IL GRAN RIFIUTO DELL'ULTIMO DOGE
Sia nel momento del trapasso di poteri tra la Municipalità giacobina imposta dai francesi, che nei mesi seguenti, il Doge Manin subì una pressione enorme perché lo si voleva nel ruolo di Presidente della Municipalità stessa.
L'intento probabile era di dare un senso di continuità allo Stato veneto, legittimando la predazione dello stato veneto e anche i municipalisti come governanti davanti ai sudditi ora trasformati in "cittadini" (alquanto riottosi, a quanto pareva). Insistevano anche i suoi parenti, e diversi patrizi, probabilmente sperando che l'ex Doge potesse attenuare lo sconquasso del cambio di governo, ma Egli fermamente rifiutò. Ecco cosa scrisse nelle sue memorie:
"Tali blande proposizioni furono dal signor Tomà Soranzo, ch'era destinato a maneggiar molti affari... cambiate in assolute minacce, dicendo che il signor Willetard, che allora era Ministro di Francia, voleva ciò assolutamente, minacciando in caso di renitenza, la vita stessa.
Io gli risposi sempre con la stessa fermezza, avendo già supplito ai miei doveri di Cristiano e presa anche d aMonsignor Patriarca la benedizione in articulo mortis, che li Francesi erano padroni della mia vita, ma della mia religione e del mio onore, era padrone solo Iddio.
Quello però che in tal incontro vi fu di estremo peso, e che per superarlo vi volle estrema forza, furono le istanze della famiglia, dei parenti, e di molte persone ragguardevoli, le quali insistevano acciò non rifiutassi tale impiego, nella ferma persuasione che potessi fare molto bene, arrivando anche ad imputarmi di non volermi impegnare in vantaggio della mia amata patria. Ma io ero certo di non poter fare alcun bene, né impedire alcuni mali che intendevo sovrastare, per ottenere il bene della patria avrei volentieri dato tutte le mie sostanze e e la mia vita stessa; ma avevo la certezza all'incontrario che avrei perso il mio onore, arrischiavo di perdere la vita e la religione stessa, senz'alcun profitto; il che in seguito fu conosciuto e confessato da tutti.
L'intento probabile era di dare un senso di continuità allo Stato veneto, legittimando la predazione dello stato veneto e anche i municipalisti come governanti davanti ai sudditi ora trasformati in "cittadini" (alquanto riottosi, a quanto pareva). Insistevano anche i suoi parenti, e diversi patrizi, probabilmente sperando che l'ex Doge potesse attenuare lo sconquasso del cambio di governo, ma Egli fermamente rifiutò. Ecco cosa scrisse nelle sue memorie:
"Tali blande proposizioni furono dal signor Tomà Soranzo, ch'era destinato a maneggiar molti affari... cambiate in assolute minacce, dicendo che il signor Willetard, che allora era Ministro di Francia, voleva ciò assolutamente, minacciando in caso di renitenza, la vita stessa.
Io gli risposi sempre con la stessa fermezza, avendo già supplito ai miei doveri di Cristiano e presa anche d aMonsignor Patriarca la benedizione in articulo mortis, che li Francesi erano padroni della mia vita, ma della mia religione e del mio onore, era padrone solo Iddio.
Quello però che in tal incontro vi fu di estremo peso, e che per superarlo vi volle estrema forza, furono le istanze della famiglia, dei parenti, e di molte persone ragguardevoli, le quali insistevano acciò non rifiutassi tale impiego, nella ferma persuasione che potessi fare molto bene, arrivando anche ad imputarmi di non volermi impegnare in vantaggio della mia amata patria. Ma io ero certo di non poter fare alcun bene, né impedire alcuni mali che intendevo sovrastare, per ottenere il bene della patria avrei volentieri dato tutte le mie sostanze e e la mia vita stessa; ma avevo la certezza all'incontrario che avrei perso il mio onore, arrischiavo di perdere la vita e la religione stessa, senz'alcun profitto; il che in seguito fu conosciuto e confessato da tutti.
altre Schiatte!...altre Menti...altre Risorse!...avercene!
RispondiEliminaÈ da RIVEDERE TUTTA LA VICENDA E IL GIUDIZIO STORICO SU LUDOVICO MANIN.
RispondiEliminaCredo che Ludovico Manin sia vissuto in un tempo ingrago. Nessuno allora avrebbe fatto miglior figura della sua,la città e lo Stato tutto erano ormai "ben indormexa'" da anni. Direi che lo scioglimento della Repubblica fu quasi una ratifica degli eventi,che la storia stava dettando.
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