RUBINI RISPONDE E FEDERICO MORO, SU LISSA E I VENETI NEGATI
Tosati, ea ze longa la nota, ma piacevole da lezer e quindi ve consiglio de tegnerla in memoria e lezerla magari a tocheti. Mi la meto anca ne la nova pagina Gualtiero Scapini dedicà a la difesa de la verità dei fati storici riguardanti ea Nazion veneta.
Caro Federico,
trovo utile che tu discerna le varie questioni: una per volta, ti dimostrerò come si possa usare la ragione nel trattare la storia. Mi pare tu faccia grande fatica a comprendere ciò che ti è stato ben spiegato, anche da Renzo Fogliata e da Massimo Tomasutti, quindi non ho la pretesa di aver più successo di loro.
Lascerò il tuo testo in forma normale, il mio lo metterò in maiuscoletto e blu per distinguerlo.
Caro Edo,
1- MORO - come ho già avuto modo di scrivere la storia si fa partendo dalla cronologia: se tu mescoli quanto successo "prima" del 1848, con quanto accade dopo, Lissa è del 1866 tra l'altro, evidentemente non ci capiamo più. Non mi sono dato nessuna zappa sui piedi, Claudia Reichl-Ham distingue giustamente tra prima e dopo, cosa che tu non fai. Anch'io distinguo tra prima e dopo, aggiungendo che la mancata adesione della flotta alla rivoluzione del 48 mi fa pensare a cambiamenti già intervenuti. Valutazione personale ma sostenuta da un fatto indiscutibile: la flotta ha sparato su Venezia, non contro gli austriaci. Anche qui in nome di San Marco e della Serenissima? Eppure Venezia rinasce repubblica e tornerà tale alla fine. Alla luce del semplice dato cronologico, comunque, il tuo intero discorso decade. Stiamo parlando del 1866, non del 1797 o del 1805 , neanche del 1820, neppure dello stesso 1848.
RUBINI: Se tu avessi letto con attenzione, non vedresti confusione nelle mie precise spiegazioni. Capiresti come è mutata nel tempo la flotta austro-veneta. Claudia Reichl-Ham è in linea con quanto sosteniamo noi (mi riferisco a Vedovato, Beggiato, Fogliata e Tommasutti, ognuno con il proprio contributo).
Questa è la sintesi di come sono mutati alcuni aspetti, come la lingua di bordo, il nome della flotta e la composizione dei comandi:
dal 1798 al 1848 circa - la flotta si chiama “Oesterreich-Venezianische Marine”. Sia Vedovato, sia la Reichl-Ham, ricordano che sia la lingua di bordo (servizio), sia la lingua di comando, erano “una sorta di dialetto veneto”, la Reichl-Ham dichiara che il corpo degli ufficiali era composto “dal 73% di Italiani, 18% di Slavi meridionali e solo per il 5% da Tedeschi”. Vedovato afferma che tutte le maggiori navi erano comandate da Veneti e Istro-dalmati, forse l’esigua componente tedescofona di allora conduceva naviglio minore. dal 1848 al 1866 circa - secondo Giacomo Scotti (cfr. “Lissa, 1866. La grande battaglia per l'Adriatico”) “Ben 5.000 marinai e sottoufficiali erano triestini, istriani, veneti e dalmati su un totale di 7.871 uomini che presero parte alla battaglia di Lissa sotto la bandiera dell’aquila bicipite”. Se si va al sitohttp://www.kuk-kriegsmarine.it/la-storia.html#ventuno si apprende che il 20 marzo 1849 il corpo ufficiali era rinnovato con elementi tedeschi per la defezione di numerosi ufficiali (in pratica, tutti Veneti e Istro-dalmati), così il tedesco diviene la lingua di comando (cioè degli ufficiali), ma non ancora la lingua di bordo (servizio).
Questo dato è confermato anche da una fonte che Moro sbandiera quasi fosse l'argomento decisivo a suo favore, cioè Lawrence Soundhaus (“The naval policy of Austria-Hungary 1861-1918”, Purdue Press, West Lafayette University, Indiana, 1994) che dice: “A Lissa, circa la metà delle otto migliaia di marinai di Tegetthoff erano italiani non veneziani da Trieste, Istria, Fiume e Dalmazia, un altro terzo erano croati, diverse centinaia (per lo più macchinisti e cannonieri) erano tedeschi-austriaci o cechi, e solo seicento erano veneziani".
Tuttavia, se si aggiungono ai 600 Veneziani gli altri “italiani non veneziani”, cioè Istriani e Dalmati (con esclusione per i puristi di Trieste e Fiume, che appartenevano all’Impero) discendenti dei popoli della Serenissima, si arriva proprio a quei 5.000 di cui parla Giacomo Scotti. I conti tornano e si dimostra ancora una volta che a Lissa la quantità degli ex sudditi di San Marco nella flotta austriaca era preponderante.
dopo il 1866 - Vedovato riporta un dato significativo sul dopo Lissa, cioè dopo il 1866: negli equipaggi mercantili il 65% continuava a parlare di norma il Veneto e Vedovato dichiara che la cosa proseguì fino alla Prima Guerra Mondiale, pur a livello informale, perché l’ambiente culturale che sapeva manovrare una nave era della costa adriatica, anche se di Trieste o di Fiume, cioè veneto-dalmata, perciò chi parlava Tedesco, Ungherese e Croato in linea di massima si adeguava.
Visto il dato precedente, potrebbe ammontare a 600-800 la quantità di personale marittimo che l'Austria perde dopo il 1866 per la perdita delle Venezie.
Conclusione: è gratuita, in quanto priva di qualsiasi base storica, l’affermazione di Moro che “la data di morte della veneticità della Marina asburgica risale agli inizi della rivoluzione del 1848, quando la flotta resta fedele agli Asburgo. Già allora la maggioranza degli equipaggi, in particolare gli artiglieri è composta da elementi slavi, croati in particolare”.
ANCORA RUBINI: questa sciocchezza della “mancata adesione della flotta alla rivoluzione del ‘48” è smentita da chiunque sappia qualcosa di quel periodo storico. In particolare, il sito http://www.kuk-kriegsmarine.it/la-storia.html#ventuno spiega che nel marzo 1848 il comando della nuova “K.K. Kriegsmarine” è portato a Trieste, perché 113 su 162 imbarcazioni si schierano con Venezia.
Si può controllare con un click: non è questione di internet o non internet, questa è storia ufficiale, l’ignorante che vuole insegnarla può ignorarla, ma i fatti restano.
Parlavo nel precedente messaggio di coloro che nutrivano un sentimento nazionale veneto e che seguirono la Repubblica di Manin, anche se di famiglia perastina, come Annibale Viscovich, capitano della Fido,: era ancora un bimbo quando il nonno Giuseppe, Capitano di Perasto, quel 23 agosto del 1797, finito l’impetuoso discorso di commiato dall’amato Veneto Governo, si rivolse al nipotino con una frase davanti all’altare, come dovesse giurare per sempre: « Inxenocite anca ti, Anibale, e tiente in la mente par tuta la vita! », anche se glielo disse in Slavo-Illirico. Annibale non dimenticò, come noi Veneti dobbiamo ricordare, se non vogliamo essere rinnegati indegni.
Ma le stucchevoli invenzioni che Federico propina, nel contempo rimproverando la “mancanza di note” a chi invece scrive con verità e precisione, non si fermano qui. Come può affermare che “la flotta ha sparato su Venezia, non contro gli austriaci”?
Spiegavo che l’Austria perdette la gran parte degli equipaggi, ufficiali compresi, ma riuscì a salvare il grosso delle navi, poiché purtroppo allora, nel marzo 1848, non erano ormeggiate a Venezia. Tuttavia, il grosso dei marinai con i loro ufficiali restarono fedeli alla vera Madre Patria, Venezia. Come spiega il sito http://www.kuk-kriegsmarine.it/la-storia.html#ventuno, sulle fregate e i brigantini che riuscì a salvare, Vienna dovette mettere la truppa di fanteria; iniziò il blocco navale sulla laguna, che strangolò Venezia essendo concentrato nell'Alto Adriatico, fino a raggiungere il numero di 30 unità nel corso del 1848. Ma oltre ad essere falso che tutti i capitani fossero rimasti fedeli all’Austria, non è neppur vero che quelli austriaci, di fresca nomina oppure no, abbiano sparato su Venezia. Avevo già spiegato invano nel mio messaggio precedente che il bombardamento iniziò la notte del 29 luglio 1849 con l’artiglieria posizionata in gronda lagunare, dopo che il 27 maggio 1849 si era dovuto abbandonare Forte Marghera.
Quelle furono le uniche bombe che colpirono la città (a parte i palloni…). Quindi, il bombardamento navale te lo sei sognato, ammetti che sono le tue solite trovate da romanziere... Non v’è nessuna traccia in nessuna pubblicazione (con o senza note) di una simile baggianata. Da Veneziano, prima che da cultore di storia, ti spiego perché questa sarebbe stata una cosa impossibile.
Premesso che per un azione simile bisogna avere navi e artiglierie adeguate e personale preparatissimo (mentre l’Austria in quel momento non disponeva né degli uni, né dell’altro), dovendo bombardare Venezia dal mare, restavano tre vie:
1. entrare in laguna con le navi, poi attaccare per esempio S. Andrea, o l’Arsenale, o il sestiere di Castello – ma i Veneziani ben più esperti li avrebbero subito fatti a pezzi, proprio come andò a finire con le navi del Bonaparte nel 1797, essendoci fondali bassi e da compiere manovre difficili per gli inesperti. Un suicidio che infatti gli Austriaci neppure si sognarono di affrontare.
2. cercare di colpire Venezia dal mare: anche questo è impossibile, essendoci il Lido davanti alla laguna, i cannoni navali di allora non avevano gittata sufficiente a scavalcare il Lido, inoltre la visibilità dal mare era pari a zero.
3. bombardare i forti di Lido, Malamocco e Pellestrina: ma oltre alla irrilevanza di questo obiettivo, quei forti avevano con ogni probabilità cannoni più grossi e le navi austriache avrebbero avuto la peggio.
Ti scrivo questo per farti capire che, al di là delle note e della bibliografia, la storia si fa – prima di tutto - usando il cervello.
2- MORO - il "saggio" di Vedovato non si può prendere in considerazione perché non ha i requisiti scientifici minimi: fa una serie di affermazioni, giuste-sbagliate non importa, senza mai citare la fonte relativa. Non basta una bibliografia alla fine, anche se buona e simile a quella da me citata. Servono le note, redatte in modo che chiunque possa andare a controllare. Non c'è una sola nota: chi dice cosa, quindi? Quali i documenti?
RUBINI: il "saggio" di Vedovato va apprezzato come uno strumento valido di ricerca storica. Uno storico degno di questo nome non si nasconde mai dietro ad un dito, ma entra nel merito. La bibliografia c’è: se sei capace, la devi contro dedurre (come sto facendo io con te, dimostrando che le tue citazioni sono a casaccio). Contro Vedovato ti mancano gli argomenti, perché i suoi dati collimano nella sostanza con tante altre fonti e con tutte quelle che abbiamo sin qui menzionato.
3- MORO - Infatti, tra le affermazioni che ripeti senza esibire nessuna prova ci sono: che a bordo si parlasse veneto, che la maggioranza degli equipaggi fosse veneta, che Tegetthof ordinasse a Vincenzo Vianello quanto sappiamo, che i marinai gridassero w san marco al momento dell'affondamento della Re d'Italia o dopo la battaglia, qua esistono diverse versioni. Lo dice Vedovato, che però non racconta dove ha trovato queste notizie, ignorate da qualunque documento e/o memoria dell'evento.
RUBINI: le diverse versioni attengono a questioni irrilevanti. Per quanto attiene alla lingua di bordo, è assodato che questa fosse il Veneto, di sicuro fino al 1866, ma anche dopo. Unica eccezione, il caso che, IN PRATICA, ciò fosse divenuto disagevole. Quando gli Austriaci, per esempio, imbarcarono truppe di terra nel 1848, è possibile che su certe navi la provenienza geografica di questi equipaggi li inducesse a parlare in Tedesco. Di regola, però, non c’è possibilità di far parlare una massa a bordo di una nave la lingua che solo pochi conoscono: si può farlo solo se a ignorarla è un’esigua minoranza.
Il Tedesco, dicono le fonti consultate (cfr. Claudia Reichl-Ham, Alberto Vedovato), era nel 1866 solo la lingua di comando, ma tu non hai ancora capito che questa è altra cosa dalla lingua di servizio (cioè di bordo), che difatti restava il Veneto.
Mio padre, che è Capitano di lungo corso e ha passato la vita in navigazioni trans-oceaniche, potrebbe spiegarti che se gli ufficiali sanno usare solo la lingua di comando, mentre l’equipaggio non la capisce, bisogna prendere un interprete a bordo, perché i marinai parlano la lingua di bordo e nulla può costringerli a parlare lingue sconosciute. È sempre stato così, né può essere altrimenti.
Sopra ho riportato ciò che dicono le fonti, di sicuro se ne possono allegare tante altre, ma che difficilmente smentiranno fatti pacifici e notori tra gli studiosi: solo tu sostieni - senza prove - che nella flotta austriaca nell’800 si parlasse solo Tedesco.
4- MORO - tra l'altro, nella valutazione degli equipaggi, a partire dagli ufficiali, insisti nell'adottare un criterio piuttosto estensivo per accrescere il numero dei veneti. Per te lo sono indiscutibilmente tutti i dalmati, tutti coloro il cui cognome viene scritto con la finale -ich, lo fanno anche i tedeschi ti faccio presente, trentini, triestini e chi più ne ha più ne metta. Perché anche trentini e triestini che in buona parte, ma non tutti, sono italiani ma non sono mai, dico mai stati veneti? Per quale ragione un triestino dovrebbe gridare W San Marco in ricordo della Serenissima? Trieste è stata veneziana per una frazione del XIV secolo e solo per occupazione militare. Infatti, si è "concessa" all'Austria pur di sfuggire al dominio della Serenissima. I fiumani? E quando mai sono stati veneti? I dalmati a sud di Spalato e fino a Cattaro dove, erano sotto governo veneto ma etnicamente non erano affatto veneti? Il conte Viscovich del celebre discorso di Perasto, non era veneto ma morlacco cioè slavo. E si scrive con -ich.
RUBINI: La cosa semplice che non vuoi capire, senza allambiccarsi il cervello in disquisizione linguistiche su cui nessuno qui ha grande competenza, è che l’Alto Adriatico è una specie di lago, dove i popoli che ci vivono hanno condiviso tutto nei secoli. Un Veneziano, un Chioggiotto, un Triestino, uno dalla laguna di Caorle o di Scardovari, un Polesano, un Rovignese, uno da Lussino o da Cherso, o anche un Zaratino o un Bocchese, potevano formare una comunità unita nei millenni, si sentivano una sola Nazione sotto San Marco anche se qualcuno parlava Veneto-Dalmata e un altro Slavo-Illirico. Di sicuro avrebbero guardato come uno straniero un Romano o uno da Belgrado. Anche a Spalato e a Cattaro si sentivano Veneti in un modo peculiare, nessuno però si sentiva italiano: già le città costiere dell’Adriatico vivevano proiettate sull’acqua e spesso per nulla su terra, poi la politica della Serenissima, anche la sua politica religiosa, fece il resto, cementando tutto.
Ciò fa sì che le più forti manifestazioni di patriottismo veneto nel 1797 le troviamo a Zara e a Perasto, ma anche a Cherso, di cui Luigi Tomaz ricorda 4 giornate di resistenza anti-austriaca (12-15 giugno 1797), durante le quali il popolo insorse contro i nobili che meditavano di consegnarsi all’Austria dopo un mese dall’abdicazione del Veneto Governo, perché volevano restare veneti. E che dire della Repubblica delle Sette Isole Unite? Come può essere che la Repubblica delle Isole Ionie, Repubblica Septinsulare, Eptaneso o Stato Ionio, formata dalle Isole Ionie abbia resuscitato la Repubblica di San Marco, sotto la protezione della Russia, tra il 1800 e il 1807?
Erano Corfù, Isola di Passo, Itaca, Cefalonia, Leuca, Zante e Cerigo: oggi diremo “sono Greci”, alla fine Greci e Slavi omaggiano e ricordano la Repubblica Veneta più di noi, rimbecilliti da un secolo e mezzo di regime corrotto.
Su Trieste, ricordiamo che la città lasciò la Repubblica durante le vicissitudini della guerra di Chioggia, Venezia avrebbe potuto riprendere la città con la forza, ma non lo fece: una lezione di civiltà che tanti dovrebbero apprendere e tanti ricordare con gratitudine, fino ad abbracciare il nome veneto. I Trentini, poi, sono Veneti anche linguisticamente, se la Repubblica non mirò mai ad acquisire Trento ciò fu per rispetto sia verso Roma (a Trento c’era un Vescovo-conte), sia per rispetto verso Vienna, ma i Trentini sono identici a noi.
5- MORO - Ciò detto, l'elenco completo degli ufficiali in comando a Lissa sulla flotta austriaca si trova in Die Operationen der Österreichischen Marine während des kriegs 1866, pubblicato a Wien nel 1866 facilmente reperibile anche in internet grazie alla Stanford University. Alle pagg. 13-14. Di italiani, ma non è detto siano veneti, abbiamo solo Florio, dal cognome addirittura siciliano se proprio vogliamo, Eberle, trentino dunque, Calafatti, Masotti, anche questo un cognome non proprio veneto, forse Adrario. Comandanti di unità che per la maggior parte non hanno partecipato allo scontro. Arruolare tra i veneti perché triestini altri mi sembra davvero improprio. Kern, per esempio. Perché no von Henriquez allora, da cui discende in linea diretta la celebre "aquila di Trieste" della Grande Guerra? Tutti gli altri sono senza se e senza ma tedeschi, con due probabili slavi, Millossich e Daufalik.
RUBINI: Ho visto la fonte che citi, conferma il dato riportato da Alberto Vedovato che indica capitani veneto-triestini in 5 di loro, cioè Barry, Kern, Calafatti, Masotti e Eberle. Ti sfuggiranno tutte le conoscenze in possesso di Vedovato, ma non hai neppure seri motivi per dubitare. Se vuoi dire che questi 5 non fossero né Veneziani, né Triestini, sta a te dimostrarlo. Il problema è che non sai quasi niente.
Per la cronaca, Florio non è solo un cognome siciliano, ma anche dalmata, dato che questo capitano Marco Florio era nato nel 1827 a Perzagno, nelle Bocche di Cattaro, discendente da un’antica famiglia di grande fede veneziana.
Un lavoro storico non cessa di esistere perché senza note, si vedono tanti testi di valore scientifico con poche o senza note e, per converso, tante schifezze munite di note. Io sono pignolo e nei miei lavori metto le note fatte meglio, cioè quelle a piè di pagina, per agevolare i lettori, anche quelli critici.
Può darsi che Barry, Kern, Calafatti, Masotti e Eberle vivessero o fossero anche nati a Venezia, d’altronde nessuna fonte parla di norme che impedissero ai Veneziani di comandare una nave. Tu ha solo il pregiudizio che “la data di morte della veneticità della Marina asburgica risale agli inizi della rivoluzione del 1848, quando la flotta resta fedele agli Asburgo. Già allora la maggioranza degli equipaggi, in particolare gli artiglieri è composta da elementi slavi, croati in particolare”. Ma sono fandonie di tua invenzione, che contrastano con qualsivoglia fonte storica: i 5/8 dei marinai austriaci del 1866 appartenevano agli ex Dominii della Repubblica (slavi e non slavi), prima ho presentato conteggi precisi con tutte le fonti del caso.
trovo utile che tu discerna le varie questioni: una per volta, ti dimostrerò come si possa usare la ragione nel trattare la storia. Mi pare tu faccia grande fatica a comprendere ciò che ti è stato ben spiegato, anche da Renzo Fogliata e da Massimo Tomasutti, quindi non ho la pretesa di aver più successo di loro.
Lascerò il tuo testo in forma normale, il mio lo metterò in maiuscoletto e blu per distinguerlo.
Caro Edo,
1- MORO - come ho già avuto modo di scrivere la storia si fa partendo dalla cronologia: se tu mescoli quanto successo "prima" del 1848, con quanto accade dopo, Lissa è del 1866 tra l'altro, evidentemente non ci capiamo più. Non mi sono dato nessuna zappa sui piedi, Claudia Reichl-Ham distingue giustamente tra prima e dopo, cosa che tu non fai. Anch'io distinguo tra prima e dopo, aggiungendo che la mancata adesione della flotta alla rivoluzione del 48 mi fa pensare a cambiamenti già intervenuti. Valutazione personale ma sostenuta da un fatto indiscutibile: la flotta ha sparato su Venezia, non contro gli austriaci. Anche qui in nome di San Marco e della Serenissima? Eppure Venezia rinasce repubblica e tornerà tale alla fine. Alla luce del semplice dato cronologico, comunque, il tuo intero discorso decade. Stiamo parlando del 1866, non del 1797 o del 1805 , neanche del 1820, neppure dello stesso 1848.
RUBINI: Se tu avessi letto con attenzione, non vedresti confusione nelle mie precise spiegazioni. Capiresti come è mutata nel tempo la flotta austro-veneta. Claudia Reichl-Ham è in linea con quanto sosteniamo noi (mi riferisco a Vedovato, Beggiato, Fogliata e Tommasutti, ognuno con il proprio contributo).
Questa è la sintesi di come sono mutati alcuni aspetti, come la lingua di bordo, il nome della flotta e la composizione dei comandi:
dal 1798 al 1848 circa - la flotta si chiama “Oesterreich-Venezianische Marine”. Sia Vedovato, sia la Reichl-Ham, ricordano che sia la lingua di bordo (servizio), sia la lingua di comando, erano “una sorta di dialetto veneto”, la Reichl-Ham dichiara che il corpo degli ufficiali era composto “dal 73% di Italiani, 18% di Slavi meridionali e solo per il 5% da Tedeschi”. Vedovato afferma che tutte le maggiori navi erano comandate da Veneti e Istro-dalmati, forse l’esigua componente tedescofona di allora conduceva naviglio minore. dal 1848 al 1866 circa - secondo Giacomo Scotti (cfr. “Lissa, 1866. La grande battaglia per l'Adriatico”) “Ben 5.000 marinai e sottoufficiali erano triestini, istriani, veneti e dalmati su un totale di 7.871 uomini che presero parte alla battaglia di Lissa sotto la bandiera dell’aquila bicipite”. Se si va al sitohttp://www.kuk-kriegsmarine.it/la-storia.html#ventuno si apprende che il 20 marzo 1849 il corpo ufficiali era rinnovato con elementi tedeschi per la defezione di numerosi ufficiali (in pratica, tutti Veneti e Istro-dalmati), così il tedesco diviene la lingua di comando (cioè degli ufficiali), ma non ancora la lingua di bordo (servizio).
Questo dato è confermato anche da una fonte che Moro sbandiera quasi fosse l'argomento decisivo a suo favore, cioè Lawrence Soundhaus (“The naval policy of Austria-Hungary 1861-1918”, Purdue Press, West Lafayette University, Indiana, 1994) che dice: “A Lissa, circa la metà delle otto migliaia di marinai di Tegetthoff erano italiani non veneziani da Trieste, Istria, Fiume e Dalmazia, un altro terzo erano croati, diverse centinaia (per lo più macchinisti e cannonieri) erano tedeschi-austriaci o cechi, e solo seicento erano veneziani".
Tuttavia, se si aggiungono ai 600 Veneziani gli altri “italiani non veneziani”, cioè Istriani e Dalmati (con esclusione per i puristi di Trieste e Fiume, che appartenevano all’Impero) discendenti dei popoli della Serenissima, si arriva proprio a quei 5.000 di cui parla Giacomo Scotti. I conti tornano e si dimostra ancora una volta che a Lissa la quantità degli ex sudditi di San Marco nella flotta austriaca era preponderante.
dopo il 1866 - Vedovato riporta un dato significativo sul dopo Lissa, cioè dopo il 1866: negli equipaggi mercantili il 65% continuava a parlare di norma il Veneto e Vedovato dichiara che la cosa proseguì fino alla Prima Guerra Mondiale, pur a livello informale, perché l’ambiente culturale che sapeva manovrare una nave era della costa adriatica, anche se di Trieste o di Fiume, cioè veneto-dalmata, perciò chi parlava Tedesco, Ungherese e Croato in linea di massima si adeguava.
Visto il dato precedente, potrebbe ammontare a 600-800 la quantità di personale marittimo che l'Austria perde dopo il 1866 per la perdita delle Venezie.
Conclusione: è gratuita, in quanto priva di qualsiasi base storica, l’affermazione di Moro che “la data di morte della veneticità della Marina asburgica risale agli inizi della rivoluzione del 1848, quando la flotta resta fedele agli Asburgo. Già allora la maggioranza degli equipaggi, in particolare gli artiglieri è composta da elementi slavi, croati in particolare”.
ANCORA RUBINI: questa sciocchezza della “mancata adesione della flotta alla rivoluzione del ‘48” è smentita da chiunque sappia qualcosa di quel periodo storico. In particolare, il sito http://www.kuk-kriegsmarine.it/la-storia.html#ventuno spiega che nel marzo 1848 il comando della nuova “K.K. Kriegsmarine” è portato a Trieste, perché 113 su 162 imbarcazioni si schierano con Venezia.
Si può controllare con un click: non è questione di internet o non internet, questa è storia ufficiale, l’ignorante che vuole insegnarla può ignorarla, ma i fatti restano.
Parlavo nel precedente messaggio di coloro che nutrivano un sentimento nazionale veneto e che seguirono la Repubblica di Manin, anche se di famiglia perastina, come Annibale Viscovich, capitano della Fido,: era ancora un bimbo quando il nonno Giuseppe, Capitano di Perasto, quel 23 agosto del 1797, finito l’impetuoso discorso di commiato dall’amato Veneto Governo, si rivolse al nipotino con una frase davanti all’altare, come dovesse giurare per sempre: « Inxenocite anca ti, Anibale, e tiente in la mente par tuta la vita! », anche se glielo disse in Slavo-Illirico. Annibale non dimenticò, come noi Veneti dobbiamo ricordare, se non vogliamo essere rinnegati indegni.
Ma le stucchevoli invenzioni che Federico propina, nel contempo rimproverando la “mancanza di note” a chi invece scrive con verità e precisione, non si fermano qui. Come può affermare che “la flotta ha sparato su Venezia, non contro gli austriaci”?
Spiegavo che l’Austria perdette la gran parte degli equipaggi, ufficiali compresi, ma riuscì a salvare il grosso delle navi, poiché purtroppo allora, nel marzo 1848, non erano ormeggiate a Venezia. Tuttavia, il grosso dei marinai con i loro ufficiali restarono fedeli alla vera Madre Patria, Venezia. Come spiega il sito http://www.kuk-kriegsmarine.it/la-storia.html#ventuno, sulle fregate e i brigantini che riuscì a salvare, Vienna dovette mettere la truppa di fanteria; iniziò il blocco navale sulla laguna, che strangolò Venezia essendo concentrato nell'Alto Adriatico, fino a raggiungere il numero di 30 unità nel corso del 1848. Ma oltre ad essere falso che tutti i capitani fossero rimasti fedeli all’Austria, non è neppur vero che quelli austriaci, di fresca nomina oppure no, abbiano sparato su Venezia. Avevo già spiegato invano nel mio messaggio precedente che il bombardamento iniziò la notte del 29 luglio 1849 con l’artiglieria posizionata in gronda lagunare, dopo che il 27 maggio 1849 si era dovuto abbandonare Forte Marghera.
Quelle furono le uniche bombe che colpirono la città (a parte i palloni…). Quindi, il bombardamento navale te lo sei sognato, ammetti che sono le tue solite trovate da romanziere... Non v’è nessuna traccia in nessuna pubblicazione (con o senza note) di una simile baggianata. Da Veneziano, prima che da cultore di storia, ti spiego perché questa sarebbe stata una cosa impossibile.
Premesso che per un azione simile bisogna avere navi e artiglierie adeguate e personale preparatissimo (mentre l’Austria in quel momento non disponeva né degli uni, né dell’altro), dovendo bombardare Venezia dal mare, restavano tre vie:
1. entrare in laguna con le navi, poi attaccare per esempio S. Andrea, o l’Arsenale, o il sestiere di Castello – ma i Veneziani ben più esperti li avrebbero subito fatti a pezzi, proprio come andò a finire con le navi del Bonaparte nel 1797, essendoci fondali bassi e da compiere manovre difficili per gli inesperti. Un suicidio che infatti gli Austriaci neppure si sognarono di affrontare.
2. cercare di colpire Venezia dal mare: anche questo è impossibile, essendoci il Lido davanti alla laguna, i cannoni navali di allora non avevano gittata sufficiente a scavalcare il Lido, inoltre la visibilità dal mare era pari a zero.
3. bombardare i forti di Lido, Malamocco e Pellestrina: ma oltre alla irrilevanza di questo obiettivo, quei forti avevano con ogni probabilità cannoni più grossi e le navi austriache avrebbero avuto la peggio.
Ti scrivo questo per farti capire che, al di là delle note e della bibliografia, la storia si fa – prima di tutto - usando il cervello.
Il Tedesco, dicono le fonti consultate (cfr. Claudia Reichl-Ham, Alberto Vedovato), era nel 1866 solo la lingua di comando, ma tu non hai ancora capito che questa è altra cosa dalla lingua di servizio (cioè di bordo), che difatti restava il Veneto.
Mio padre, che è Capitano di lungo corso e ha passato la vita in navigazioni trans-oceaniche, potrebbe spiegarti che se gli ufficiali sanno usare solo la lingua di comando, mentre l’equipaggio non la capisce, bisogna prendere un interprete a bordo, perché i marinai parlano la lingua di bordo e nulla può costringerli a parlare lingue sconosciute. È sempre stato così, né può essere altrimenti.
Sopra ho riportato ciò che dicono le fonti, di sicuro se ne possono allegare tante altre, ma che difficilmente smentiranno fatti pacifici e notori tra gli studiosi: solo tu sostieni - senza prove - che nella flotta austriaca nell’800 si parlasse solo Tedesco.
RUBINI: La cosa semplice che non vuoi capire, senza allambiccarsi il cervello in disquisizione linguistiche su cui nessuno qui ha grande competenza, è che l’Alto Adriatico è una specie di lago, dove i popoli che ci vivono hanno condiviso tutto nei secoli. Un Veneziano, un Chioggiotto, un Triestino, uno dalla laguna di Caorle o di Scardovari, un Polesano, un Rovignese, uno da Lussino o da Cherso, o anche un Zaratino o un Bocchese, potevano formare una comunità unita nei millenni, si sentivano una sola Nazione sotto San Marco anche se qualcuno parlava Veneto-Dalmata e un altro Slavo-Illirico. Di sicuro avrebbero guardato come uno straniero un Romano o uno da Belgrado. Anche a Spalato e a Cattaro si sentivano Veneti in un modo peculiare, nessuno però si sentiva italiano: già le città costiere dell’Adriatico vivevano proiettate sull’acqua e spesso per nulla su terra, poi la politica della Serenissima, anche la sua politica religiosa, fece il resto, cementando tutto.
Ciò fa sì che le più forti manifestazioni di patriottismo veneto nel 1797 le troviamo a Zara e a Perasto, ma anche a Cherso, di cui Luigi Tomaz ricorda 4 giornate di resistenza anti-austriaca (12-15 giugno 1797), durante le quali il popolo insorse contro i nobili che meditavano di consegnarsi all’Austria dopo un mese dall’abdicazione del Veneto Governo, perché volevano restare veneti. E che dire della Repubblica delle Sette Isole Unite? Come può essere che la Repubblica delle Isole Ionie, Repubblica Septinsulare, Eptaneso o Stato Ionio, formata dalle Isole Ionie abbia resuscitato la Repubblica di San Marco, sotto la protezione della Russia, tra il 1800 e il 1807?
Erano Corfù, Isola di Passo, Itaca, Cefalonia, Leuca, Zante e Cerigo: oggi diremo “sono Greci”, alla fine Greci e Slavi omaggiano e ricordano la Repubblica Veneta più di noi, rimbecilliti da un secolo e mezzo di regime corrotto.
Su Trieste, ricordiamo che la città lasciò la Repubblica durante le vicissitudini della guerra di Chioggia, Venezia avrebbe potuto riprendere la città con la forza, ma non lo fece: una lezione di civiltà che tanti dovrebbero apprendere e tanti ricordare con gratitudine, fino ad abbracciare il nome veneto. I Trentini, poi, sono Veneti anche linguisticamente, se la Repubblica non mirò mai ad acquisire Trento ciò fu per rispetto sia verso Roma (a Trento c’era un Vescovo-conte), sia per rispetto verso Vienna, ma i Trentini sono identici a noi.
RUBINI: Ho visto la fonte che citi, conferma il dato riportato da Alberto Vedovato che indica capitani veneto-triestini in 5 di loro, cioè Barry, Kern, Calafatti, Masotti e Eberle. Ti sfuggiranno tutte le conoscenze in possesso di Vedovato, ma non hai neppure seri motivi per dubitare. Se vuoi dire che questi 5 non fossero né Veneziani, né Triestini, sta a te dimostrarlo. Il problema è che non sai quasi niente.
Per la cronaca, Florio non è solo un cognome siciliano, ma anche dalmata, dato che questo capitano Marco Florio era nato nel 1827 a Perzagno, nelle Bocche di Cattaro, discendente da un’antica famiglia di grande fede veneziana.
Un lavoro storico non cessa di esistere perché senza note, si vedono tanti testi di valore scientifico con poche o senza note e, per converso, tante schifezze munite di note. Io sono pignolo e nei miei lavori metto le note fatte meglio, cioè quelle a piè di pagina, per agevolare i lettori, anche quelli critici.
Può darsi che Barry, Kern, Calafatti, Masotti e Eberle vivessero o fossero anche nati a Venezia, d’altronde nessuna fonte parla di norme che impedissero ai Veneziani di comandare una nave. Tu ha solo il pregiudizio che “la data di morte della veneticità della Marina asburgica risale agli inizi della rivoluzione del 1848, quando la flotta resta fedele agli Asburgo. Già allora la maggioranza degli equipaggi, in particolare gli artiglieri è composta da elementi slavi, croati in particolare”. Ma sono fandonie di tua invenzione, che contrastano con qualsivoglia fonte storica: i 5/8 dei marinai austriaci del 1866 appartenevano agli ex Dominii della Repubblica (slavi e non slavi), prima ho presentato conteggi precisi con tutte le fonti del caso.
6- MORO - La stessa fonte, alle pagg. 27-8, parla di due timonieri, indicati con il termine Steuermann, della Ferdinand Max: Franz Seemann e Kerkovich. Non accenna minimamente a Vincenzo Vianello, il cui unico riferimento si trova in un elenco dei feriti della nave Kaiser. A quanto pare perché non si trova in queste pagine. Quindi non sulla Ferdinand Max. Lo stesso Vianello è indicato comunque come Vinzent in tedesco. Ovvio, visto che era questa la lingua di bordo, di certo la lingua del comandante della stessa Ferdinand Max, von Sterneck, al quale si deve per forza, in quanto capitano della nave, d'aver dato l'ordine di speronamento della Re d'Italia. Non l'ha fatto di certo Tegetthof, il quale non è il comandante della nave bensì della flotta. Perchè von Sterneck avrebbe dovuto usare il veneto per dare un ordine a Kerkovich o Seemann? Perché Vianello, se non è un caso di omonimia sempre possibile per carità, si trovava sulla Kaiser. Fino a prova contraria.7- MORO - Sempre la stessa fonte alla pag. 30 racconta in effetti dell'esultanza dei marinai della flotta austriaca: non al momento dell'affondamento della Re d'Italia, erano un po' indaffarati per la verità, bensì una volta arrivati in porto. E qualche giorno dopo. Esultano arrampicati sulle sartie, così racconta la fonte, perché da Vienna è appena giunta la notizia che il contrammiraglio von Tegetthof è stato promosso viceammiraglio. Non fa alcun cenno a cosa abbiano gridato i marinai. Difficile pensare però siano esplosi in un W San Marco! quanto mai inopportuno visto che nel giro di appena 18 anni l'Austria ha dovuto combattere ben tre guerre per cercare di tenersi stretto un pezzetto della Penisola. Venezia compresa. Sua storica arcinemica per secoli.
RUBINI: Mi commuovo quando vedo l’ingenuità di chi solleva questioni nominali prive di sostanze come avesse trovato la pietra filosofale. Secoli fa (persino fino al 1956), i nomi venivano tradotti nella lingua del posto. Per esempio, io nella mia biblioteca ne ho uno del 1956 intitolato “Il meglio di Federico Nitzsche”. Vuoi vedere che questo Federico era italiano? Ma chi sarebbe così ingenuo da pensarlo? Eppure, se Vincenzo Vianello si trova sotto forma di Vinzenz Vianello cominciano le elucubrazioni e gli scandali. Pensate allora quando Giovanni Caboto in Inghilterra diveniva John Cabot, o per converso Thomas More in Italia diveniva Tommaso Moro… oggi, che siamo nel mondialismo e nel trans-nazionale, mettiamo dappertutto etichette nazionaliste e facciamo questioni di discriminazione, quando un tempo nessuno faceva una piega. Mi viene il dubbio che forse nei secoli siamo andati indietro invece che avanti. In sintesi: serve la laurea o la nota per capire che Vincenzo Vianello e Vinzenz Vianello sono la stessa persona e che la differenza di scrittura si deve alla moda del periodo o agli usi burocratici, che nulla cambiano della persona? In pieno ‘800, Tegetthoff giovane cadetto negli Archivi del Collegio di Sant’Anna a Venezia, sestiere di Castello, è indicato con il nome proprio “Guglielmo”: vuoi vedere che la lingua di comando, a bordo della città di Venezia, era il Veneziano? O che Tegetthoff nel frattempo aveva cambiato nazionalità? Va un po’ a controllare negli archivi dell’attuale “Collegio navale Morosini”…
Di Vincenzo Vianello credo bene che hai trovato riscontro in un elenco dei feriti della nave Kaiser, dato che era imbarcato lì.
Mo ti spiego perché non trovi Vincenzo Vianello tra i timonieri della Ferdinand Max: infatti non era su quella nave. Hai appena detto che era sulla Kaiser: “ma ci sei, o ci fai?” - dicono a Roma. Quando la Kaiser sbattè sulla prua della Re di Portogallo, la fucileria italiana dalla fiancata bersagliò il ponte di comando dell’avversaria. Vincenzo Vianello era timoniere di seconda classe e che cosa accadde lo si scopre dal certificato di decorazione firmato a Pola il 28 settembre 1866 dal Contrammiraglio Von Petz, che gli conferì la medaglia d’oro: “il timoniere di 2° classe Vincenz Vianello, nonostante fosse ferito, subito dopo la morte del timoniere capo Lenaz, e al ferimento del timoniere di 1° classe Pinduli, prese il timone della nave e ha intrepidamente manovrato. Ha dimostrato audacia, sangue freddo e e coraggio rari”.
Ciò che accadde sulla Erzherzog Ferdinand Max è una storia simile. Poco prima dell'affondamento della corazzata italiana, si dice che il comandante di quella austriaca Maximilian Daublesky von Sterneck,, avesse urlato in veneto al suo timoniere, Tommaso Penzo: «Daghe dosso, Nino, che la ciàpemo!». C’è chi sostiene che l’abbia detto Tegetthoff, ma è un dettaglio irrilevante. È una tradizione ormai divenuta leggenda. Tuttavia, la cosa che mi pare sia sfuggita ai più (ancorché ovvia ed evidente) è che non si tratta di un ordine, perché nelle forze armate gli ordini si danno secondo schemi fissi. È invece un incitamento, che chiunque avrebbe potuto esclamare. Resta un fatto destinato a restare indimostrato, ma resta nel campo del possibile, perché Vienna aveva a modo suo incoraggiato il patriottismo dei Veneti (avendo in quel tempo tutti archiviato il 1848 nel cassetto dei brutti ricordi). L’Austria resta l’unico Stato che ha re-installato almeno una parte dei Leoni di San Marco su palazzo ducale, tra i tanti devastati durante l’occupazione franco-giacobina del 1797. La banana republic ha sempre impedito queste operazioni di recupero e ciò è sintomatico della maggiore distanza che Venezia ha da Roma rispetto a Vienna. Opinioni, per carità… ma anche cruda realtà.
RUBINI: La tua opinione di “Austria storica arcinemica” è tipicamente italiana: l’Italia massona fu sempre contro l’Austria cattolica (e un certo livore sopravvive ancora, se gettiamo uno sguardo su che succede al confine del Brennero), ma questo non è certo il sentimento veneto. Per Venezia l’Austria restò una fondamentale alleata in quattro secoli di guerre quasi continue contro i Turchi, quest’alleanza ebbe un’unica vera grande eccezione della guerra contro la Lega di Cambrais (a parte le baruffe sul nostro confine orientale).
Nel 1866 il 1848 era ormai una parentesi chiusa; invece, sulle guerre di annessione dei Savoia le fasce popolari e i Veneti in particolare sono sempre stati freddi. Un po’ come oggi, i Veneti non si sentono italiani.
Sulle manifestazioni di giubilo va fatta chiarezza. È vero che Tegetthoff fu promosso immediatamente, via telegrafo, al grado di Vizeadmiral (vice-ammiraglio), ma la notizia pervenne comunque via piroscafo il giorno dopo, il 21 e allora si festeggiò, il 21 non aveva senso gridare “W San Marco”, dovevano festeggiare il loro condottiero. Su “Lissa, 1866. La grande battaglia per l'Adriatico” di Giacomo Scotti ogni cosa è descritta con esattezza. Questo fatto avvenne il 20 luglio, alla fine degli scontri. Solo verso il tramonto, alle h. 18,05, la Erzherzog Ferdinand Max entrò in porto S. Giorgio dove era radunata la flotta, essendo l’Ammiraglio rimasto a far la guardia là davanti, che qualche nave italiota non andasse ancora in cerca di guai.
Entrò in porto segnalando la vittoria e concludendo con il segnale “Viva l’Imperatore!”: fu allora che scattò il giubilo generale (Triestini compresi, suppongo, perché no?) tra i naviganti ancora sulle navi: i marinai lanciarono i cappelli in aria e gridarono “Viva San Marco!”.
Si deve escludere che ciò potesse succedere durante l’affondamento del re d’italia. Quando una corazzata si lancia a oltre 11 nodi contro un’altra, il frastuono e il caos sono indescrivibili: motori al massimo, spari di cannone, di fucile, lo schianto improvviso, si fermano i motori e bisogna farli ripartire, urla, fumo, incendi a bordo. Al momento dell’impatto nessuno riesce a stare in piedi, tutti sono scaraventati per terra. La nave colpita si rovescia prima su un lato poi, quando la Erzherzog Ferdinand Max fa macchine indietro per togliersi di mezzo, quella italiana è trascinata sul lato opposto. I marinai cadono in mare, tutti urlano, tutti implorano aiuto. Arrivò persino il piroscafo austriaco Kaiserin Elisabeth per salvare quei disgraziati, ma le navi italiane assaltarono subito i soccorritori, cagionando indirettamente la morte di tanti loro commilitoni, dato che l’unità austriaca dovette abbandonare l’operazione di salvataggio e gli italioti tardarono con i soccorsi.
No, non c’era né tempo, né modo di fare acclamazioni nel momento dello speronamento, chi dice questo sta solo facendo una sorta di “semplificazione”, perché si è poco documentato.
8- MORO - Il resto, tipo Trento e la manovra a tenaglia oppure l'avanzata di Cialdini, lo lascio perdere perché i fatti sono fatti e non è che si possano discutere. Medici sarà anche stato un frammassone, il che evidentemente è colpa grave ma non significa nulla per tanti a cominciare da me, ma era a 8 km da Trento. Appunto. Cialdini si è fermato sull'Isonzo. Anche qui, bisogna altrimenti dimostrare il contrario. Fatti e documenti alla mano. Citandoli con precisione. Io ho ripreso il telegramma di Kuhn in cui dice di essere costretto a sgomberare la città, l'Arciduca Alberto era ben lontano: si potrebbe vedere l'ordine arrivato a Kuhn da Vienna di resistere a oltranza? Se c'è, benissimo, forse avrebbe resistito. Di fatto la guerra è terminata con Medici a 8 km da Trento e Garibaldi a Levico.
RUBINI: Fatti e documenti alla mano stai sbagliando tutto, come al solito e ti dimostro perché, con citazioni precise. Prima però, ti propongo quello che ti manca: il ragionamento, attività principe dello storico. La guerra è terminata con il gen. Medici davanti Civezzano, va bene, ma Garibaldi a Levico non c’è mai stato. Il fatto che tu lo sostenga significa che del 1866 non sai quasi nulla.
Devi leggere due testi: “Bezzecca 1866. La campagna garibaldina dall'Adda al Garda” di Ugo Zaniboni e, “Per Trento e Trieste. L'amara prova del 1866” di Riccardo Gasperi, così capiresti che Medici percorse la Val Sugana, quindi il 24 luglio lui sì che poteva trovarsi a Civezzano. Invece, quel giorno Garibaldi, ormai vecchio e con una brutta ferita sulla coscia, tanto che doveva muoversi in carrozza in montagna (un disastro), era vicino alle Prealpi Giudicarie, a Bezzecca, sul versante occidentale rispetto al lago di Garda, quindi ad un centinaio di km da Levico. Come fai a dire che era sopra la Val Sugana un vecchio ferito e stanco che in quel momento era al di là del Garda? Se tu scrivessi queste cose in un temino di storia alle medie, ti boccerebbero.
Vediamo al telegramma di Kuhn in cui tu dici che lui si dice costretto a sgomberare Trento. Non esiste un simile documento, tu leggiucchi frettolosamente cose qua e là, poi tiri conclusioni ridicole. Io però non rido e ti spiego che cos’è successo.
La tregua sottoscritta il 24 luglio prevedeva una sospensione per 8 giorni. Lo stesso 24 luglio era stata sottoscritta una tregua fra austriaci e prussiani, perciò anche l'Italia si trovò obbligata al medesimo passo. L'Arciduca Alberto ordinava a Kuhn: «Le estreme punte dell'armata rimangono nelle loro attuali posizioni. Poi, tenere Trento fino all'ultimo». Hai capito o te lo spiego in Tedesco?
Di conseguenza, Kuhn ordinava ai suoi comandanti: «Nel caso le truppe avanzate fossero costrette a ritirarsi, debbono farlo difendendo strenuamente ogni tratto di terreno metro per metro, ogni cascina, ogni casa. Dopo avere evacuato la prima linea, dove attualmente si trovano le truppe, si deve tenere ad ogni costo la seconda, naturalmente dopo aver difeso gli intervalli di terreno, la terza linea è per ultimo la città stessa; il direttore del genio tenente colonnello Wolter ha il compito di far eseguire immediatamente le necessarie fortificazioni. Ritengo personalmente responsabile ciascuno dei signori ufficiali che la difesa venga compiuta col massimo valore secondo gli ordini di sua altezza imperiale l'Arciduca Alberto”. Intanto, confluivano su Trento rinforzi di truppe austriache. Sarebbe così, secondo te, che “Kuhn dice di essere costretto a sgomberare la città”? È l’esatto opposto: o non sai leggere, o qua c’è un problema di comprendonio. L’università italiana ti deve aver scombinato.
Del resto, la tua difesa delle campagne del 1866 è così fuori dalla storia che va contro persino la reazione dei protagonisti italiani di allora. Furono infuriati i garibaldini, che all’ordine di ritirata (ben lungi dal rassegnato “obbedisco” del loro povero generale) spaccarono le baionette e imprecarono contro i Savoia, furono infuriati i mazziniani, che videro il disastro politico, si infuriò lo stato maggiore e lo stesso re, si infuriò il popolo prima e dopo Lissa manifestando sul porto di Ancona, si infuriarono i giornali e si infuriò il parlamento, che costituì il tribunale politico che condannò Persano e fece deporre Albini e Vacca… Niente paura, 150 anni dopo arrivano le menti eccelse a sostenere “non è vero niente, abbiamo vinto!”.
MORO - Ecco, credo di avere risposto puntualmente riportando fonte certa, scritta e disponibile, indicando i riferimenti per ogni affermazione. Cioè quanto mi aspetto per continuare la discussione. Non basta sostenere una tesi, qualunque essa sia, bisogna documentarla. Altrimenti non è storia, come appunto si diceva. Come la faccenda del veneto "lingua franca della marineria adriatica": chi lo dice? L'affermazione è documentata? Perché le "ragusee dalle vele maestose", Frederic Lane Storia di Venezia Torino Einaudi p. 434, avrebbero dovuto parlare veneto? Scusa, sei mai stato a sud del Po? Pensi davvero che da Comacchio a Otranto usassero il veneto? Non si può dire "parlavano veneto" e basta. Servono le prove e le deve fornire chi fa l'affermazione, l'onere non può essere invertito.
RUBINI: Ok, ti accontento. Ora che ho messo a nudo il tuo vaniloquio, ti spiego anche questo fatto storico. Coloro che hanno provato a spiegare che il Veneto era la "lingua franca della marineria adriatica" hanno detto una grande verità, ma sono cose che, andando oltre il provincialismo italico, non c’è modo di farlo comprendere agli italioti.
La lingua franca mediterranea (sabir) era parlata in tutti i porti del Mediterraneo tra il Medioevo e tutto l’800 e - pur avendo diverse varianti - la più diffusa e persistente era costituita in sostanza dal Veneziano e per una piccola parte dallo Spagnolo, con influenze di altre lingue mediterranee, come arabo, greco, catalano, turco, ecc. Lingua franca deriva dall'arabo e vuol dire 'lingua europea'. Questa lingua ausiliaria serviva a mettere in contatto i mercanti europei con gli arabi e i turchi. Pare che fosse una delle due lingue d corte presso la Sublime Porta, sicché per parlare con il sultano bisognava conoscere o il Turco, o questa specie di Veneziano. La morfologia era semplice e l'ordine delle parole molto libero, aveva pochi tempi verbali. Nel 1830 viene pubblicato a Marsiglia il “Dictionnaire de la langue franque ou Petit mauresque”, manuale scritto in lingua francese in occasione della spedizione francese in Algeria. Carlo Goldoni rappresentò, nell’ “Impresario delle Smirne”, un personaggio che si esprimeva in Lingua Franca. Insomma, a Lissa parlando Veneto si parlava la solita lingua usata da mille anni. Anche senza la nota a piè di pagina…
MORO - Continuerò, quindi, solo se mi verranno opposti argomenti sostenuti da fatti e documenti, intendendo per questi fonti primarie e secondarie, non opuscoletti che non riportano l'origine delle affermazioni. Non mi sembra di chiedere nulla di strano. Un discorso storico, appunto.
Buona giornata a tutti. federico
RUBINI: Buona giornata a te, non preoccuparti, so che non hai capito niente, ma io ho tanta pazienza.
Edoardo
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