"ANDE' IN MONA!" DEI VENEZIANI AI GESUITI CACCIATI DALLA CAPITALE

Durante l’Interdetto lanciato da Paolo V contro Venezia, nel 1606, il Doge ed il Senato diedero ordine che i religiosi continuassero a celebrare la messa e gli altri uffici divini e ad amministrare i sacramenti, pena l’espulsione dal territorio della Repubblica.
I gesuiti, pur continuando a celebrare i loro consueti uffici si rifiutarono di dir messa sotto pretesto che tale atto non rientrava nei loro obblighi religiosi.
In tal modo osservavano l’Interdetto pontificio pur rimanendo nello Stato: ma il Senato deliberò che, avendo trasgredito agli ordini della Repubblica, dovevano lasciare Venezia.
Il racconto del loro esodo ci viene fatto da fra’ Paolo Sarpi.
Li gesuiti di Venezia, intesa la deliberazione, chiamarono tumultuariamente alla chiesa le loro divote, da quali ottennero somma di dinari assai grande, e fecero officio con li capuccini che partendo uscissero processionalmente col Cristo inanzi, per concitare la plebe, se fosse stato possibile.
Poi, venuta la sera, dimandarono ministri (guardie) pubblici alli magistrati per la loro sicurezza, quali anco furono mandati.
Né contentandosi di questo, mandarono a ricercare l’ambasciatore di Francia, che li facesse assistere per guardia dalli suoi servitori: il che non fu giudicato conveniente da quel signore, essendoci la guardia pubblica.
Partirono la sera alle doi ore di notte, ciascuno con un Cristo al collo, per mostrare che Cristo partiva con loro.

Concorse moltitudine di popolo, quanto capiva il loco fuori della chiesa, così in terra come in acqua, a questo spettacolo; e quando il preposito, che ultimo entrò in barca, dimandò la benedizione al vicario patriarcale, che era andato a ricevere il loco, si levò una voce da tutto il populo, che in lingua veneziana gridò dicendo: Andè in mal’ora.

Avevano occultato per la città li vasi e ornamenti preziosi della chiesa, la miglior suppellettile di casa, e assai libri, e lasciarono la casa quasi vuota e nuda.

Vi restò anche per tutto il giorno seguente reliquie di fuoco in dui luochi, dove avevano abbriciato indicibil quantità di scritture..." 

NdR. ho pensato di tradurre quell'"andé in malora! col più pittoresco "Andé in mona!" che nella bocca e dalla penna di un frate non poteva esserci, ma probabilmente, anzi, quasi certamente, era sottinteso. :)


Commenti