Piazza Giorgione, la piazza del mercato dal 1400

Castelfranco Veneto e la statua in memoria del suo cittadino più famoso
Era una mattina di primavera del 1950 e la piazza del mercato di Castelfranco (ora piazza Giorgione) era innondata di sole che illuminava in maniera surreale le merci esposte sui banchi degli ambulanti. Anche la statua eretta in memoria del suo cittadino più illustre aveva un altro colore, era meno grigia e non sembrava di pietra.
Veci ricordi de Casteo
Vista dal Pavejon del mercato del martedì, quello del bestiame, fine 1800
Quello che mi colpì era il bianco dei mantelli dei buoi, in netto contrasto con il monocolore (tra il nero ed il marron scuro) degli abiti dei loro proprietari, il loro muggire sordo e l'odore forte dei loro escrementi. Era la prima volta che vedevo così tanti animali, nemmeno più avanti negli anni quando andavo a camminare nelle zona delle malghe di Casera Razzo, tra il Cadore ed il Friuli. Dove i bracconieri friulani e cadorini si appostavano nei loro capanni rudimentali tra il tardo inverno e l'inizio di primavera per sparare ai caprioli e ai cervi che scendevano per cercare cibo. Le leggende su questi uomini ci raccontano che per fame e per non dividere il bottino si sparavano tra di loro in attesa delle prede.
Giorno di mercato ad inizio del 1900
Tenendomi stretto alla mano di mio padre, ci innoltravamo nel mercato alla scoperta (almeno per me, bambino) di tutto quel ben di Dio suddiviso per articoli. Sul fondo della piazza, alla mia destra uscendo da casa, c'erano i maiali, poi le galline con le anitre e le oche. Dopo di che venivano esposti i buoi, le vacche, le mucche da latte, i vitelli e le sorane. Vicino ai portici, davanti alla cooperativa di consumo, venivano esposte le gabbie con i conigli ed il pollame.

Mi pare che l'esposizione dei cavalli da lavoro fosse vicino al pavejon. Erano animali possenti, grossi e robusti dal mantello lucido e criniere raccolte in trecce. Gli zoccoli mi sembravano enormi, sproporzionati.

Gli animali provenivano dalle zone limitrofe del padovano (S.Martino di Lupari, Tombolo, Galliera, Cittadella) dove per tradizione secolare dalla notte dei tempi gli allevatori di bovini ed equini erano apprezzati in tutto il nordest fino in Austria ed Ungheria.

Mio padre mi raccontava del complesso rituale che usavano gli allevatori la sera prima di portare le bestie al mercato per essere vendute. Le corna erano lucidate con l'olio di vaselina e con la fiamma di una candela si bruciavano i peli superflui. Il mantello (la pelle) veniva pulito con acqua e sapone, strofinato con paglia e stracci per renderlo lucido. In piazza entravano in azione i sanséri (i mediatori) che dicevano in continuazione, come una cantilena, “Conpra su la fiducia, l’é bona, l’é sana, l’é cristiana. Ghe manca sol la parola ...”.

La sua ampiezza, per essere la piazza di una città di origine medioevale e non ubicata all'interno delle mura, era considerata una cosa rara, anzi ne aumentava il prestigio e
l'aspetto conomico che ne ricavavano le comunità locali.
Veduta aerea della cittadina trevigiana fondata tra il 1195 ed il 1199 quando il Comune di Treviso sentì la necessità di presidiare il confine con le rivali Padova e Vicenza. Il luogo prescelto era in una posizione strategica dove confluiscono le vie Postumia e Aurelia: un terrapieno preesistente sulla sponda orientale del fiume Muson, le cui acque dei due immissari, l'Avenale ed il Musonello, vennero deviate nel fossato attorno alle mura.  Il toponimo Castelfrancho significa: castello, per l'appunto, "libero" dalle imposte e la maggioranza della popolazione castellana non era formata da soldati ma da liberi cittadini.
Assieme al corso della bastia nuova, la piazza è il cuore della città. Ad ovest la villa Andretta costituisce il fondale della piazza dove in epoche recenti si teneva il mercato dei maiali. Frutta e verdura erano collocate lungo la bastia nuova fino al “Ponte della salata”. Sulla piazza si affacciavano le case dominicali dei Gradenigo, dei Piacentini, dei Barisani.
Il lato opposto era ed è ancora delimitato dal corso d'acqua del Musonello, dai giardini pubblici e dalle mura del castello. 

Il palazzo Piacentini divenne presto “l’Hosteria della Spada”, celebre per esser frequentata da forestieri e da mercanti. La sua facciata come quelle di altre abitazioni, nel XVI° sec.,venne affrescata secondo la moda dell'epoca. Purtroppo oggi è rimasto ben poco da vedere.
Mura con uno dei tre ponti d'ingresso in città
In primo pianoTorre civica con orologio e leone marciano in posizione di pace, sullo sfondo il Duomo in stile neoclassico costruito nel 1723 dove, nella cappella a sinistra del presbiterio, è visibile la celebre Pala di Castelfranco dipinta nel 1503-1504 dal Giorgione.
La Repubblica Veneta era attenta che il mercato funzionasse come fattore di crescita economica dell'area e che si svolgesse regolarmente due volte alla settimana. Nel 1420 fu eretto un porticato per la protezione delle biade e dei grani, detto il “Pavejon”. Durante i periodi in cui i raccolti scarseggiavano, funzionava come banco calmierante e di distribuzione delle granaglie ai poveri.
El Pavejon, edificato dalla Serenessima nel 1420
Una serie di iscrizioni lapidarie testimonia l’importanza dell’edificio “ad publicum semper usum”. Oggi grazie ai lavori di recupero e di restauro mantiene ancora il suo carattere essenziale e tipico del "deposito di granaglie" nella marca trevigiana del Rinascimento.

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