IL TABACCO E LA VAL SUGANA

Ancora si scorgono le griglie di legno sui poggioli delle case più antiche, passando per la val Sugana. Servivano a stendere le foglie di tabacco, messe a seccare all'aria asciutta della montagna. 

Lungo uno dei fiumi più importanti del territorio, da Valstagna a Campese di Bassano del Grappa, i sigari si cominciarono a produrre alla fine del 1.500, circa un secolo dopo l'arrivo del tabacco in Europa dalla scoperta delle Americhe. Soltanto nel 1763, quasi due secoli più tardi, i rappresentanti della Repubblica concessero agli agricoltori di coltivarlo legalmente. Il sigaro Nostrano, antenato di quello che è il Doge, è però già conosciuto, tanto che si hanno testimonianze storiche che parlano di sigari fumati dai signori veneziani già nel 1677. Nei secoli successivi la comunità del Canal di Brenta, colpita da pesantissime carestie, ha fatto di necessità virtù. Proibiti prima dalla Repubblica, quindi da Vienna e infine dai finanzieri italiani per motivi fiscali, i sigari Nostrani non esistevano ufficialmente ma erano consumati regolarmente in tutto il Veneto, grazie a una rete capillare di distribuzione che partiva da Bassano e raggiungeva tutta la regione.


Questo commercio illegale andò avanti fino al 1939 quando sedici agricoltori costituirono una cooperativa denominata “Consorzio tabacchicoltori del Grappa” dove si occupavano principalmente di tabacchi per sigarette, lasciando sempre spazio per sigari da passare clandestinamente.

RACCOLTA O VENDEMMIA 

(vendemàr o tor su tabacco)Verso la fine di settembre le foglie cominciavano a maturare, specie le più basse. Iniziava così la vendemmia. Si iniziava dal basso, poiché erano le foglie della corona più bassa quelle che giungevano prima a maturazione. Successivamente era la volta del "fior" o "prima", cioè le foglie più alte, più grandi e più pregiate. Quindi si passava alla "seconda". Sul campo poteva rimanere qualche pianta non ancora giunta a completa maturazione, i "gambarei". Il tabacco raccolto veniva predisposto ai bordi del campo in "carghe", con i "bugaroi", pronte per essere portate a casa, per lo più a spalla.

Il Nostrano del Brenta. 

Si coltivi il "Nostrano del Brenta" suonavano gli ultimi contratti fra coltivatori della Vallata e l’ormai morente Repubblica di Venezia (Trattato di Campoformido del 18 ottobre 1797)!Il "Nostrano del Brenta" è una pianta di bassa statura, molto resistente all’azione del vento, di notevole aroma e rusticità: una varietà di tabacco, spuntata dopo un secolo di lavorazione, selezionata da una terra avara che, quando vuole, sa riservare, tra i sudati frutti che produce, qualche dono vitale.Più tardi, studiosi e tecnici avrebbero distinto tre tipi colturali: il Cuchetto, pregiato per il suo aroma, ma ben presto abbandonato perché troppo delicato; l’Avanetta, dalla foglia piccola, ma di buona qualità, nelle due forme liscia e bollosa; l’Avanone, molto produttivo, ma di pregio inferiore, detto anche Campesano dal paese di Campese, dove veniva coltivato da lungo tempo. Da ricordare anche il Nostrano Gentile, un ibrido, simile all’Avanone, ma con un numero più elevato di foglie.

MACERAZIONE (metare in màsara)A casa, il tabacco veniva messo immediatamente in "màsara", per essere portato ad ingiallimento mediante fermentazione. Le foglie cioè venivano accatastate, in soffitta o nelle stalle, con la punta della foglia rivolta in alto e la costa verso l'esterno. Nell'arco di qualche giorno, constatato il giusto ingiallimento raggiunto, si procedeva alla cernita delle foglie, cioè a "sernir". Si passavano le foglie una per una, mettendo da parte quelle non ancora pronte e distinguendo le altre a seconda della grandezza.Bisognava controllare sovente la giusta macerazione per evitare che andassero a male o marcissero. Nei locali si respirava un‘aria pesante per il forte odore del tabacco.

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