.ZINGARI E BANDITI: COME SAN MARCO DIFENDEVA I SUOI SUDDITI

In questi giorni di grande dibattito sull’espulsione dei Rom, può essere utile rammentare che la Veneta Serenissima Repubblica vi procedette sistematicamente già nel Cinquecento, sollecitata dalle sue fedeli Comunità rurali, le quali non erano in grado di difendersi dalla delinquenza generalizzata portata da QUESTA ETNIA (il termine "cingani" lo userò nel contesto storico, dato che ora è vietato dal Grande Censore che modella la Parola).
La Serenissima vi procedette con decisione, ma anche in controtendenza con la grande politica di ospitalità delle comunità straniere praticata soprattutto a Venezia, dove i foresti come Tedeschi, Italiani, Greci, Slavi, Armeni, Ebrei, Arabi, Turchi, Inglesi, Francesi, Spagnoli, Svizzeri, ecc. formavano delle piccole patrie all’interno della Città, collegate con la terra d’origine, dove esse coltivavano in forma privata le proprie religioni, lingue, culture, a volte potendo persino stampare propri libri. Importantissima l’attività di mediazione commerciale e talvolta diplomatica che tali comunità svolgevano con i propri connazionali. Tuttavia, la Serenissima decideva quanta gente ospitare nel suo territorio, affidava agli stranieri interi quartieri in affitto e applicava loro le Venete Leggi. Con gli Zingari fu invece possibile stabilire alcun accordo. Si pubblica di seguito un estratto di “Giustizia Veneta” di Edoardo Rubini, edito da Filippi a Venezia nel 2004 (1° ed.).
Zingari e bravi. La Parte dei Pregadi 21 dicembre 1549 si limitava a proibire il soggiorno degli zingari entro i confini dello Stato venendo così incontro alle lagnanze dei sudditi disturbati dalla loro presenza. Nel termine di tre giorni i Rettori dovevano mandarli fuori, né avrebbero potuto rilasciare altri permessi; non si faceva però menzione di pene. La Parte dei Pregadi 15 luglio 1558 torna sul tema segnalando l’inosservanza della legge precedente: i famigerati Singani riescono ad ottenere dai Rettori patenti valide per tre giorni quindi, siccome i disagi persistono, si minaccia di interdire dall’incarico i Cancellieri che stilassero tali permessi che i Rettori rilasciavano a seguito di loro istruttoria.
Le sanzioni contro tali immigrati abusivi s’inaspriscono: dieci ducati a chi ne consegnerà uno vivo, che sarà avviato all’imbarco forzato su galera per dieci anni (il massimo edittale), «possendo etiam li detti Cingani, così Huomini, come Femine, che saranno ritrovati nelli Territori Nostri esser impune ammazzati, si che li Interfettori per tali Homicidii, non habbino ad incorrer in alcuna pena».

Questa norma desta non poca meraviglia considerando che tutti i gruppi etnici furono bene accolti a Venezia: la Repubblica creò tante piccole enclaves, al cui interno le singole comunità si ricreavano l’ambiente di vita proprio della nazionalità d’appartenenza. Unica eccezione, gli zingari: persino le loro donne vengono viste come un pericolo pubblico da controllare.
Le Parti del Consiglio dei Dieci 15 aprile 1574 e 26 aprile 1577 per la prima volta menzionano il termine bravi: «Apparvero nella Repubblica di Venezia agli inizi della seconda metà del ‘500, ma la loro presenza divenne sensibile a partire dal 1568, dopo che altri stati avevano cominciato a scacciarli»[1]. Che il fenomeno non sia autoctono lo spiega il proemio della Parte Cons. Dieci 18 agosto 1600: «Essendo commessi ... molti Homicidi, & Assassinamenti ... per lo più da Huomini Sicarii, sanguinolenti, Forestieri, che si conducono a servir particolari per Bravi, cavandone il viver, & altre molte commodità, commettendo tanto più ogni sorte di delitto, quanto che con facilità possano poi salvarsi, ritirandosi con poca, o niuna spesa alle patrie loro».
Il drastico provvedimento concede a questi stranieri ventiquattro ore per lasciare la città o il castello dove dimorano e tre giorni perché se ne escano dalla Terra di San Marco; pene per i trasgressori: dieci anni al remo di galera[2] o amputazione della mano più valida e in caso d’inabilità al remo con bando definitivo e perpetuo che, se rotto, darà luogo all’ergastolo e a seicento lire di multa. A chi li avrà assoldati bando ventennale dal territorio di residenza se il loro padrone è suddito veneto, altrimenti bando ventennale definitivo.

I bravi erano servitori armati alle dipendenze di signorotti locali, invisi alle Leggi venete.

[1] Povolo, Aspetti, p. 236.
[2] Anche per loro il massimo.

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