MUORE CARLO ZENO, ma chi era costui che ebbe solenni esequie pari a quelle riservate ad un Doge


Pure a Venezia la giustizia poteva talvolta sbagliare ma la sua inflessibilità era proverbiale anche nei confronti di chi era Doge o era stato un eroe della patria. Gli errori giudiziari erano possibili, tanto era lo zelo e la ferrea rigidità nel difendere i diritti della comunità o nel combattere truffe ai danni dello Stato.
Dopo essere stato osannato quale salvatore della patria in occasione della “guerra di Chioggia”, il comandante Carlo Zen, prima di ritirarsi a vita privata e morire quasi novantenne, subisce anche un processo per tradimento, in realtà viene condannato per evasione fiscale e pressoché dimenticato dalla maggioranza dei veneziani. 

Una città in lutto per onorare la morte di un suo eroe, il salvatore di Chioggia, pur avendolo condannato per evasione fiscale.
“Il Senato ne comandò solennissime esequie, e con pompa pari a quella con che si onoravano i funerali del doge. Fu tolta quindi la salma dal suo palagio, intervenendovi il principe Tommaso Mocenigo, la Signoria, il vescovo castellano Marco Lando, ed i principali magistrati e cittadini; e recatala nella chiesa della Celestia, da Leonardo Giustiniano, celebratissimo oratore di quei tempi, gli fu recitata orazione di lode … ”

I veneziani, guidati da Carlo Zen o Zeno, conquistano Chioggia nella guerra contro Genova


L'8 maggio del 1418 durante il dogato di Tommaso Mocenigo, moriva a Venezia il comandante Carlo Zen, talvolta italianizzato in Zeno. 
Era la morte di un mito. 
Ciònonostante l’eroe della guerra di Chioggia, colui che più di qualunque altro aveva speso la sua vita al servizio della Repubblica, moriva solo, quasi novantenne e pressoché dimenticato dalla stessa sua città. 
Eppure lo Zen aveva più di un motivo per essere invece degnamente ricordato pur avendo trascorso una vita altalenante tra geste eroiche ed atti che sapevano di tradimento.




Nasce a Venezia nel 1333 (o 1334?), in gioventù si dedicò più alle donne ed alla bella vita che allo studio, quando finì la rendita avuta per essere avviato alla vita ecclesiastica, si arruolò in una banda di mercenari per tornare a Venezia solo dopo cinque anni.  Durante la sua permanenza in Oriente era riuscito ad assicurare a Venezia la preziosa isola di Tenedo dalle pretese genovesi [in turco Bozcaada o Bozca ada, in greco Τénedos;  isola turca del Mar Egeo a poco a sud dell'ingresso dello stretto dei Dardanelli e a circa 6 chilometri dalla costa anatolica]; lo Zen dopo il tentativo di liberare l’anziano imperatore bizantino Giovanni Paleologo, filo-veneziano tenuto prigioniero dal figlio usurpatore filo-genovese,  aveva tenacemente ed ossessivamente dato la caccia alle navi genovesi in Levante inseguendole fino nel golfo di Genova alle porte di casa; inoltre il suo intervento si rivelò determinante nella guerra di Chioggia (1378-1381), dove i veneziani mai videro così vicina la fine proprio per mano dell’odiatissima rivale, Genova. 
Era il 1380, Zen all’apice del successo e della notorietà venne acclamato salvatore della patria accanto al suo doge.

Sempre nello stesso anno Zen venne nominato Grande Ammiraglio della marina veneziana, alla morte del grande ammigliario Vittor Pisani, nomina che venne prontamente onorata con la ripresa della lotta contro Genova.

Ritorno vittorioso da Chioggia del doge Andrea Contarini, dopo la disfatta dei Genovesi, Paolo Veronese, Sala del Maggior Consiglio

Alle continue vittorie seguivano puntuali nuovi titoli, nuovi riconoscimenti: ammiraglio, advocator de comun, Procuratore di S.Marco e ambasciatore.
Già, perchè accanto alle doti militari non mancavano allo Zen anche le qualità diplomatiche. In queste veste trattò, per conto del senato veneziano la resa di Padova e del suo signore Novello da Carrara.
Purtroppo questo evento si rivelò fatale anche per lo stesso Zen, per la sua persona innanzitutto e per la sua memoria che conobbero l’onta del sospetto di tradimento.
Questi sarebbero i fatti e le circostanze per cui iniziarono le tribolazioni giudiziarie.. 
Dopo aver catturato Novello e suo figlio Francesco, i due vennero tradotti in catene nelle prigioni veneziane dove, dopo lunghissime inconcludenti discussioni in Senato sul da farsi durate ben due mesi, vennero fatti strangolare nelle loro celle.
Solo allora il Senato, per trovare prove che incriminassero in via definitiva i da Carrara, iniziò a setacciare l’archivio, i documenti e le carte nella residenza dei da Carrara, dove venne scoperto un documento che comprometteva due nobili veneziani e lo stesso Carlo Zen. Si trattava di una ricevuta attestante un versamento del da Carrara al comandante veneziano di 400 ducati d’oro. In breve la scoperta divenne di dominio pubblico creando sconcerto ed incredulità. 

Come era possibile che l’infaticabile comandante che da sempre aveva dimostrato la sua più totale ed incondizionata devozione alla sua Repubblica, fosse caduto nella trappola della corruzione nemica e per soli 400 ducati?

Novello da Carrara e suo figlio Francesco davanti al doge a chiedere la grazia

Molto probabilmente non si trattò di tradimento dietro compenso. Data la gravità della faccenda, la questione finì davanti al Consiglio dei Dieci, dove lo Zen era stato chiamato a difendersi. Nonostante i suoi trascorsi e i meriti conquistati sul campo, il comandante venne trattato come un qualunque malfattore ed iscritto agli atti del Consiglio che alla fine decise di condannarlo a un anno di carcere oltre che all’interdizione dai pubblici uffici.
Esiste un'ipotesi meno complottistica e più banale. Quel denaro potrebbe essere stata una semplice restituzione di un prestito che lo Zen aveva fatto in precedenza al da Carrara. La ricevuta documenta alcun dubbio che lo Zen abbia veramente incassati quei denari.
Il Consiglio lo obbligò a restituire i 400 ducati all’Erario non avendoli denunciati a suo tempo.
Restava tuttavia inspiegabile la leggerezza con la quale lo Zen aveva intrattenuto rapporti finanziari con il da Carrara, una leggerezza che andava comunque punita a prescindere dalla eccezionalità del personaggio! 
La ferrea macchina giudiziaria della repubblica non ammetteva eccezioni di alcuna sorta! 
Poco contavano i meriti, i servizi resi nell’arco di un’intera vita al governo veneziano. Lo Zen aveva peccato d’imprudenza (ma soprattutto di evasione fiscale!), doveva necessariamente pagare. 
La sua condanna, tanto più esemplare dato il calibro del personaggio, doveva essere la prova della solidità e dell’imparzialità del sistema su cui reggeva la stessa repubblica e dalla cui solidità dipendeva la sua stessa sopravvivenza.
Riacquistata finalmente la libertà dopo un anno di prigione, lo Zen salpò immediatamente alla volta della Terrasanta, ma questa volta non in veste di soldato, ma di semplice pellegrino.

Per Venezia Carlo Zen non impugnerà mai più le armi.
Era il 1410 quando, su committenza del re di Cipro e non per ordine della Serenissia , scese in mare con le sue navi per sconfiggere quelle nemiche dei genovesi .  
In laguna vi ritornò solo per ritirarsi nella pace della propria casa e della propria famiglia (lo Zen era al suo terzo matrimonio). Dopo una vita trascorsa all'emblema delle armi, Zen si dedicò alla sua segreta passione, gli studi letterari, frequentando i circoli più importanti di Venezia fino al giorno della sua morte, l'8 maggio 1418.
Solo allora Venezia sembrò ricordarsi del suo valoroso comandante al quale vennero riservati solenni funerali di Stato alla presenza del doge. 

Il nipote che curò la sua biografia, racconta che “sul suo corpo veduto ignudo si scoprì rivestendolo una quantità di cicatrici per le quali si era fattamente deformato che appena una parte si poteva dire libera dalle ferite e ne furono numerate 35 delle quali molte apparivano essere state grandi e mortali”.
Celebrazione dei funerali di Carlo Zen

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