IL FILO' NELLA CAMPAGNA VENETA
"El filò" nella campagna Maseradese - Anni 1930 -
Con la fine dell'autunno, le contrade e le corti cominciavano a vivere una vita di gruppo più intensa, perché il lavoro assumeva un ritmo diverso da quello delle stagioni produttive (primavera - estate). Nel cuore dell'inverno, la stalla diventa il centro della vita sociale e familiare, perché le case erano umide e fredde e la legna scarseggiava.
Così, al primo freddo novembrino, le famiglie di una contrada o di una corte, come i contadini del paese, si riunivano nella propria stalla o in quella del vicino e vi restavano fino a un'ora "da cristiani", al caldo degli animali, sotto la luce di una lucerna a petrolio: era il filò. Durante il filò si parlava dei più e dei meno, ma esso aveva una fisionomia ben precisa, una ritualità e una sua importanza economica. Le donne si dedicavano al rammendo, a far calze, scarpette e, soprattutto a filare. La dote, sacrosanta, era messa insieme dalle ragazze durante il filò, magari sotto gli occhi attenti del moroso che misurava la bravura della futura sposa.
Le madri erano attente custodi che tra le figliole e i ragazzi non ci fossero eccessive confidenze. Anche le parole o le espressioni grasse dovevano essere evitate. In questo aspetto si deve riconoscere l'insegnamento della Chiesa che vedeva con preoccupazione morale la promiscuità dei filò. Gli uomini si dedicavano alla riparazione delle "arte", gli arnesi da lavoro. I "zoghi dei filó" erano un passatempo ricercato dai giovani che, talvolta, rappresentava un premio e un timoroso approccio tra ragazzi e ragazze con la scusa della penitenza.
La penitenza poteva essere un bacio alla "vecia Maria", uscire nella neve, baciare la coda di una vacca e, raramente per la verità, fare una carezza a qualche "butela"!
Ma il momento magico dei filò, che passava dalla povertà quotidiana allo splendore della creazione fantastica, scaturiva dai racconti dei "contafole", detti anche "poeti". La trama delle loro "fole' ripete schemi e argomenti noti in tutto il mondo, ma l'importanza della favola veneta deriva da un intrinseco valore, dovuto all'uso del dialetto, al riflesso che in essa troviamo di una società oggi scomparsa. C'erano poi le "fole de ciesa", ad argomento religioso, capaci di suscitare nei ragazzi motivi di educazione morale. Così il filò si trasformava in una scuola senza banchi, dove i ragazzi apprendevano dagli anziani il modo di pensare e di comportarsi, secondo l'esperienza.
L'esperienza "dei veci" era l'unico libro aperto: alla scrittura, i contadini sostituivano la parola.
Con la fine dell'autunno, le contrade e le corti cominciavano a vivere una vita di gruppo più intensa, perché il lavoro assumeva un ritmo diverso da quello delle stagioni produttive (primavera - estate). Nel cuore dell'inverno, la stalla diventa il centro della vita sociale e familiare, perché le case erano umide e fredde e la legna scarseggiava.
Così, al primo freddo novembrino, le famiglie di una contrada o di una corte, come i contadini del paese, si riunivano nella propria stalla o in quella del vicino e vi restavano fino a un'ora "da cristiani", al caldo degli animali, sotto la luce di una lucerna a petrolio: era il filò. Durante il filò si parlava dei più e dei meno, ma esso aveva una fisionomia ben precisa, una ritualità e una sua importanza economica. Le donne si dedicavano al rammendo, a far calze, scarpette e, soprattutto a filare. La dote, sacrosanta, era messa insieme dalle ragazze durante il filò, magari sotto gli occhi attenti del moroso che misurava la bravura della futura sposa.
Le madri erano attente custodi che tra le figliole e i ragazzi non ci fossero eccessive confidenze. Anche le parole o le espressioni grasse dovevano essere evitate. In questo aspetto si deve riconoscere l'insegnamento della Chiesa che vedeva con preoccupazione morale la promiscuità dei filò. Gli uomini si dedicavano alla riparazione delle "arte", gli arnesi da lavoro. I "zoghi dei filó" erano un passatempo ricercato dai giovani che, talvolta, rappresentava un premio e un timoroso approccio tra ragazzi e ragazze con la scusa della penitenza.
La penitenza poteva essere un bacio alla "vecia Maria", uscire nella neve, baciare la coda di una vacca e, raramente per la verità, fare una carezza a qualche "butela"!
Ma il momento magico dei filò, che passava dalla povertà quotidiana allo splendore della creazione fantastica, scaturiva dai racconti dei "contafole", detti anche "poeti". La trama delle loro "fole' ripete schemi e argomenti noti in tutto il mondo, ma l'importanza della favola veneta deriva da un intrinseco valore, dovuto all'uso del dialetto, al riflesso che in essa troviamo di una società oggi scomparsa. C'erano poi le "fole de ciesa", ad argomento religioso, capaci di suscitare nei ragazzi motivi di educazione morale. Così il filò si trasformava in una scuola senza banchi, dove i ragazzi apprendevano dagli anziani il modo di pensare e di comportarsi, secondo l'esperienza.
L'esperienza "dei veci" era l'unico libro aperto: alla scrittura, i contadini sostituivano la parola.
Quando non c'era facebook.
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