LIBRI, CRIMINALITA' E CLERO NELLA SERENISSIMA


Treviso – “Sacerdoti senza vocazione, frati che cercavano nel chiostro un rimedio alla miseria, fedeli impauriti dall’arroganza di chi avrebbe dovuto guidarli nella cura dell’anima. Circa trecento casi di ecclesiastici finiti davanti al giudice per reati che andavano dall’omicidio alla rapina, dallo stupro alla sodomia, dal porto d’armi proibite al contrabbando, dalla rissa alla calunnia, fino alla truffa. Tutto questo nella Repubblica della Serenissima che, nella sua concezione laica dello Stato, non faceva sconti a chi portava l’abito talare, ed anzi rimarcava che i ministri del culto avrebbero dovuto dare il buono e non il cattivo esempio”.
E’ quanto si legge nella presentazione del libro “Preti frati e giudici. Criminalità e clero nella Repubblica di Venezia”, del giornalista trevigiano Sante Rossetto, appena uscito per i tipi di Canova Edizioni. Nel volume l’autore fa un ampio affresco, dal Concilio di Trento alla prima metà del settecento, sulla condizione sociale, morale e spirituale del clero nella Serenissima.
Dalle sentenze del Malefizio, il tribunale penale, dell’Archivio di Stato di Treviso, l’autore ricava il quadro del comportamento di preti e frati in alcune podesterie della terraferma veneta. Ne esce un’immagine abbastanza fosca e scarsamente edificante. Situazione peraltro non differente da altre parti d’Italia e d’Europa. Rossetto  è stato caporedattore del Gazzettino in alcune città del Veneto. Accanto all’attività professionale ha coltivato gli studi storici con particolare attenzione alla storia della stampa e del giornalismo trevigiano e veneto.
NdR: Aggiungo un altro tassello: il cognome Zago (che portava anche mia madre) è molto diffuso tra il padovano e il veneziano. Deriva dal sostantivo "zaghetto" che nella nostra lingua "veneziana" indica il chierichetto. Ma "Zago" si chiamava anticamente anche il ragazzino del paese che per le sue doti di devozione e intelligenza, veniva prescelto dalla comunità per abbracciare gli studi ecclesiastici, a spese del villaggio. Era considerato un premio, all'epoca la professione sacerdotale, agli occhi dei fedeli, era ammantata di carisma e prestigio. Il sacerdote, specie nelle campagne venete,continuerà ad esser visto come guida e padre della Comunità, che ricorreva  a lui anche per cercare una sistemazione o un lavoro nella città. l Il Governo Veneto colpiva con la massima severità i preti felloni, spesso in contrasto con la Chiesa Romana che voleva riservarsi il diritto di giudicarli anche per reati comuni.
Da un conflitto del genere (per un prete accusato di omicidio e altri reati) nacque all'inizio del Seicento lo scontro con Roma, con il giureconsulto Paolo Sarpi che difendeva la ragioni dello stato veneto (date a Cesare quello che è di Cesare, a Dio quello che è di Dio. Principio che fece la differenza tra noi occidentali e il resto del mondo, specie quello musulmano).

Commenti