Evadere dai piombi
EVADERE DAI PIOMBI
"... Quando scorsi
l'enorme trave oscillare, sentii mancarmi l'equilibrio e mi resi
conto che si trattava di una scossa di terremoto ..."
Il famoso, quanto distruttivo,
terremoto che colpì Lisbona il primo novembre 1755, fu sentito anche
da Giacomo Casanova che si trovava rinchiuso nel carcere dei Piombi
nel Palazzo Ducale a Venezia.
Il terremoto venne avvertito in tutta
Europa e non causò danni sostanziali alla solida struttura del
Palazzo Ducale che assorbì la scossa ma in compenso solleticò la
volontà di Casanova di evadere dai Piombi; compì due tentativi di
fuga, il primo fallì mentre riuscì al secondo.
"Stavo in piedi nella soffitta
e guardavo in alto verso l'abbaino, semicoperto, come sempre, da una
grossa trave. Lorenzo (nft: Lorenzo Basadona, il carceriere )stava
uscendo dalla mia cella con due dei suoi, quando scorsi l'enorme
trave non soltanto oscillare ma spostarsi verso destra per poi
tornare di nuovo indietro con un movimemto lento e ininterrrotto;
nello stesso tempo sentii mancarmi l'equilibrio e mi resi conto che
si trattava di una scossa di terremoto; anche gli arcieri dissero lo
stesso ... In seguito, pensandoci, mi rammentai che fra gli eventi
possibili calcolavo anche il crollo del Palazzo Ducale che avrebbe
potuto favorire la mia libertà".
Porta della cella (a dx) che secondo la tradizione avrebbe ospitato Giacomo
Casanova
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Interno
della cella dove, secondo la tradizione, sarebbe stato rinchiuso
Giacomo Casanova
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1°
TENTATIVO, Novembre 1755: Si trovava in quella cella
dall'estate e, nella calde giornate in cui doveva stare steso sul
pavimento per poter trovare un po' di refrigerio, si rese conto che
era stata rivestita con tavoloni incrociati inchiodati e rinforzata
da barre metalliche.
Con uno spuntone metallico, reso
accuminato sopra una pietra, Casanova fece un foro sul pavimento
della sua cella "fatto di tavole di larice (larghe cm 43
x 3 di spessore) per poi trovare sotto un'altra tavola ... che
stimai uguale alla prima". Dopo alcune settimane riuscì a
forare il triplo tavolato chiodato (circa 10-11 cm totali) sotto il
quale trovò uno strato di "terrazzo alla veneziana, così
duro che mi sgomentai accorgendomi che il mio catenaccio (scalpello)
non lo scalfiva neppure. ... Mi venne in mente che Annibale, secondo
Tito Livio, si era aperto un passaggio frantumando le rocce a colpi
d'ascia, dopo averle rese friabili con l'aceto".Forse
fu suggestione ma l'impasto di calce, coccio pesto e frammenti di
pietre multicolore, in alcuni giorni cedette e così riuscì a forare
il "terrazzo".
Senz'altro Casanova calcò la mano nel raccontare le avventure per la fuga.
Senz'altro Casanova calcò la mano nel raccontare le avventure per la fuga.
2°
TENTATIVO, Agosto 1756:
Riprese
lo scavo essendo ritornato ad essere solo in cella, pur avendo dovuto
interrompere il lavoro per la presenza di un altro detenuto.
"Scavando l'ultima tavola, cercavo
di stare molto attento nell'assotigliarla senza trapassarla;
raggiunta la superficie opposta, accostai l'occhio al foro attraverso
il quale avrei dovuto scorgere la stanza degli Inquisitori, ed in
effetti la vidi."
La
libertà sembrava vicina ma il 25 di quel mese fu trasferito di cella
riuscendo a portarsi dietro solo lo "spuntone".
Senz'altro Casanova fu coperto dalla complicità del Lorenzo
Basadona, il quale, una volta scoperta la sua fuga, venne condannato
a 10 anni di carcere duro nei Pozzi, dove morì.
Nella
nuova cella, Casanova assieme al compagno di prigionia, Marino Balbi,
praticò un foro sul tavolato del soffitto e della copertura in
piombo. Compì la più famosa e rocambolesca evasione autocelebrata
nella notte di Ognissanti del 1755 attraverso i tetti, per poi
calarsi nel cortile di
Palazzo Ducale, dal quale uscì indisturbato come un comune
visitatore e scappare
da Venezia.
Fu
un'evasione fra le più note della storia, seppur adombrata dal
sospetto di alcune complicità all'interno e all'esterno; taluni
sostengono che ci fu la volontà politica di liberarsi di un
personaggio alquanto scomodo.
Negli
archivi c'è la documentazione dei lavori eseguiti per riparare il
foro da dove era avvenuta la fuga ed in pratica si è avuta la
conferma che le celle in legno erano formate da robusti tavolati di
larice sovrapposti incrociati ed inchiodati tra loro (ndr: come
l'attuale x-lam), oltre che rinforzati da lamine di ferro.
Oltre
a Casanova, nei Piombi, furono incarcerati anche Giordano Bruno,
Silvio Pellico, Daniele Manin e Niccolò Tommaseo.
Secondo
lo storico Francesco Zanotto, la fuga del Casanova e del suo compagno
di cella Balbi aveva dei tratti surreali: come avrebbero potuto
praticare un foro sul tetto, molto spesso, muoversi su di esso senza
appiglio alcuno, per poi calarsi per circa 28 metri da esso?
Tale
narrazione gli appariva inoltre favolosa in quanto la preparazione di
una tale impresa avrebbe impiegato tempi troppo lunghi pur con un
appoggio esterno. Al contrario, critici successivi sostengono che la
fuga, nelle modalità descritte nei dettagli dal Casanova, sia
sostanzialmente vera.
Estratto
dall'articolo di Umberto Barbisan e Marta Lazzarini
I
PIOMBI – Il drammatico Carcere del Palazzo Ducale a Venezia
Il
labirintico sottotetto di un palazzo dove regna sovrano il legno
pubblicato
su Tetto&Pareti in Legno – dicembre 2009
Ipotetica
ricostruzione della fuga da una stampa d'epoca
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