1761: L'ARRESTO DI ANGELO QUERINI, L'AVOGADOR DE COMUN
"Nell'agosto del 1761 Angelo Querini, che era Avogador de Comun, cioè titolare di una carica che veniva paragonata volentieri ai Tribuni del popolo dell'antica Roma, perché abilitata ad intromettere cioè a sospendere le sentenze dei Tribunali più importanti, compreso il famoso Consiglio dei Dieci.
Querini era un seguace dell'Illuminismo, era amico di Voltaire, era iscritto segretamente alla Masoneria, e aveva più volte contrastato il temutissimo Tribunal Supremo degli Inquisitori di Stato, fino ad intromettere davanti al Maggior consiglio, una sua sentenza. E gli Inquisitori di Stato lo avevano fatto arrestare.
ritrattodi Avogadori de Comun dell'epoca |
L'argomento di questi ultimi era che il Tribunale supremo aveva come compito principale il controllo del patriziato e la repressione degli eventuali abusi, e infatti, la popolazione che seguiva col fiato sospeso la lunga disputa era tutta Tribunalista.
La conclusione fu l'elezione di una Commissione per la correzione dei Regolamenti dei Consigli e Collegi, il che equivaleva ad affossare ogni effettiva riforma degli istituti contestati. "
tratto da "Lo splendore dei Dogi" di Alvise Zorzi
ps. Querini scontò due anni di prigione e si ritirò a Padova, nella sua villa di Altichiero, tenendo contatti con il mondo illuminista di tutta Europa.
Ottima idea , così si può avere accesso a moltissime più informazioni sul passato della Repubblica marciana
RispondiEliminaAngelo Querini incarnò la crisi del Patriziato Veneto interpretando al peggio il proprio ruolo istituzionale. I suoi contrasti con gli Inquisitori di Stato (da lui spacciati come esigenza di libertà e anticonformismo) si dovevano solo al fatto che quella magistratura difendeva la legalità nella Repubblica, mentre lui sognava la rivoluzione, che alla fine arrivò, anche per merito di quelli che la pensavano come lui.
RispondiEliminaNel 1758 fu eletto all’Avogaria di Comun, che lui gestiva come una podestà tribunizia, e da allora crescono i contrasti con gli Inquisitori, specie quando lo obbligarono a ritirare alcuni suoi ricorsi. Addirittura Querini si accusava l’un contro l’altro Avogadore Alvise Zen, minacciando di incrinare il decoro della Repubblica. Tanto si spacciava eroe della libertà, tanto ingiusti erano i suoi interventi: per compiacere una dama che conviveva a Brescia con il Rettore Cappello, mise al bando una povera sarta del cui lavoro la dama si era lamentata, ma gli Inquisitori la riconobbero innocente e revocarono il bando.
Il sospetto che fosse portatore di idee liberali era accompagnato a quello di aver aderito alla massoneria, idea che sarà confermata dal ritrovamento nel 1785 del suo nome negli elenchi dei cospiratori affiliati alla Loggia massonica di Rio Marin, dove compare il suo nome.
Questi “novatori”, come si chiamavano allora gli Illuministi, fingendo di lottare contro una fantomatica “oligarchia”, prepareranno invece la strada alla Rivoluzione Francese, che concentrerà tutto il potere a pochi autocrati, invisi al popolo.
Fu perciò emanato un ordine di arresto, eseguito nella notte tra il 12 e il 13 agosto 1761 nel casin di S. Moisè, che costituiva l’abituale abitazione di Querini; quindi, fu sollecitamente tradotto al castello di Verona.
L’attivismo dei parenti di Querini in favore del congiunto e il più generale malcontento di vasti settori della nobiltà veneziana si manifestarono nella seduta del Maggior Consiglio del 23 agosto 1761, in cui non si riuscì a eleggere nessun membro del Consiglio dei dieci. Questa protesta preludeva all’elezione di cinque correttori, che avrebbero dovuto proporre al Maggior Consiglio una riforma del Consiglio dei dieci.
Finì con la sconfitta politica di Querini e ciò impedì la sua immediata liberazione, ma il clima relativamente tranquillo della vita pubblica veneziana dopo la fine della Correzione favorì, nell’ottobre del 1763, la sua liberazione da parte di nuovi inquisitori di Stato che consideravano oramai superati i timori dei loro predecessori.
La maggior parte dei suoi ultimi anni, però, Querini li trascorse nella sua villa di Altichiero, presso Padova. La villa, non sontuosa, ma abbellita da un giardino attentamente curato secondo le istruzioni dello stesso Querini (che ebbe altresì modo di compiere ad Altichiero interessanti esperimenti agronomici), conteneva stampe, busti, rappresentazioni allegoriche, che esprimevano sia l’amore del patrizio per l’arte antica, sia una complessa simbologia illuministica e massonica.