LA PATRIA VENETA E L'ORO DELLE DONNE VENEZIANE

Quando la patria chiama … Le necessità dell’erario sono sempre un pozzo senza fondo ma di fronte alla possibilità di una catastrofe militare i sentimenti della popolazione si rivelano buoni e generosi. Si dà fondo alle ricchezze personali pur di consentire il riarmo della flotta …disegno di Gattieri.

Sotto riporto l'episodio in cui Venezia, ancora ristretta al Dogado, si trova la flotta diGenova in casa, e la popolazione (nobili, artigiani e popolani) si unisce compatta nello sforzo di respingere il nemico.
Le donne offrono le proprie "zogie" (oro e gioielli) per la difesa della Patria.
La Patria allora era il cortile del palazzo, il rio. Era la chiesa e il modo di vivere della città, e questo processo di autodifesa, straordinariamente, scatterà ancora qualche secolo dopo, per la guerra di Cambrai, ma per tutti i "sudditi" della Terraferma, durante la guerra di Cambrai.
La Patria dei veneziani era riuscita ad espandersi nel Dominio, facendo un corpo unico nel momento della crisi profonda, di contadini e borghesi delle città. Mancarono all'appello i nobili dell'entroterra, che avevano visti limitati i loro poteri dall'arrivo del Leone. Stesso processo che si ripeterà nel 1796-97, con l'arrivo dell'armata di Napoleone, l'Attila dei Veneti.
La Patria quindi è il nostro modo di vivere, le nostre memorie:I popoli veneti (parlo al plurale, intendendo anche quelli della Lombardia veneta, della patria del Friuli, dellI’Istria e della Dalmazia) erano Patrioti, ma non erano nazionalisti come lo si intenderebbe oggi. Il vero cemento della Nazione era la libertà che Venezia riconosceva ad ogni campanile, ad ogni borgo, ad ogni piccola patria. Venezia riconosceva a tutti il diritto di essere eredi della propria tradizione locale, di reggersi secondo le proprie costumanze e regole antiche, nate da una evoluzione naturale della società e non per imposizione dall’alto. la-patria-moderna-e-la-patria-dei-veneti/

dal sito Veja.it
“I bisogni della guerra che ogni dì più si facevan sentire, essendo ridotta Venezia, come in altro luogo notammo, agli ultimi estremi, chè i Liguri, già impossessati di Malamocco, le toglievano ogni mezzo di aiuto, obbligarono il Senato a tener vivo più sempre l’ardore dei cittadini, stimolandoli a recare quanti aiuti potevano, sia colla borsa, che colla persona. Per ciò fare con risultamento felice, decretava il dì primo decembre 1379, che al finir della guerra medesima si avessero ad accettare nel Consiglio Maggiore, ed ascriversi quindi al patriziato, trenta famiglie fra quelle che più si fosser distinte nello aiutare la patria in tanta calamità … ” Testo di Francesco Zanotto.


La guerra si avvicina alla città

La notizia della sconfitta e dell’avanzata nemica suscitò paura e sconcerto a Venezia dove scattò l’allarme generale.
Si provvide immediatamente a rinforzare le difese e le fortificazioni dato che la Repubblica poteva ora contare solo su una mezza dozzina di navi di fronte ad una flotta nemica che andava invece sempre più ingrossandosi per l’arrivo di rinforzi dai vari alleati. E così il porto di Lido venne sbarrato e l’abbazia di S. Nicolò fortificata.
Durante quelle settimane estive del 1379 i veneziani, tutti i veneziani, lavorarono febbrilmente giorno e notte per fortificare la loro città. Fu uno sforzo corale di tutta una comunità che non voleva perdere la propria libertà.
Alla fine dell’anno il governo ducale si vide costretto a ricorrere ad un prestito forzoso per far fronte al crescente e prolungato sforzo bellico e difensivo. Si decretò così il 10 dicembre che trenta fra le più generose famiglie sarebbero state accolte, finita la guerra, nel patriziato cittadino ovvero nel Consiglio Maggiore; alle famiglie di rango inferiore che avessero ugualmente ed in qualunque modo partecipato alla guerra, sarebbero invece spettati 5.000 ducati d’oro annui; da ultimo si decretò un premio a quei forestieri che si fossero schierati con Venezia.
La risposta della cittadinanza fu naturalmente massiccia e generosissima, stando almeno alla nota del denaro che si riuscì a raccogliere in quei giorni terribili in ciascun sestiere della città: Castello 1,300,683 lire; S.Marco 1,506,854; Canaregio 1,106,600; Dorsoduro 627,700; S.Polo 1,040,703; S.Croce 6,294,040 lire.
Quel denaro doveva necessariamente servire a ribaltare una delle situazioni più tragiche e disperate in cui Venezia si era ritrovata dalle origini della sua storia.

Fonte: srs di Giuseppe Gatteri, Antonio Viviani, Francesco Zanotto, Giuseppe Grimaldo, Laura Poloni, Giorgio Marenghi; da STORIA VENETA, volume 2, SCRIPTA EDIZIONI

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