UNA SPADA SCHIAVONA PER LA SERENISSIMA

AVVISO: nel primo paragrafo di apertura vi sono grossolani errori circa gli oltremarini, nati secondo Rotasso come cavalieri e finiti appiedati. Rotasso è un gran esperto di armi ma della Repubblica di San Marco, della sua organizzazione militare, purtroppo sapeva poco o nulla, all’epoca. È ridicolo affermare che i “cappelletti” si sarebbero trasformati poi in schiavoni a piedi, come qualsiasi persona un poco esperta sa bene. Quindi anche il discorso sulla schiavona nata come arma da cavalleria, è da prendere con le pinze…poi tutti sappiamo che gli schiavoni erano ben altro che “guardia del corpo dei Dogi” anche se si prestavano, assieme agli arsenalotti, alla bisogna.
Quanto alla nascita della schiavona, nel XVI era detta schiavonesca, e non presentava ancora la gabbia completa. Il modello che conosciamo nasce nella prima metà del 600 con moltissime varianti. sarà oggetto di un altro articolo del Rotasso pubblicato su diana Armi nel 1983 che pubblicherò appena lo trovo.
Definire poi solamente “mercenari” gli schiavoni è sminuire parecchio il loro attaccamento al Leone, poiché erano innanzitutto “soldati nazionali”, così erano definiti dalla Repubblica.
Milo Boz, sciavon

di Gianrodolfo Rotasso

Se c’è una spada che si identifica con una città, senza dubbio quella è la “schiavona”. Si può dire, infatti, che schiavona sia sinonimo di Venezia, essendo quella spada legata agli ultimi due secoli di storia della Serenissima e terminando il suo servizio con l’occupazione napoleonica.

Comparve al fianco delle milizie levantine degli Oltremarini, come le chiamavano i Veneziani, verso la metà del secolo XVI, tra le quali si distinguevano gli Schiavoni, assoldati anche come guardia del corpo dei Dogi…Questi mercenari, in origine cavalieri armati alla leggera, avevano una spada a fornimento ingabbiato, impugnatura in legno con spire di spago rivestita in cuoio e con pomo, quasi sempre in bronzo, a forma di “quadrotta” o a “testa di gatto”, con foro all’orecchio per il legaccio. La lama era molto larga, a punta e a doppio filo (raramente a un filo solo) solcata da uno o più gusci. Nata come spada a cavallo, continuò il suo servizio anche quando, verso la metà del XVII secolo, gli schiavoni furono appiedati; era apprezzata soprattutto per la robusta guardia che riparava tutta la mano.

Dalle fotografie, qui pubblicate, di una schiavona seicentesca, è possibile notare l’abilità degli spadari nel ricavare i molteplici rami della complessa gabbia, uscenti dal massello dell’elsa e nell’intrecciarli ed incastrarli con tanta eleganza e robustezza. La comoda impugnatura in pelle nera, con l’archetto di presa per il pollice, viene avvolta da tutta questa fioritura di elementi difensivi. Il tutto è poi perfettamente accordato con la lama larga ad una scanalatura al forte e marcata con un lupo stilizzato. In origine formavano il fornimento di questa spada: la guardia a ricciolo, un braccio da parata diritto ed una serie di rami lavorati a fogliami che si intersecavano dalla guardia al braccio. Col passare del tempo i rami si infittirono sempre più creando così una vera e propria gabbia, mentre il braccio da parata usciva ora dal massello dell’elsa piegato sul davanti. Il pomo a testa di gatto, con rosetta centrale rilevata, nella forma più antica presentava solo un rigonfiamento. Le lame erano spesso ricche di scritte e marchi di varie nazionalità.
il marchio col "lovo" lupo, simbolo di Belluno

Grazie alle miniere delle vallate feltrine, dell’agordino e del zoldano, da dove si estraeva dell’ottimo ferro, erano nati un po’ dovunque insediamenti di abili artigiani che creavano manufatti che andavano dai semplici chiodi alle complicate serratura dalle elaboratissime chiavi. Lungo il corso del torrente Ardo, a nord est di Belluno, nella località Busighel e Fisterre, ad iniziare dal XV secolo, affermati spadari forgiavano lame per la milizie della Serenissima e di altri eserciti europei. Da notizie riportate da storici del XVI secolo, si attesta che a Belluno venivano prodotte “ fin 25 mille spade all’anno d’ogni sorta”, mentre da un documento del 1578 sappiamo che alcuni gentiluomini inglesi siglarono un contratto con gli armaioli bellunesi per la fornitura di ben 600 spade al mese per un periodo di dieci anni.




Celebri furono i maestri spadari come i fratelli Giorgio e Giuseppe Giorniutti di Agordo (dei quali si possono ammirare due bellissimi spadoni a due mani nella sala d’armi a Palazzo Ducale a Venezia) e Pietro da Formegan, di cui si conserva a Palazzo Venezia a Roma, un imponente spadone a due mani. Non parliamo poi del notissimo Andrea Ferara, in diversi testi correnti anglo americani indicato come il bellunese Andrea Ferrara. Importante, dunque, l’attività di Belluno nell’ambito del mercato europeo del commercio delle armi bianche, tanto che spesso fu anche in concorrenza con altre città famose, quali Solingen e Passau.
Storici contemporanei affermano, come accennato, che uno dei marchi più usati dai bellunesi (solo i maestri firmavano le lame) era appunto il lupo. Vien quasi da pensare che sia stato usato di proposito, come fecero gli spadari di Solingen, per meglio reclamizzare i manufatti. D’altronde anche il nome di Andrea Ferara veniva contraffatto in Germania su lame destinate al mercato inglese. Vedasi, ad esempio, la grafia errata di Andrea Ferara incisa su lame delle spade degli Higlanders, fornite agli Scozzesi dai Tedeschi per molti anni dopo la morte del grande maestro. 
D’altra parte, forse per scambi commerciali, si trovano schiavone con lame anche spagnole probabilmente volute dalla moda dei tempi. Un’altra ipotesi è che la lupa che figurava nell’arme della città di Belluno potrebbe aver inspirato gli spadari spingendoli ad inciderla sulle lame: il caso ha forse voluto che coincidesse proprio con il lupo della nota città tedesca. Oltretutto era raro l’uso di un punzone per imprimere i vari lupi e, poiché venivano incisi a mano, risultavano di diverse forme, anzi, i lupi di un certo periodo venivano addirittura tratteggiati a scalpello. E’ impressionante notare che all’epoca la schiavona veniva denominata anche “Palosso” (Paloscio), termine derivante dal tedesco Pallasch, che indicava una pesante spada in uso presso la cavalleria dalla Guerra dei Trent’anni in poi.

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