STORIA E MEMORIE DI GUERRA DI ALANO DI PIAVE
ALANO DI PIAVE (Belluno) Di "Nono" Gigio Zanon
È facile far derivare il toponimo Alano dalla lana delle greggi al pascolo sui rilievi del Piave, anche se non mancano ipotesi di origini diverse, anche germaniche. "Lano", "Lan", "Alan" si alternano ai primi del Mille e soltanto verso il Trecento il paese fu Alano. Divenuto Alano del Piave all'epoca di Napoleone I, il regno d'Italia trasformò il "del" in "di". E Alano di Piave è rimasto.
È certo che la contrada fu abitata fin da empi remotissimi. Scavi effettuati sul uo territorio nel 1870 e nel 1921 portarono alla luce anfore romane, gladi, monete e scheletri umani di gigantesca statura, forse resti di un "pagus" dei Misquilli.
L'abbondanza di acque, le possibilità di difesa in una bella conca, riparata dai venti, verde di prati e di pascoli, compresa fra la catena del monte Tomatico e il Monfenera, favorirono l'insediamento di popolazioni stabili. Nel Trecento e nel Quattrocento i documenti, a proposito del "rure Alani Territori Tarvisini", citano ville, castelli e cappelle: ville come quella Lan dei conti di Alano che il violento terremoto del 23 febbraio del 1695 ridusse in rovine con la chiesetta di San Pietro e castelli come quello dei Carnirano sui cui resti sorse poi il Palazzo dei Conti Franzoja con caratteristiche più uniche che rare nella vallata del Basso Feltrino.
Fu infatti l'unica costruzione di valore artistico in stile barocco con elementi rinascimentali sorta nella zona, signorile ritrovo dei monsignori della Marca e del Padovano, cenacolo di letterati e di artisti fino alla fine dell'Ottocento nel passaggio dall' Austria all'Italia. Alano seguì le sorti dell'Alto Piave fino all'annessione al Regno d'Italia. Durante la Grande Guerra, dopo la ritirata di Caporetto, più volte perduto e ripreso, divenuto poi terra di nessuno, fu interamente distrutto. Del paese non rimase che l'attuale torre campanaria, opera di Antonio Nani. Cinquecento granate caddero in un sol giorno sull'abitato, triste "massimo" quotidiano dell'azione continua e implacabile delle opposte artiglierie della zona.
Posta tra i monti Tomba,Monfenera, Piz, Solaroli, Valdera e Spinoncia più volte citati nei bollettini di guerra, la Conca di Alano vide le gesta di Nino Oxilia, autore di "Addio Giovinezza" (Monte Tomba, 1917), e Ugo Bartolomei (29 Ottobre 1918)
Meta di pellegrinaggi e sede di convegni di associazioni di ex combattenti e di associazioni d'Arma, vi si organizzano gite ai campi di battaglia del 1915/'18. Alano è nota anche come "Conca delle Medaglie d'Oro" per le 15 medaglie d'oro, le 136 d'argento, le 270 di bronzo e le 40 promozioni per merito di guerra concesse sul suo territorio. Un museo storico di cimeli con una rara documentazione vi è sorto per iniziativa dei superstiti della Brigata Re.
Durante la seconda guerra mondiale dopo il calvario dei reparti alpini in Grecia e in Russia, nuclei partigiani operarono sulle sue montagne negli anni 1944/'45 e il contributo di Alano di Piave fu ancora altissimo. Impiccati, fucilati, deportati e case date alle fiamme chiusero tragicamente la parentesi della dittatura.
Paese di tradizionale operosità, Alano ebbe fra il Seicento e il Settecento filande che impiega vano la gran parte della mano d'opera femminile mentre gli uomini erano occupati nella fienagione, nell'allpeggio, nelle carbonaie, nella coltivazione di un suolo avaro. E non basta: di Alano si ricorda anche che ebbe una fonderia da campana nel Seicento e un rinomato "maglio" per la lavorazione degli attrezzi agricoli "ai Faori". Oggi soffre del "mal di montagna": molti giovani sono stati costretti ad emigrare anche se si è cercato di favorire un certo tipo di artigianato, soprattutto nella lavorazione del legno e del mobile che occupano oltre 300 operai della zona.
Il fenomeno del pendolarismo è come in molte altre zone d'Italia particolarmente sensibile: le comunicazioni sono del resto facili.
È proprio in questa zona il passaggio dall'alpe al piano: il Tomba e il Monfeneera fanno da ultimo schermo; al di là il terreno si ondula nelle fertili colline della Marca trevigiana, primo annuncio della grande pianura e Alano di Piave è proprio sul limitare del territorio bellunese. Gli spetta il ruolo di porta d’ingresso e di uscita, una porta che separa due mondi. Il paesaggio è ormai pacato, la roccia viva lascia il posto alle curve dei colli, la vegetazione è più ricca. Poco lontano il letto del Piave si allarga, la corrente si fa più riposata, si appresta a diventare fiume lento e pigro della pianura veneta.
La conca delle medaglie
Quella di Alano è stata chiamata in altri tempi la "conca delle medaglie" per il gran numero di ricompense al valor militare che furono concesse sul suo territorio e sui monti all'intorno durante gli assalti e i contrassalti che si susseguirono nell'ultimo anno di guerra. E ad Alano sorse, per iniziativa dei superstiti della Brigata Re, un museo di cimeli.
Sulle alture, intorno, si combatteva duramente e il paese, sotto, era paese abbandonato, terra di nessuno. A controllarlo, dalle due parti, bastava il tiro delle artiglierie. In realtà su quell' abitato di fantasmi incombeva una delle cerniere del fronte montano nel suo saldarsi al fiume, al Piave, ormai prossimo alla pianura. Un punto nodale dell'intero schieramento. Son passati più di sessant' anni. Dei fanti, degli alpini, degli arditi dei reparti d'assalto che qui intorno combatterono non esistono che gruppi sempre più radi di superstiti. Molti di quei soldati son sepolti nei cimiteri di guerra non lontano da qui, "allineati e coperti" come nelle parate di retrovia, fianco a fianco del "nemico", dei contadini, cioè, austriaci, ungheresi e tedeschi venuti a combattere in questa terra sconosciuta fra il Tomba, il Monfenera e il Col dell'Orso. Son passati sessant'anni ma rimangono sui monti della zona non pochi reperti di una particolare archeologia guerresca: il monte con le sue impossibili strade di fortuna: il forte diruto, i tratti di trincea semiscomparsi fra i rovi, l' ossario, la stele, il piccolo museo, le tracce insomma del "Grande olocausto"
Di molti caduti delle due parti non fu ritrovata la piastrina di riconoscimento: così la lugubre anagrafe della guerra si dimenticò di nomi e di fatti. Furono "soldati ignoti" nei cimiteri, "dispersi" negli elenchi ufficiali dei distretti e dei ministeri. Delle loro gesta, piccole o grandi, non sono mai esistite né esistono più tracce o testimonianze.....
VENETO: PAESI, BORGHI, CITTA'
È facile far derivare il toponimo Alano dalla lana delle greggi al pascolo sui rilievi del Piave, anche se non mancano ipotesi di origini diverse, anche germaniche. "Lano", "Lan", "Alan" si alternano ai primi del Mille e soltanto verso il Trecento il paese fu Alano. Divenuto Alano del Piave all'epoca di Napoleone I, il regno d'Italia trasformò il "del" in "di". E Alano di Piave è rimasto.
È certo che la contrada fu abitata fin da empi remotissimi. Scavi effettuati sul uo territorio nel 1870 e nel 1921 portarono alla luce anfore romane, gladi, monete e scheletri umani di gigantesca statura, forse resti di un "pagus" dei Misquilli.
L'abbondanza di acque, le possibilità di difesa in una bella conca, riparata dai venti, verde di prati e di pascoli, compresa fra la catena del monte Tomatico e il Monfenera, favorirono l'insediamento di popolazioni stabili. Nel Trecento e nel Quattrocento i documenti, a proposito del "rure Alani Territori Tarvisini", citano ville, castelli e cappelle: ville come quella Lan dei conti di Alano che il violento terremoto del 23 febbraio del 1695 ridusse in rovine con la chiesetta di San Pietro e castelli come quello dei Carnirano sui cui resti sorse poi il Palazzo dei Conti Franzoja con caratteristiche più uniche che rare nella vallata del Basso Feltrino.
Fu infatti l'unica costruzione di valore artistico in stile barocco con elementi rinascimentali sorta nella zona, signorile ritrovo dei monsignori della Marca e del Padovano, cenacolo di letterati e di artisti fino alla fine dell'Ottocento nel passaggio dall' Austria all'Italia. Alano seguì le sorti dell'Alto Piave fino all'annessione al Regno d'Italia. Durante la Grande Guerra, dopo la ritirata di Caporetto, più volte perduto e ripreso, divenuto poi terra di nessuno, fu interamente distrutto. Del paese non rimase che l'attuale torre campanaria, opera di Antonio Nani. Cinquecento granate caddero in un sol giorno sull'abitato, triste "massimo" quotidiano dell'azione continua e implacabile delle opposte artiglierie della zona.
Posta tra i monti Tomba,Monfenera, Piz, Solaroli, Valdera e Spinoncia più volte citati nei bollettini di guerra, la Conca di Alano vide le gesta di Nino Oxilia, autore di "Addio Giovinezza" (Monte Tomba, 1917), e Ugo Bartolomei (29 Ottobre 1918)
Meta di pellegrinaggi e sede di convegni di associazioni di ex combattenti e di associazioni d'Arma, vi si organizzano gite ai campi di battaglia del 1915/'18. Alano è nota anche come "Conca delle Medaglie d'Oro" per le 15 medaglie d'oro, le 136 d'argento, le 270 di bronzo e le 40 promozioni per merito di guerra concesse sul suo territorio. Un museo storico di cimeli con una rara documentazione vi è sorto per iniziativa dei superstiti della Brigata Re.
Durante la seconda guerra mondiale dopo il calvario dei reparti alpini in Grecia e in Russia, nuclei partigiani operarono sulle sue montagne negli anni 1944/'45 e il contributo di Alano di Piave fu ancora altissimo. Impiccati, fucilati, deportati e case date alle fiamme chiusero tragicamente la parentesi della dittatura.
Paese di tradizionale operosità, Alano ebbe fra il Seicento e il Settecento filande che impiega vano la gran parte della mano d'opera femminile mentre gli uomini erano occupati nella fienagione, nell'allpeggio, nelle carbonaie, nella coltivazione di un suolo avaro. E non basta: di Alano si ricorda anche che ebbe una fonderia da campana nel Seicento e un rinomato "maglio" per la lavorazione degli attrezzi agricoli "ai Faori". Oggi soffre del "mal di montagna": molti giovani sono stati costretti ad emigrare anche se si è cercato di favorire un certo tipo di artigianato, soprattutto nella lavorazione del legno e del mobile che occupano oltre 300 operai della zona.
Il fenomeno del pendolarismo è come in molte altre zone d'Italia particolarmente sensibile: le comunicazioni sono del resto facili.
È proprio in questa zona il passaggio dall'alpe al piano: il Tomba e il Monfeneera fanno da ultimo schermo; al di là il terreno si ondula nelle fertili colline della Marca trevigiana, primo annuncio della grande pianura e Alano di Piave è proprio sul limitare del territorio bellunese. Gli spetta il ruolo di porta d’ingresso e di uscita, una porta che separa due mondi. Il paesaggio è ormai pacato, la roccia viva lascia il posto alle curve dei colli, la vegetazione è più ricca. Poco lontano il letto del Piave si allarga, la corrente si fa più riposata, si appresta a diventare fiume lento e pigro della pianura veneta.
La conca delle medaglie
Quella di Alano è stata chiamata in altri tempi la "conca delle medaglie" per il gran numero di ricompense al valor militare che furono concesse sul suo territorio e sui monti all'intorno durante gli assalti e i contrassalti che si susseguirono nell'ultimo anno di guerra. E ad Alano sorse, per iniziativa dei superstiti della Brigata Re, un museo di cimeli.
Sulle alture, intorno, si combatteva duramente e il paese, sotto, era paese abbandonato, terra di nessuno. A controllarlo, dalle due parti, bastava il tiro delle artiglierie. In realtà su quell' abitato di fantasmi incombeva una delle cerniere del fronte montano nel suo saldarsi al fiume, al Piave, ormai prossimo alla pianura. Un punto nodale dell'intero schieramento. Son passati più di sessant' anni. Dei fanti, degli alpini, degli arditi dei reparti d'assalto che qui intorno combatterono non esistono che gruppi sempre più radi di superstiti. Molti di quei soldati son sepolti nei cimiteri di guerra non lontano da qui, "allineati e coperti" come nelle parate di retrovia, fianco a fianco del "nemico", dei contadini, cioè, austriaci, ungheresi e tedeschi venuti a combattere in questa terra sconosciuta fra il Tomba, il Monfenera e il Col dell'Orso. Son passati sessant'anni ma rimangono sui monti della zona non pochi reperti di una particolare archeologia guerresca: il monte con le sue impossibili strade di fortuna: il forte diruto, i tratti di trincea semiscomparsi fra i rovi, l' ossario, la stele, il piccolo museo, le tracce insomma del "Grande olocausto"
Di molti caduti delle due parti non fu ritrovata la piastrina di riconoscimento: così la lugubre anagrafe della guerra si dimenticò di nomi e di fatti. Furono "soldati ignoti" nei cimiteri, "dispersi" negli elenchi ufficiali dei distretti e dei ministeri. Delle loro gesta, piccole o grandi, non sono mai esistite né esistono più tracce o testimonianze.....
VENETO: PAESI, BORGHI, CITTA'
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