solo fame e miseria, ma grazie alla tipica tenacia della nostra gente, a poco a poco, quelli che non emigrarono avevano, agli inizi del 900 rimesso in moto i settori produttivi, da sempre l’agricolo e il tessile. L’arrivo del ciclone immane e devastante della Guerra ci aveva messo di nuovo in ginocchio, peggio di prima, il risarcimento danni promesso era stato in gran parte sperperato (ben tre miliardi di allora) nella corruttela o per pagare in seguito lavoratori e imprese provenienti da altre regioni, mentre i locali soffrivano di

MA...A "NORD EST" DE COSSA ?

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Ma a "Nord Est" di chi ? Cancellando dal nostro frasario la parola Nord-Est , magari faremo dispiacere a tanti intellettuali, pronti allo scrivere quanto al compenso, di certo, però, dimenticandola, rispetteremo meglio noi stessi. I pensieri sono “circolari”, qualcuno pensa di avere il brevetto delle idee senza considerare che tutto è espressione di tutto e l’umiltà del pensiero, spesso, mette in risalto la parola più giusta. Letteralmente “stomacato” da tutti sti intellettuali che scrivono del Nord Est , lo studiano, lo spiano da Sud/ Sud Ovest, spesso lo fanno da presuntuosi, quasi sempre a pagamento e solo per meglio ingannare se stessi e chi legge. Riprendo, quindi, quanto scrissi nel 2014 per non dimenticarlo e rinnovare con voi, Cari Lettori, un pensiero “circolare”: Spesso, nel raccontarci, dimentichiamo la centralità della nostra millenaria cultura, colpevolmente mettiamo da parte anche la ovvia centralità di noi stessi, quando parliamo di quello c

NEL 1920, INDIPENDENTISMO O FEDERALISMO. IL MERIDIONE.

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CHI FRENA E CHI SPERA NEL FEDERALISMO, MA PER SCOPI POCO NOBILI, IN MERIDIONE. Riprendo qui il discorso sulle istanze autonomiste (o secessioniste, qui da noi) nei lontani anni '20 del '900. Il dibattito era presente anche in Meridione, ma, sottolinea con una certa ironia Bruno Pederoda, i motivi non sempre erano dettati da desiderio di libertà. Più semplicemente, una maggiore autonomia avrebbe consentito a una classe dirigente locale più corrotta (anche allora) della media nazionale, di spendere a spandere in maniera parassitaria i fondi pubblici. "Il governo centrale ha molte colpe sulla coscienza, ha commesso errori enormi, si è lasciato talvolta dominare da partigianerie e da camorre specie quando si trattava del Mezzogiorno... ma chi conosce le amministrazioni locali specialmente del Mezzogiorno, sa quale disastro per i contribuenti sarebbe una autonomia più larga di quella concessa.. e i prefetti.. possono dire a quali gesta si abbandonano i piccoli comuni

SAN MARCO SULL'EURO, BRUGNARO... A SCUOLA DI STORIA

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Di Lorenzo Greco (venezian che sa la so storia) NdR. "Siamo orgogliosi e fieri di rappresentare l'Italia nel mondo", twitta il sindaco Brugnaro."  Invece di twittare sarebbe meglio studiare un po' la storia millenaria di Venezia , soprattutto se in qualita' di Sindaco la si dovrebbe pure rappresentare . Di 954 anni dalla costruzione si ricordano solo i 400 della fine lavori ahahahahhaahha  La storia della Basilica di San Marco iniziò nell’828 quando l’undicesimo doge, Giustiniano Partecipazio, decise di far costruire una chiesa accanto al palazzo ducale, in onore di San Marco, in sostituzione della cappella palatina dedicata a San Teodoro.  L’incendio provocato da alcuni rivoltosi nel 976, distrusse la costruzione, per cui nel 978 fu riedificata per volontà del doge. La meravigliosa basilica che noi oggi possiamo ammirare, non è quella del 978, risale invece all’XI secolo.  Fu iniziata dal doge Domenico Contarini nel 1063, continuata dal su

ANCORA NEL 1920 IL VENETO UCCISO DALLA BUROCRAZIA ITALIOTA

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I Veneti già a quel tempo rimpiangevano la libertà antica, sotto le ali di San Marco. Ecco quanto scrivevano i Repubblicano-sociali (di derivazione mazziniana) di Treviso, nel loro giornale La Riscossa (11 sett. 1920, nr. 35). Essi, riporta Bruno Pederoda, “guardavano con orrore all’inverosimile ispessimento della burocrazia romana, ma non arrivavano a sospettare, nella burocrazia, il naturale e coerente sviluppo del tessuto adiposo dello Stato italiano, proprio in quanto tale”. < Occorre tener presente che gli impiegati dello stato, che nel 1874 erano 47.000, nel 1915 raggiungevano la bella cifra di 294.000 ed ora, tra impiegati di ruolo, operai e avventizi, rasentano il mezzo milione, importando una spesa che si aggira sui due miliardi >. Ma erano ancora quisquilie e pinzellacchere, a dirla con Totò...  Essi scrivono poi: <Noi ci sentiamo di detestare la Roma del centralismo e della burocrazia, fonte prima della disorganizzazione morale e finanziaria del nostro pa

LE "MASCARE" VENEZIANE, CONOSCIUTE E MENO CONOSCIUTE

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Le maschere veneziane erano quelle tipiche della Commedia dell'Arte, venivano usate durante il carnevale, ma non solo. Le maschere veneziane furono indossate in altri periodi dell'anno e in altre circostanze. La Serenissima fu sempre abbastanza permissiva al riguardo, anche se instituì un Magistrato alle Pompe per poterne frenare gli eccessi. Tale istituzione venne fondata nel 1514 per controllare inoltre lo sfarzo eccessivo ed i costumi delle prostitute. Il magistrato fu retto da tre Provveditori che imposero, tra le altre misure, il colore nero alle gondole. Le maschere veneziane furono usate soprattutto nel '700 ma anche nei secoli precedenti. Alcune maschere veneziane si possono ancora vedere nelle edizioni attuali del carnevale. L'abitudine di mascherarsi a Venezia veniva dalla voglia di trasgressione o semplicemente per non farsi riconoscere. Naturalmente le maschere veneziane si usavano nelle rappresentazioni teatrali, marcatamente nelle commedie di Carlo Gold

NAPOLEONE E LA FINE DELLE AUTONOMIE LOCALI: LE VALLI DEL NATISONE.

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La storia del comune si identifica con quella della Slavia veneta. Nel secolo VII popolazioni slave entrarono in Italia, al seguito degli Avari, ed occuparono e colonizzarono le Valli del Natisone. Ebbero diversi scontri, con alterne fortune, con i Longobardi, che dopo il 568 avevano occupato quasi tutta la penisola. Le azioni bellicose terminarono dopo la stipula di un trattato che definiva i confini tra le due comunità e lasciava le terre della zona collinosa alle popolazioni slave. In seguito, la popolazione delle Valli del Natisone, dal periodo del Patriarcato di Aquileia sino alla caduta della Repubblica di Venezia, godette di una notevole autonomia amministrativa e giudiziaria; queste funzioni venivano infatti gestite dagli Arenghi formati da rappresentanti (decani) eletti dalle famiglie dei paesi più importanti delle due Banche di Merso ed Antro. L’Arengo dei decani delle convalli di Merso si riuniva, per le sue tsedute, sotto i tigli che crescevano nei pressi della

L'OCIO (VENETO) DE UN GRAN GENIO DEA SATIRA. VENEXIT

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Una de le carateristiche che no i ne ga gnincora "robà" dopo dò secoli passadi soto paroni vari ze l'autoironia. Qua ne gavemo un esempio ilustre, co Alberto Veneziano, na gran penna prestada  ala vigneta satirica, che come tema g ai Veneti (ma anca el mondo moderno), visto co ocio bonario, certamente, ma che no concede sconti. A volte le so vignete le fa pensar a un eversivo Grosz veneto, e non a caso na volta par scherzo ghe go dito che lo consideravo un artista "dadaista". Anca Grosz, vignetista satirico tedesco dei ani 20 amava i dadaisti. L'impiria (imbuto)  la botilia che fa spesso da contorno de la scena ze na roba molto dadaista, par far un esempio. Anca el trato de penna ze molto simile a queo del grande artista. Ma Alberto el ne fa rider de le nostre debolezze senza la cativeria del tedesco. El nostro Alberto presta la so atenzion ai fati, ai dati reali, a la vita quotidiana, comunque sempre senza far sconti, anca se spesso el descrive el

ANCORA SULLA BOLLA DEL DOGE FRANCESCO MOROSINI

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LA BOLLA mi è stata donata da un caro amico collezionista: l'ho fotografata un poco meglio, e se qualche lettore conosce un esperto/a in grado di decrittarla, sarei felice di pubblicare il testo. Compare il piombo che era caratteristica del sigillo dogale, con l'immagine del Doge posto davanti a San Marco,  e il suo nome  Franciscus Mauricenus,  venetorum  D(ux). Nel testo si capisce nel'ultima riga la data, che mi pare il 1693 (morì poco dopo, nel 1695) e la firma. Il resto è difficilmente comprensibile, quindi il documento, in pergamena,  è eventualmente a disposizione per chi voglia esaminarlo e sia qualificato. ps. ULTIM'ORA chi me l'ha affidata mi procurerà anche il testo decrittato, pare sia una concessione notarile e il doc è stato siglato pochi mesi prima della morte del nostro Eroe .. prima della partenza per Neapoli

NASCE "EL CASTEO" IL CASTELLO DI PADOVA. LA SPECOLA.

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L'ALTO MEDIOEVO Con la caduta dell'impero romano d'occidente si apre per Patavium un periodo di progressiva decadenza. Rimane fra i domini dell'impero d'oriente ed è verosimile che in quel periodo, caratterizzato dalle continue incursioni di barbari, qualche forma di difesa militare vera e propria i bizantini l'abbiano apprestata, anche se non se n'è ancora trovata traccia certa. Poi, intorno alla fine del sesto secolo la città subisce due eventi traumatici, che ne condizioneranno il successivo sviluppo.  Nel 589, secondo la tradizione, viene inondata nel corso di un generale sconvolgimento idrografico della pianura padana: forse è questo il momento in cui il Medoacus/Brenta abbandona il suo corso, o almeno il suo corso inferiore, e viene sostituito, non sappiamo se spontaneamente o per opera dell'uomo, dal Retrone (l’odierno Bacchiglione), che in precedenza doveva lambire la città a sud.  Pochi anni più tardi, nel 602, i Longobardi di Agi

ANDIAMO CON I BUONI VENETI! GRIDARONO I CADORINI IN ASSEMBLEA

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E' presumibile, come attestano la maggior parte degli storici, che la nascita della Magnifica Comunità di Cadore sia da attribuire a diversi fattori favorevoli divenuticoncomitanti agli inizi del terzo decennio del secolo XIV. Sulla regione signoreggiavano i da Camino , vassalli del patriarca di Aquileia; nel 1329 i feudi furono assegnati ai cadorini Lorenzo e Giovanni Piloni; tale operazione permise ai rappresentanti del Cadore di sedere nel parlamento friulano. Con l'uscita di scena dei Caminesi, fu il Patriarcato di Aquileia a rivendicare ed ottenere il diritto sul Cadore; cessò così di avere sovranità anche lo statuto da loro imposto nel 1235 che non piaceva molto ai cadorini perché veniva imposto loro dall'alto. Approfittando degli eventi, della lontananza del Tirolo e del mutato signore, i cadorini incaricarono un rappresentante di ogni centenaro di scrivere, con l'aiuto del vicarius, un nuovo statuto che vide la luce nel 1338. Il Patriarca concesse ai cador

GLI ARABI E L'ILLUMINISMO. l'evoluzione impossibile dell'islam.

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Non emerge una spiegazione razionale nuova dell’immensa eredità islamica, né del futuro, né del posto degli arabi sul palcoscenico della storia. Continueremo ad essere lo zimbello del mondo. La Primavera araba è fallita trasformandosi in un autunno fondamentalista. Di Hesham Saleh. Asharq al-Awsat (27/11/2012). Traduzione e sintesi di Angela Ilaria Antoniello. Bisogna riconoscere la verità: non c’è spazio per il successo dell’Illuminismo nel mondo arabo, il futuro prossimo è interamente islamico. Credevamo che bastasse scrivere due o tre libri per entrare a far parte dei paesi sviluppati. Credevamo che dopo i pionieri della Nahda, cominciando da Rifa’a al-Tahtawi, Jaber Asfour, Ahmed Abdel Muti Hijazi e passando per i grandi Taha Hussein e Nagib Mahfuz e molti altri, il problema potesse dirsi risolto. Non vi è dubbio che la discesa in campo di Hamdeen Sabahi e el-Baradei con un pubblico giovane dimostra che l’Illuminismo in Egitto non è completamente spento e che

BISANZIO PROVOCA VENEZIA, GLI ANTECEDENTI DEL SACCO DI COSTANTINOPOLI

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Venice and his history scriveva Il 12 marzo 1171 l'imperatore bizantino Manuele Comneno, geloso della crescente potenza di Venezia, ordina che in tutto l'impero i veneziani siano imprigionati ed i loro beni confiscati. Nella sola Costantinopoli gli arrestati sono ben diecimila. La notizia viene accolta con sdegno e furore e da tutte le parti si grida: "Guerra! Guerra!". Il popolo, in un unanime slancio di fervore patriottico, offre allo Stato i mezzi destinati all'armamento d'una flotta per vendicare l'affronto subito. Per regolare l'afflusso dei versamenti viene creata la Camera degli imprestiti, o «Monte vecchio», che si dice esser stata la prima banca istituita in Europa per la emissione di obbligazioni di stato: ciascun cittadino sarà tassato dell'uno per cento sul capitale posseduto mentre il governo si obbliga a corrispondere. un interesse annuo del quattro per cento. Si dice che, per agevolare l'esazione delle imposte, sia avve

I VENEZIANI LADRI COME I FRANCESI? I Cavalli di San Marco

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CHE VI LAGNATE DEI FURTI DI NAPOLEONE, PURE VOI VENEZIANI A BISANZIO... Questo diceva in un'intervista tempo fa, uno dei francesi che manovra a Venezia per dar lustro alla presenza napoleonica. Ecco la mia riflessione in merito: se mi tiri fuori la storia dei cavalli di San Marco, sappi che ci troviamo di fronte contesti diversi, tempi diversi, non si paragona l'uomo del Medio Evo all'uomo moderno, che proprio nel '700 incominciava a mettere a frutto compiutamente 1500 anni di cristianesimo. Mai secolo fu più fecondo e felice, se si esclude la Rivoluzione francese, pacifico e rispettoso nelle guerre che pur vi furono, delle regole. Arrivò Napoleone e travolse tutto, diritto internazionale, leggi di guerra, piegando ai suo interessi personali l'intera Europa, derubando popolazioni come i Veneti (in senso lato) del tutto pacifiche e non ostili, oltre al resto dell'Italia, distruggendo chiese e predando opere d'arte con programma scientifico e metodico, ch

I BENEDETTINI E LA VITE, LA BONIFICA DELLA CAMPAGNA PADOVANA.

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L’inizio della viticoltura in questo areale affonda le sue radici già in epoca romana. Scrive Plinio il Vecchio nella Naturalis Historia: “ Mirevole è la natura della vite di assimilare sapori diversi ed è questo il motivo per cui l’uva raccolta nelle paludi intorno a Padova sa del salice cui è maritata .”. La viticoltura era già diffusa nelle campagne patavine nonostante fossero all’epoca soggette a frequenti esondazioni dei fiumi Adige e “Retrone”. I sedimi alluvionali depositati nei secoli serbavano una preziosa ricchezza di elementi che rendeva questi terreni ambiti e preziosi.  Nel 853 D.C. i primi monaci benedettini officiavano la chiesa di San Tommaso di Sacco. Nei secoli successivi numerosi monasteri estesero i loro possedimenti alla Saccisica ed al Conselvano e diedero inizio ad un’imponente opera di regimazione delle acque. Lo scavo “a forza di vanga” di fossi, argini, coronelle, trasformò queste campagne rendendole rigogliose, fertili e ben drenate. Questo lavoro