LEGGI VENETE A TUTELA DEI CITTADINI DAI "CINGANI"
La Serenissima decideva quanta gente ospitare nel suo territorio, affidava agli stranieri interi quartieri in affitto e applicava loro le Venete Leggi. Con gli Zingari fu invece possibile stabilire alcun accordo. Si pubblica di seguito un estratto di “Giustizia Veneta” di Edoardo Rubini, edito da Filippi a Venezia nel 2004 (1° ed.).
I bravi erano servitori armati alle dipendenze di signorotti locali, invisi alle Leggi venete.
[1] Povolo, Aspetti, p. 236.
[2] Anche per loro il massimo.
Zingari e bravi. La Parte dei Pregadi 21 dicembre 1549 si limitava a proibire il soggiorno degli zingari entro i confini dello Stato venendo così incontro alle lagnanze dei sudditi disturbati dalla loro presenza. Nel termine di tre giorni i Rettori dovevano mandarli fuori, né avrebbero potuto rilasciare altri permessi; non si faceva però menzione di pene. La Parte dei Pregadi 15 luglio 1558 torna sul tema segnalando l’inosservanza della legge precedente: i famigerati Singani riescono ad ottenere dai Rettori patenti valide per tre giorni quindi, siccome i disagi persistono, si minaccia di interdire dall’incarico i Cancellieri che stilassero tali permessi che i Rettori rilasciavano a seguito di loro istruttoria.
Le sanzioni contro tali immigrati abusivi s’inaspriscono: dieci ducati a chi ne consegnerà uno vivo, che sarà avviato all’imbarco forzato su galera per dieci anni (il massimo edittale), «possendo etiam li detti Cingani, così Huomini, come Femine, che saranno ritrovati nelli Territori Nostri esser impune ammazzati, si che li Interfettori per tali Homicidii, non habbino ad incorrer in alcuna pena».
Questa norma desta non poca meraviglia considerando che tutti i gruppi etnici furono bene accolti a Venezia: la Repubblica creò tante piccole enclaves, al cui interno le singole comunità si ricreavano l’ambiente di vita proprio della nazionalità d’appartenenza. Unica eccezione, gli zingari: persino le loro donne vengono viste come un pericolo pubblico da estirpare.
Dopo trent’anni la situazione non appare granché mutata: «tuttavia vi stanno in molto numero, con danno grandissimo di detti Territori, a’ quali vien anco dato recapito da molti, che tengono poco conto della Giustitia, e che partecipano delli loro Latrocinii, con mala sodisfattione delli Poveri Contadini».
La Parte dei Pregadi 24 settembre 1588 evidenzia quindi una ratio ulteriore oltre al bisogno di proteggere le fedeli comunità rurali della Serenissima dall’invadenza degli indesiderati: occorreva stroncare sul nascere la formazione di eserciti privati composti dai bravi che infestavano gli stati vicini, pertanto si puniva anche chi ospitasse Singani con tre anni d’imbarco in galera.
Il drastico provvedimento concede a questi stranieri ventiquattro ore per lasciare la città o il castello dove dimorano e tre giorni perché se ne escano dalla Terra di San Marco; pene per i trasgressori: dieci anni al remo di galera[2] o amputazione della mano più valida e in caso d’inabilità al remo con bando definitivo e perpetuo che, se rotto, darà luogo all’ergastolo e a seicento lire di multa. A chi li avrà assoldati bando ventennale dal territorio di residenza se il loro padrone è suddito veneto, altrimenti bando ventennale definitivo.
I bravi erano servitori armati alle dipendenze di signorotti locali, invisi alle Leggi venete.
[1] Povolo, Aspetti, p. 236.
[2] Anche per loro il massimo.
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