Evadere dai piombi


Sezione prospettica del Palazzo Ducale; in alto i Piombi, sotto i Pozzi

EVADERE DAI PIOMBI


"... Quando scorsi l'enorme trave oscillare, sentii mancarmi l'equilibrio e mi resi conto che si trattava di una scossa di terremoto ..."

Il famoso, quanto distruttivo, terremoto che colpì Lisbona il primo novembre 1755, fu sentito anche da Giacomo Casanova che si trovava rinchiuso nel carcere dei Piombi nel Palazzo Ducale a Venezia.

Il terremoto venne avvertito in tutta Europa e non causò danni sostanziali alla solida struttura del Palazzo Ducale che assorbì la scossa ma in compenso solleticò la volontà di Casanova di evadere dai Piombi; compì due tentativi di fuga, il primo fallì mentre riuscì al secondo.

 
    
Palazzo Ducale: veduta delle coperture in piombo


Così Casanova racconta nel suo "Histoire de ma fuite de Prison de la République de Venise qu'on appelle les Plombs" edito nel 1788 a Lipsia.
"Stavo in piedi nella soffitta e guardavo in alto verso l'abbaino, semicoperto, come sempre, da una grossa trave. Lorenzo (nft: Lorenzo Basadona, il carceriere )stava uscendo dalla mia cella con due dei suoi, quando scorsi l'enorme trave non soltanto oscillare ma spostarsi verso destra per poi tornare di nuovo indietro con un movimemto lento e ininterrrotto; nello stesso tempo sentii mancarmi l'equilibrio e mi resi conto che si trattava di una scossa di terremoto; anche gli arcieri dissero lo stesso ... In seguito, pensandoci, mi rammentai che fra gli eventi possibili calcolavo anche il crollo del Palazzo Ducale che avrebbe potuto favorire la mia libertà".

Porta della cella (a dx) che secondo la tradizione avrebbe ospitato Giacomo Casanova

Interno della cella dove, secondo la tradizione, sarebbe stato rinchiuso Giacomo Casanova

  1° TENTATIVO, Novembre 1755: Si trovava in quella cella dall'estate e, nella calde giornate in cui doveva stare steso sul pavimento per poter trovare un po' di refrigerio, si rese conto che era stata rivestita con tavoloni incrociati inchiodati e rinforzata da barre metalliche.
Con uno spuntone metallico, reso accuminato sopra una pietra, Casanova fece un foro sul pavimento della sua cella "fatto di tavole di larice (larghe cm 43 x 3 di spessore) per poi trovare sotto un'altra tavola ... che stimai uguale alla prima". Dopo alcune settimane riuscì a forare il triplo tavolato chiodato (circa 10-11 cm totali) sotto il quale trovò uno strato di "terrazzo alla veneziana, così duro che mi sgomentai accorgendomi che il mio catenaccio (scalpello) non lo scalfiva neppure. ... Mi venne in mente che Annibale, secondo Tito Livio, si era aperto un passaggio frantumando le rocce a colpi d'ascia, dopo averle rese friabili con l'aceto".Forse fu suggestione ma l'impasto di calce, coccio pesto e frammenti di pietre multicolore, in alcuni giorni cedette e così riuscì a forare il "terrazzo".
Senz'altro Casanova calcò la mano nel raccontare le avventure per la fuga.

2° TENTATIVO, Agosto 1756: Riprese lo scavo essendo ritornato ad essere solo in cella, pur avendo dovuto interrompere il lavoro per la presenza di un altro detenuto. "Scavando l'ultima tavola, cercavo di stare molto attento nell'assotigliarla senza trapassarla; raggiunta la superficie opposta, accostai l'occhio al foro attraverso il quale avrei dovuto scorgere la stanza degli Inquisitori, ed in effetti la vidi."
La libertà sembrava vicina ma il 25 di quel mese fu trasferito di cella riuscendo a portarsi dietro solo lo "spuntone". Senz'altro Casanova fu coperto dalla complicità del Lorenzo Basadona, il quale, una volta scoperta la sua fuga, venne condannato a 10 anni di carcere duro nei Pozzi, dove morì.
Nella nuova cella, Casanova assieme al compagno di prigionia, Marino Balbi, praticò un foro sul tavolato del soffitto e della copertura in piombo. Compì la più famosa e rocambolesca evasione autocelebrata nella notte di Ognissanti del 1755 attraverso i tetti, per poi calarsi nel cortile di Palazzo Ducale, dal quale uscì indisturbato come un comune visitatore e scappare da Venezia.
Fu un'evasione fra le più note della storia, seppur adombrata dal sospetto di alcune complicità all'interno e all'esterno; taluni sostengono che ci fu la volontà politica di liberarsi di un personaggio alquanto scomodo.
Negli archivi c'è la documentazione dei lavori eseguiti per riparare il foro da dove era avvenuta la fuga ed in pratica si è avuta la conferma che le celle in legno erano formate da robusti tavolati di larice sovrapposti incrociati ed inchiodati tra loro (ndr: come l'attuale x-lam), oltre che rinforzati da lamine di ferro.
Oltre a Casanova, nei Piombi, furono incarcerati anche Giordano Bruno, Silvio Pellico, Daniele Manin e Niccolò Tommaseo.
Secondo lo storico Francesco Zanotto, la fuga del Casanova e del suo compagno di cella Balbi aveva dei tratti surreali: come avrebbero potuto praticare un foro sul tetto, molto spesso, muoversi su di esso senza appiglio alcuno, per poi calarsi per circa 28 metri da esso?
Tale narrazione gli appariva inoltre favolosa in quanto la preparazione di una tale impresa avrebbe impiegato tempi troppo lunghi pur con un appoggio esterno. Al contrario, critici successivi sostengono che la fuga, nelle modalità descritte nei dettagli dal Casanova, sia sostanzialmente vera.


Estratto dall'articolo di Umberto Barbisan e Marta Lazzarini
I PIOMBI – Il drammatico Carcere del Palazzo Ducale a Venezia
Il labirintico sottotetto di un palazzo dove regna sovrano il legno
pubblicato su Tetto&Pareti in Legno – dicembre 2009


Ipotetica ricostruzione della fuga da una stampa d'epoca



















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