QUELLA FLOTTA IN MEZZO AI MONTI E LA GALEA SOMMERSA DI LAZISE.
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Di
Milo Boz
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Ne abbiamo già parlato, ma val la la pena riproporre questa più completa narrazione che esalta il genio e lo spirito di impresa tipico del nostro popolo.
L'articolo è del 1989.
Ricordate nel film Fitzcarraldo il battello che risale faticosamente la collina? Una scena molto avvincente ma già girata quattrocento anni fa, quando la Repubblica di Venezia decise di trasportare via terra, per le ragioni che diremo, una piccola flotta nel lago di Garda. Una delle galee che ne faceva parte giace sul fondo davanti a Lazise e ora il Servizio per l' archeologia subacquea del ministero dei Beni Culturali (Stas) si appresta a rimetterla nella Darsena (o Dogana Vecchia) nella quale fu ormeggiata nel Quattrocento, quando non era un fossile ma un temibile strumento di guerra.
La straordinaria storia della flotta attraverso i monti e dell' imminente recupero dell' unico esemplare di galea veneziana giunto fino a noi è uno dei punti di maggiore interesse di un convegno che si svolge da oggi a Roma (San Michele, 9-11 dicembre) e al quale partecipano gli addetti all' altra metà dell' archeologia, l' archeologia d' acqua, sorella povera e troppo a lungo trascurata di quella terrestre.
Ma torniamo alla galea sommersa, il cui studio si deve a Marco D' Agostino mentre il piano di recupero è di Luigi Fozzati. C' era una guerra tra milanesi e veneziani, la causa prossima della quale consisteva nel fatto che Filippo Maria Visconti insidiava il possesso del lago di Garda, zona strategica come poche, alla Serenissima (la quale l' aveva a sua volta strappato ai Visconti all' inizio del secolo). Correva l' anno 1437 e Niccolò Piccinino, valente condottiero al soldo del Visconti, aveva stretto d' assedio Brescia, alleata di Venezia; e la Repubblica aveva affidato il comando delle sue forze a un altro celebre capitano, il Gattamelata. Costui, cercando di tenere a bada il Piccinino, raccolse le sue forze intorno a Brescia, mentre le truppe del marchese Gonzaga (altro contendente) occupavano il territorio intorno al Mincio e al basso lago fino a Salò.
La situazione per Venezia diventava dunque grave. Brescia, isolata, non avrebbe potuto difendersi a lungo e occorreva portarle aiuto. Ma il lago era virtualmente nelle mani del Piccinino e del Gonzaga, non vi si trovavano navi da utilizzare né si poteva raggiungerlo lungo la consueta via d' acqua risalendo il Po e il Mincio (in mano, come abbiamo detto, del Gonzaga). A questo punto avviene il fatto più clamoroso dell' epoca, celebrato in tutta Europa: il trasporto di una flotta da Venezia al lago di Garda attraverso i monti.
A consigliare l' ardita impresa è lo stesso Gattamelata, che ha appena sperimentato l' itinerario montano con una parte delle sue truppe onde evitare il blocco meridionale dei milanesi. E a studiarne i particolari tecnici è un marinaio greco di nome Sorbolo, originario di Creta. Il Senato approva, fa costruire una flotta nell' Arsenale e nel gennaio 1439 comincia la lunga marcia. Quante fossero esattamente le navi è difficile dire.
Probabilmente si trattava di due galee, unità da guerra lunghe circa quaranta metri a vela latina e remi, armate di cannoni; di quattro galee minori o fuste e di diverso altro naviglio leggero. Partita dunque in pieno inverno, la flotta risale l' Adige e si concentra a Verona, fin qui senza eccessive difficoltà. Ma sopra Verona l' Adige si restringe e forma delle rapide che i legni devono risalire facendosi trainare da molti uomini e da duemila buoi. Il traino prosegue per una quarantina di chilometri fino a Marco dove una antica frana ostruisce il fiume, abbandonato il quale si prosegue fra i monti sfruttando come varco il letto dei torrenti riempiti di terra e sassi, e ricoperti di tronchi su cui far scorrere le navi.
Breve parentesi acquatica sul lago di Loppio (ora prosciugato) e da Loppio ancora con tronchi e buoi su fino a Nago, quindi attraverso il valico giù verso il Garda, con pendenze del trenta-quaranta per cento, fino a Torbole, dove le navi vengono finalmente immesse nel lago. La flottiglia è subito impiegata contro il Piccinino, per approvigionare Brescia e appoggiare le azioni di terra.
Con la pace di Lodi (1454) Venezia torna in possesso di tutto il lago e non ha più bisogno della flotta che viene disarmata e ricoverata nell' arsenale di Lazise. Segue localmente un lungo periodo di tranquillità finché la pace lacustre è inghiottita dal vortice di una più vasta guerra, quella scatenata contro Venezia da Austria, Francia, papa Giulio secondo e principi riuniti nella lega di Cambrai (1508). La Repubblica provvede alla difesa navale sul Po, l' Adige, il Mincio, e viene il momento di ripristinare i vascelli scesi dai monti, il comando dei quali è affidato a Zaccaria Loredan.
In realtà, della vetusta flotta gardesana resta ben poco, come si capisce dal dispaccio che Loredan invia a Venezia il 20 maggio 1509 annunciando di aver butà la galia et fusta in acqua, et va scorendo il lago. Le scorrerie del capitano da mar durano comunque pochissimo in quanto le sorti della guerra volgono al peggio, tanto al peggio che Venezia decide di affondare le navi per sottrarle al nemico.
Stando agli ordini, Loredan si imbarca il 30 maggio per l' ultima navigazione. Appena fuori Lazise incendia e affonda una galea, poco più in là una fusta carica di armi e raggiunge infine con un' altra fusta Garda per proseguire per Venezia. Qui finisce la storia delle galee, o meglio finirebbe se un naturalista del Settecento, Francesco Fontana da Lazise, non lasciasse memoria di quei fatti straordinari e indicazione del luogo dell' autoaffondamento.
Così negli anni Sessanta di questo secolo subacquei volontari (gli unici a occuparsi di vestigia sommerse prima dell' istituzione del ricordato Servizio ministeriale) individuano lo scafo e cominciano a liberarlo del fango. Con il risultato sia detto senza offesa per il benemerito sub Enrico Scandurra e il Museo civico di Verona che patrocinò lo scoprimento di favorire la spogliazione del relitto, frammenti del quale fanno oggi bella mostra di sé nei bar della zona. A questo punto entra in scena lo Stas con il progetto di recupero, per il quale il dottor Fozzati dispone di duecento milioni: poco, se si pensa al cospicuo lavoro di conservazione dei legni che occorre intraprendere; abbastanza, se si pensa al nulla che lo Stato destina ad altri reperti sommersi, non meno importanti della galea di Lazise.
di GIOVANNI MARIA PACE- Ottieni link
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I Galeotti, terminato il loro servizio o la loro pena, spesso rimanevano nei paesi sulla riva del Garda. Si riconoscono dal loro cognome: Brighent, Pericolosi, Gajun
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