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Visualizzazione dei post da ottobre, 2017

DA CONTADINI AD ASSALTATORI

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DA CONTADINI AD ASSALTATORI  gli arditi e j iu jitsu alla prima guerra mondiale Dopo due anni dall'ingresso in guerra contro l'Austria e di massacri in trincea, il Regio Esercito istituì una specialità di fanteria composta da reparti d'assalto che introdussero nel loro addestramento al corpo a corpo le tecniche di jiu jitsu (o judo). Stiamo parlando degli Arditi, le fiamme nere. Nella Scuola Reparti d’Assalto, a Sdricca di San Giovanni di Manzano l'addestramento era condotto con serietà e spregiudicatezza: tra le attività fisiche molta ginnastica, corsa e lotta corpo a corpo con e senza armi (sopratutto la scherma di pugnale). Manzano ebbe al suo interno, tra le varie specialità, una scuola di lotta giapponese.  La preparazione per il combattimento individuale comprendeva la difesa personale a mani nude, derivata dal jiu-jitsu. Per la formazione degli arditi al corpo a corpo furono invitati militari della Marina già destina

DOPO CAPORETTO: LE PROFUGHE E LA POVERTA'

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LE PROFUGHE E LA POVERTÀ Con lo scoppio della guerra e la chiamata alle armi di mariti, fratelli e padri parecchie donne dovettero inventarsi il ruolo di capo-famiglia, ruolo a cui non erano preparate. Quelle residenti nelle zone di guerra dovettero migrare in altre regioni affrontando esperienze nuove e difficili, soprattutto quando finirono nelle regioni del centro-sud. < Si instaurava così un circolo vizioso, come narra una profuga friulana giunta a Cerignola (FG): "... fuggita dal mio caro paesello, durante l'invasione nemica, senza aver potuto portare con me neppure il necessario per cambiarmi, fui menata qui, in questa città delle Puglie […]. Qui non si può avere neppure l'acqua per lavarsi e devo pagarla a caro prezzo, diffalcando la spesa dall'esigua paga di lire due al giorno. Con l'enorme crescente rincaro dei viveri devo pensare a tutto con sole due lire ; né posso andare in cerca di decorosa occupazione, vergognandomi di uscire dal mio rico

LA CAPORETTO DELLE DONNE, FATTA DI STUPRI MISERIA VIOLENZE

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, La Caporetto delle donne   Come sempre in tutte le guerre le vittime sono le donne, i bambini e gli anziani e la prima guerra dell'era moderna non fu da meno, non risparmiò i civili delle terre occupate dagli italiani e dalle truppe austro-tedesche. Ancor oggi si fa fatica a parlare del dramma degli stupri e dei figli di guerra ; il giornalista Ugo Ojetti ebbe il coraggio, a guerra finita, di parlarne sul Corriere della Sera. Raccontò delle donne che, nelle zone del fronte con la rotta di Caporetto, avevano subito stupri ed avuto figli da soldati a seguito di violenze o perché si erano prostituite per fame. Il Fascismo cancellò di fatto quei bambini che nacquero fino al 1921, loro erano purtroppo il risultato anche degli stupri commessi dai nostri soldati sbandati dopo Caporetto, come pure dalle conseguenze di una smobilitazione di fine conflitto e da una ripresa alla vita civile, molto lente nelle zone di guerra. Per quasi cent'an

PRIGIONIERO DELL'AUSTRIA PESAVO 34 CHILI

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CAPORETTO   DAL DIARIO DEI SOPRAVVISUTI Alcuni episodi della rotta di Caporetto raccontati dai soldati italiani che fanno un quadro drammatico, quanto surreale, di quello che successe per l'incapacità degli Ufficiali superiori. La ritirata durò dal 24 ottobre fino al 19 novembre: in quei giorni ci furono numerosi disordini, episodi drammatici con la popolazione che in alcune località rifiutava l’arrivo dei soldati italiani, ritenendoli traditori ed inetti. Gli sbandati compirono razzie nelle stalle e stupri di donne, tenuti nell'oblio fino alla fine della seconda guerra mondiale. Anche perché  la morale di allora, ritenendo l’aborto il peggiore dei crimini, non parlava di diritto, ma di "dovere dell’aborto": le donne non potevano decidere, si "doveva" praticarlo per salvare "l’onore" dei mariti o della famiglia. Austriaci e tedeschi non ebbero la forza di inseguire le truppe italiane per completare la loro vittoria e distruggere l’esercit

CAPORETTO VISTA DA UN BERSAGLIERE. IL DISASTRO IMMANE.

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24 ottobre 1917: Caporetto da  Il blog di un bersagliere  < i diari di guerra 1915-1918 di Flavio Petrassi >   Il tempo è nebbioso e cade un’acquarella fina ma che non disturba. Alle ore 2 del mattino il nemico apre un fuoco infernale contro le nostre posizioni e retrovie. Il fuoco è per lo più gas asfissiante di potenza terribile, quadrupedi ed uomini muoiono asfissiati mentre agli altri resta difficile la respirazione. Questo è il principio della grande offensiva nemica. Data l’impossibilità in assoluto di resistere al grande fuoco ed alle masse nemiche che attaccano, abbiamo ordine di iniziare la ritirata. Per le poche strade, la grande quantità di carri, quadrupedi e uomini che cercano di mettersi in salvo, è quasi impossibile transitare. Il nemico è alle nostre calcagna e noi a stento possiamo andare via. I ponti saltano e bruciano, i feriti sanguinolenti cercano soccorso, la confusione è indicibile. Passiamo a Caporetto che viene prest

CAPORETTO VISTO DAGLI AUSTRIACI

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La battaglia di Caporetto vista dal versante austria co Dall' intervento al convegno "Caporetto 1917" (Gorizia, maggio 2017) di Erwin Schmidl , professore di storia militare all'Università di Vienna < ... Oggi, in Austria, il ricordo della Grande guerra si è offuscato. Da un lato ciò è senz'altro dovuto al fatto che quella guerra «noi» l'abbiamo persa, e la sconfitta ha anche posto fine alla monarchia asburgica. Dall'altro, è da considerare che la maggior parte dei luoghi del conflitto si trovano al di fuori dei confini odierni dell'Austria. Soltanto pochi punti fermi sono sopravvissuti nella memoria collettiva: fra questi le battaglie sulle Alpi (anche in virtù del nesso con la perdita del Sud Tirolo) e forse il primo inverno di guerra sui Carpazi. E poi c'è l'Isonzo, col suo fronte breve (neppure cento chilometri) ma importante, che dal mare si estende lungo il Carso fino a raggiungere le Alpi Giulie. SUCCESSI E S

Sennò poi viene il Veneto. I manganelli di Madrid difendono gli Stati ottocenteschi

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Sorridete. Gli spari sopra... sono per voi dice una nota canzone Bene, non sono (ancora) spari ma sono per voi, Veneti inclusi. Paura. La parola chiave è paura. «...Sennò dopo l'indipendenza della Catalogna viene l'indipendenza del Veneto...» : l' altro giorno sulla Rai coglievo questa frase. Indipendentemente dall'argomento in questione, l'indipendenza del veneto era vista come un rischio terribile, un male assoluto da evitare ad ogni costo. Ma non c'è solo il Veneto. C'è il Süd Tirol, c'è la Sardegna terra di antica tradizione indipendentista. C'è la Sicilia, il cui Statuto è stato approvato prima – quindi senza – la Costituzione italiana. In Gran Bretagna c'è la Scozia, che ha provato ad andarsene. In Francia c'è la Corsica, terra di ribellione e di repubblica. In Belgio ci sono le Fiandre, terra fiamminga che vuole staccarsi. In Germania c'è il Libero Stato di Baviera che finché c'è denaro va bene, ma è sempre scalpita

SE LA CAPITALE DIVENTA UN NEMICO

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FERDINANDO CAMON Su "La Stampa" è comparso questo memorabie articolo di Ferdinando Camon: Il referendum lombardo-veneto non l’ha vinto la Lega, come dicono tutti i giornali. L’ha vinto la Liga, cioè la Lega originaria, che era nata nel Veneto e dal Veneto fu portata via da Umberto Bossi. La differenza percentuale dei votanti al referendum tra Veneto e Lombardia è del 20%. Un’enormità. Poiché sotto sotto il referendum voleva segnare la distanza delle due popolazioni, la lombarda e la veneta, da Roma, il risultato mostra che la distanza è infinitamente maggiore nel Veneto. Roma per i lombardi è un’altra capitale, la capitale di uno Stato rivale. Per i veneti è la capitale di uno Stato nemico. Si va a trattare, con i risultati del referendum lombardo: nuovi rapporti, nuove relazioni, economiche e fiscali. Con i risultati del referendum veneto si potrebbe andare, se le leggi lo permettessero, a trattare la separazione. L’uomo veneto odia Roma e tutto ciò che è romano,

QUANDO SI ADOTTO' IL GONFALONE MARCIANO?

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Nella cappella di Sant'Isidoro a San Marco la fortezza di Chio con i primi gonfaloni sugli spalti e sulle navi Di Aldo Zigiotto, esperto in vessillogia E’ curioso che il primo accenno al vessillo marciano si trovi a proposito dell’uso in contemporanea, sulle navi da guerra di Genova e Venezia, che dopo quella volta saranno sempre acerrime nemiche. Infatti “nel 1242 Genova stava aspettando un attacco congiunto di dei pisani e di Federico II...i comandanti delle galere (comiti) portavano due bandiere:una con il signum Communis di Genova e l’altra con il “signum Venetorum sancti Marchi” secondo l’accordo del 1238. Per la prima volta vennero issate contemporaneamente le insegne di due bandiere di due stati differenti su una flotta. Manca purtroppo la descrizione del vessillo. Uso analogo si ebbe poi con Pisa, questa volta ai danni di Genova a seguito del patto stretto nel 1257. Come gli studiosi itlaiani che si interessarono all’argomento , anche H. Hortmann è del parere che

ANCORA SUL VESSILLO MARCIANO CON LE CODE

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gonfalon dogale del sec XVII Ho ripescato un vecchio saggio di uno studioso, Aldo Zigiotto, ben documentato, in cui si precisa che il gonfalone marciano con le code era prerogativa del Doge, ovvero simbolo dello Stato veneto. E inoltre le bandiere comparivano a volte con quattro, con cinque, o con sei code. Non cita, l'autore, alcuna normativa in merito sul numero e quindi resta dubbia qualsiasi spiegazione. Rassegnamoci. Lui interpellò (l'articolo lo pubblicammo nel '97, con gli Armigeri del Piave, associazione di "terroristi" (così certe persone ci vedevano dati gli interessi :D ) che si occupava di armi antiche  e moderne, in occasione del bicentenario della fine della Repubblica) lui interpellò, dicevo, il vecchio direttore del Museo Storico Navale di Venezia, che gli precisò alcune cose.  Riporto il pezzetto. Il saggio è di molte pagine ed è introvabile. Ma merita la lettura. "Nelle numerose varianti il leone reggeva a volte una spada, a volte u

Le canzoni nate in trincea: LA LEGGENDA DEL PIAVE

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Le canzoni nate in trincea Il Monte Nero, il Monte Grappa ed in mezzo la Piave. Non è un caso che questi tre luoghi abbiano dato origine e siano stati i protagonisti dei canti più importanti della Iª Guerra Mondiale, teatri delle battaglie più sanguinose che caratterizzarono il conflitto dove migliaia di contadini, di artigiani e di operai di entrambe le parti morirono. Canzoni nate sul campo, realisticamente autentiche, forse non belle ma che sono sopravvisute fino ai giorni nostri, come La leggenda del Piave , La canzone del Monte Grappa e Monte Nero a conquistar . E.A.Mario (pseudonimo di Giovanni Ermete Gaeta) autore della Canzone del Piave La più famosa è senz'altro La leggenda del Piave , scritta da Giovanni Ermete Gaeta, un postino-barbiere-poeta napoletano con il titolo scolastico di maestro, che si firmava con lo pseudonimo di E.A.Mario. Avrebbe potuto diventare milionario con i diritti d'autore ma la Siae commise un vera