PRIGIONIERO DELL'AUSTRIA PESAVO 34 CHILI



CAPORETTO 
DAL DIARIO DEI SOPRAVVISUTI
Alcuni episodi della rotta di Caporetto raccontati dai soldati italiani che fanno un quadro drammatico, quanto surreale, di quello che successe per l'incapacità degli Ufficiali superiori.
La ritirata durò dal 24 ottobre fino al 19 novembre: in quei giorni ci furono numerosi disordini, episodi drammatici con la popolazione che in alcune località rifiutava l’arrivo dei soldati italiani, ritenendoli traditori ed inetti. Gli sbandati compirono razzie nelle stalle e stupri di donne, tenuti nell'oblio fino alla fine della seconda guerra mondiale. Anche perché  la morale di allora,
ritenendo l’aborto il peggiore dei crimini, non parlava di diritto, ma di "dovere dell’aborto": le donne non potevano decidere, si "doveva" praticarlo per salvare "l’onore" dei mariti o della famiglia.
Austriaci e tedeschi non ebbero la forza di inseguire le truppe italiane per completare la loro vittoria e distruggere l’esercito italiano che, stabilendosi sulla riva destra del Piave, aveva creato la linea difensiva che gli austriaci non riusciro a sfondare.
Il Soldato e la Morte – Hans Larwin, 1917


Pesare 34 kg
Ugo Cavallo fa il cuoco alla mensa ufficiali della brigata Lombardia

Tra i ricordi più nitidi della Prima Guerra Mondiale che appunta su un quaderno in cui racconta le sue memorie, c’è la macellazione di un maiale che ha eseguito magistralmente non lontano dalla prima linea, riscuotendo i consensi di tutto il battaglione e degli ufficiali increduli di potersi concedere il lusso di mangiare insaccati a pochi chilometri dal nemico. Ma c’è un altro ricordo di quell’esperienza che affiora nitido, un ricordo amaro che provocherà lunghe sofferenze e un periodo di prigionia durante il quale rischierà la morte. 
Un ricordo. Quello di Caporetto, alla fine di ottobre del 1917, quando dirigeva una mensa allestita sul monte Sabotino, sotto Gorizia. 

Ricordo che venne l'ordine di arrendersi verso le ore 11 ed io avevo la mensa pronta da mandare con cestini agli Ufficiali che erano in linea, e così dovetti sospendere tutto, ed in furia e in fretta dividemmo fra noi inservienti tutto ciò che si poteva mangiare, per non lasciarla in mano agli Austriaci, e così per un p'ò di giorni potevamo sfamarci. Arrivati i nemici, ci fecero incolonnare, e sempre a piedi abbiamo camminato per circa sei giorni, sotto piogge torrenziali, e per di più non ci davano neanche da mangiare e noi che (come hò detto avevamo le ultime scorte della mensa) dovevamo cercare di non essere visti dai Soldati quando ci veniva voglia di mangiare, per non essere obbligati a farne parte anche con solo quelli che risultavano vicini. Venne purtroppo anche per noi il momento che le scorte furono finite, ed ancora non si era arrivati a destinazione che però nessuno poteva immaginare dove fosse stabilita la dimora. Si sapeva però di camminare verso l'Ungheria ma non la località, perciò un bel giorno arrivammo in una località che poi venimmo a sapere chiamarsi Dunasardanl, dove in un pieno deserto vi era un grande concentramento per noi prigionieri. Fortunatamente vi erano i baraccamenti dove poter essere al riparo dalle intemperie e si dormiva sui tavolacci, e il rancio consisteva in un po' di fieno tritato, bollito nell'acqua. Il pane consisteva in circa 90 grammi per persona per tutta la giornata e così si incominciava a dimagrire poco per volta, ed i più deboli morivano di fame. Dopo un po' di tempo ci trasferirono in Bohemia, dove si parlava di costruire un nuovo ponte in cemento armato perciò la scelta dei prigionieri da inviare sul posto per quel lavoro, cadde sui più robusti, e ancora forti, e così mi è toccata la sorte anche a me di partire. Colà, sempre lo stesso trattamento come vitto in più il lavoro da compiere nello scaricare sacchi di cemento e adoperare picco e badile. Ben presto mi sono ammalato e mi spedirono alla volta del grande concentramento di Mathausen dove fui destinato al rimpatrio con il così detto concordato tra Vaticano e le Nazioni in guerra di rimpatriare tutti quei soldati da ritenersi invalidi, perciò io fui fatto partire e destinato ad un ospedale di Bergamo. Ricordo che prima di mettermi a letto ci pesarono tutti, ed io pesavo la bellezza di soli 34 kgr. senza scarpe.


Bere, parlare, fumare e morire
Dopo un turno in prima linea, inizia la marcia per raggiungere le retrovie.
Augusto Aglietti racconta: "Si percorreva una strada mulattiera tutta in salita ripidissima, sassosa, si scivolava molto ché da vari giorni pioveva, stanchi e molti indeboliti per l'enormi fatiche, e la misera vita, mangiando sempre pane secco con qualche po' di carne lessa da qualche giorno cotta, con un po' di riso, la portavano dentro un sacco che ci si attaccavano tanti di quei peli di sacco, bevendo l'acqua dell'Isonzo, dove frequentemente passavano cavalli e soldati morti, si arrivò al detto monte alle 5 del mattino, durante il tragitto ci avevano raccomandato i superiori nostri, che era assolutamente proibito di palare e l'accendere sigarette e sigari, ci avrebbe visto subito il nemico , e accorgendosi di una colonna in marcia ci avrebbe fulminato, perché a breve distanza."





CONTRIBUTO DA
http://espresso.repubblica.it/grandeguerra/index.php?page=estratto&id=43

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