GLI ARMENI IN ITALIA E A VENEZIA
Dall'editoria
di pregio al piròn,
dall’armeìn
all'àmoło,
alcuni dei "tesori" che portarono dall’antica Cilicia nel
nostro Paese.
Conoscevo
molto poco della storia del popolo armeno ma grazie al contributo di
una pubblicazione dell'Unione Armeni d'Italia, cerco di approfondire
l'argomento e quanto hanno reso più ricco, e non solo culturalmente,
il paese che da quasi duemila anni continua ad ospitarli.
Il
25 aprile scorso si è celebrato l'anniversario del 101°
Genocidio di 1 milione e 500 mila armeni
cristiani da parte dei "Giovani
ufficiali turchi"
musulmani nel 1915. Praticamente è trascorso quasi un mese da quella
data e ne parlo nel blog solo ora per due motivi: primo, un evento di
quella portata va sempre ricordato, anche se non viene fatto alla data precisa; secondo, erano dei cristiani uccisi per mano
turco-mussulmana, nazione che ha sempre negato l'olocausto.
Inoltre
spero di non sollevare nuove polemiche dopo quelle nate dalle
modifiche che la Rai aveva apportato alla programmazione prevista per
commemorare il genocidio. In realtà, tra una soppressione ed un
riproporre, l'ha fatto passare in secondo piano senza dare quel
doveroso risalto che meritava.
San Lazaro de i Armèni, l'isola simbolo della presenza degli Armeni a Venezia |
Colonna di armeni deportati |
Si è soliti pensare che la presenza armena in Italia sia la conseguenza della drammatica fuga dalla
Turchia
ottomana durante la Prima Guerra Mondiale, quando i Giovani Turchi al
potere iniziarono
lo
sterminio sistematico del popolo armeno facendo oltre un milione e
mezzo di vittime e costringendo i pochi sopravvissuti ad abbandonare
in fretta l’Anatolia per dirigersi in Europa e negli Stati Uniti.
Treno preso d'assalto da armeni che cercano di scappare in Europa, stazione sconosciuta |
Territori occupati dagli armeni sotto l'Impero Ottomano |
Secondo
una tradizione armena impastata di leggenda, i cavalli di San Marco
avrebbero fatto parte dei doni portati a Nerone da Tiridate.
Secondo
molti storici gli Armeni arrivarono in Italia nel primo secolo dopo
Cristo portandosi dietro tra l'altro le piante da frutto come il
ciliegio, il susino e l’albicocco, molto diffuso anche oggi in
Armenia dove se ne coltivano 50 varietà, non a caso i veneziani
della Serenissima li chiamavano armeini.
Furono proprio i romani a scoprire l'albicocca e ad apprezzarla,
battezzandola “mela armena”, ovvero Prunus armeniaca.
Con
l’Impero Bizantino, la presenza armena si consolida, al punto da
portare ben due armeni al
rango
di Esarca ai tempi di Ravenna capitale, dove un intero quartiere fu
ribattezzato “Armenia”.
Nel
1500 Venezia era la capitale europea della stampa e dell’editoria
da diventare una vera fucina di cultura armena, oltre che il motore
dell' integrazione ma pure di fiorenti guadagni con il commercio di
libri in lingua stampati in laguna e portati, via Smirne, in tutto il
Medio Oriente e nel Caucaso.
Il
primo libro in lingua armena vide la luce proprio nel 1512, il
capostipite degli oltre 250
volumi
preziosi che le diciannove stamperie presenti a Venezia sfornarono
tra il Cinquecento e l’Ottocento.
L'isola
di San Lazzaro, San
Lazaro de i Armèni, (si trova in laguna di fronte l'isola del Lido ma
lontano da Rialto) era fin dal XII° sec. impiegata come lebbrosario
per lo stazionamento in quarantena dei malati.
Padiglione del museo ove sono raccolte le macchine e le attrezzature da stampa del periodo in cui iniziò la produzione libraria la tipografia fondata da padre Mechitar |
Nell'agosto
1716, padre Mechitar, monaco cristiano armeno che faceva parte della
comunità fuggita da Modone quattro anni prima a seguito dell'invasione turca e presente
a Venezia dove aveva fondato la congregazione mechitarista, andò a visitare l'isola di San Lazzaro che era stata
abbandonata nel XVI° secolo, il 26 agosto 1717 l'ebbe in dono dalla
Serenissima. L'8 settembre dello stesso anno, Mechitar e i suoi
monaci presero possesso dell'isola, dove presto cominciarono a
restaurarne la chiesa. L'obiettivo di Mechitar, oltre che restaurare
i vecchi edifici, era anche quello di costruirne di nuovi e
recuperare i terreni circostanti per trasformarli in un accurato
giardino. Solo nel 1740 riuscirono a terminare i lavori e i monaci
poterono darsi allo studio ed educare i nuovi discepoli. L'isola si
trasformò in un centro di cultura e scienza, destinato a mantenere
in vita la lingua, la letteratura, le tradizioni e i costumi del
popolo armeno.
khatchkar originario del XIII °secolo. |
L'isola,
dopo gli ampliamenti avvenuti a metà del '900, occupa una superfice
totale di 30.000 m2
.
Oggi
è definita l'Armenia in miniatura. Inoltre è visibile un autentico
khatchkar
(croce di pietra) del XIII °secolo.
Nel
giardino del convento si coltivano molti rosai, utilizzati per
produrre la vartanush, la tradizionale marmellata ricavata dai petali di rosa canina
Con
la costruzione della stamperia nell’Isola di San Lazzaro
inizia la produzione dedicata esclusivamente ai testi in lingua
armena dove stamparono libri in 38 lingue e 10 alfabeti.
Sul
finire dell’Ottocento, Il Corriere della Sera li descriveva come
mercanti, importatori di stoffe, di stoviglie, di tappeti, di spezie
e materie coloranti, ed esportatori di cereali e granaglie. Si
facevano apprezzare nel commercio per la loro laboriosità, la loro
abilità manuale, per la conoscenza delle lingue e soprattutto per la capacità di integrarsi nel paese ospitante.
Ma
è ancora una volta l’editoria a testimoniare a Venezia le sinergie
tra il popolo armeno e l’Italia, attraverso la pubblicazione nel
1850 della prima traduzione in italiano di una Storia Armena. Ci mise
le mani anche Niccolò Tommaseo che ne curò l’ultima stesura.
L’ultimo
esodo dalle terre di origine è legato al genocidio armeno (detto
anche olocausto degli armeni o massacro degli armeni) avvenuto sotto
l’Impero Ottomano, tra il 1915 e il 1916, che ha portato in Italia
i figli della diaspora che, nel solco della tradizione, hanno
confermato di sapersi integrare nel tessuto economico, sociale e
culturale. Oggi in molte Università italiane si insegna lingua e
letteratura armena a testimonianza della vitalità di questo Paese la
cui storia non è possibile scindere da quella italiana.
SPIGOLATURE
Molti
degli imperatori bizantini furono armeni (almeno 20 dal VI° al XI°
secolo), tra cui Basilio I° (867-886) che diffuse la tipologia delle
chiese cristiane a pianta quadrata sormontata da 5 cupole a cui si
rifà la stessa Basilica di San Marco.
Gran
parte dei generali bizzantini furono armeni, a cominciare da Narsete,
che sul finire del I° secolo contribuì alla costruzione delle chiese
di S. Teodoro e di S. Geminiano che costituirono i presupposti per la
creazione di Piazza S. Marco.
Molto
probabilmente tra i padri fondatori di Venezia ci furono anche degli
armeni, senz'altro provenivano da Ravenna dove risiedevano a migliaia
come soldati, amministratori o mercanti bizzantini.
L'armeno
Isaccio, esarca di Ravenna, fece erigere a Torcello la basilica di
Santa Maria Assunta, significativo esempio dello stile
veneto-bizantino.
Secondo
una leggenda, quando i veneti si rifugiarono nelle isole della laguna
trovarono su un isolotto ritenuto deserto un armeno di nome Grigor,
che stava pescando davanti alla capanna di legno, lì viveva con
moglie e figlia; lui salutò i nuovi venuti con un'espressione
augurale squisitamente armena: "che crescano le rose ove voi
passate" e poi tirò fuori da un sacco pepe, cannella, babbucce
e perle che dispose per terra per venderle ai veneziani.
Il
patriziato e la media
borghesia veneziana copiò l'abitudine armena di arredare le proprie
abitazioni con antichi tappeti orientali che non erano tappeti
persiani ma armeni. Loro erano maestri nel tesserli fin dalla più
remota antichità; tradizione che rimase viva in laguna fino nel dopo
guerra con le attività del commercio o del restauro e manutenzione.
L'uso
del tappeto come strumento di preghiera nella cultura armena anticipa
infatti quella dei musulmani; alcuni studiosi teorizzano che l'uso e
l'espressionismo islamico delle popolazioni arabe per l’arte del
tappeto derivi proprio dalle popolazioni cristiane armene. La
singolarità è che gli armeni tessevano a mano su telai i loro
tappeti sin dal 301, inizio dell’adozione del cristianesimo in
Armenia, utilizzando la tecnica dell'annodatura che consentiva di
ottenere un vello che nascondeva la struttura portante (trama e
ordito). Tecnica imitata poi in tutti gli altri paesi del
medio-oriente in cui si sviluppò la produzione di tappeti. I simboli
come la svastica, la ruota, il cosmogramma, il simorgh o il gul, che
con la religione musulmana non centrano assolutamente nulla, sono
presenti solo nella tradizionde armena e turca.
Nell’Enziklopadie
des Orientteppichs c'è
una citazione in cui si afferma che nell’813 il khan bulgaro Krum
nelle sue scorrerie in Oriente aveva fatto bottino di tappeti armeni
di lana annodati. La stessa fonte cita anche lo storico Bayhaki, il
quale riferisce che Mahmoud di Ghazna nel 1025 aveva fatto omaggio al
nobile Kadir khan, governatore del Turkestan orientale, di pregiati
tappeti armeni.
Nella
zona attorno al Campo San Zulian risiedevano numerose attività
armene. Nel commercio spaziavano dai tessuti alle spezie, dalle
pietre preziose alle pelli. Nel settore artigianale emergevano nella
lavorazione delle pelli e soprattutto in quella dei tappeti.
Sopra e sotto due immagini del Campo S.Zulian nei pressi di S.Marco |
Il
nome di Eraclea
che un tempo si chiamava prima Melidissa e poi Grisolera, viene
dall'imperatore armeno di Bisanzio Eraclio, uno dei più grandi
imperatori dell'impero d'oriente, con cui i veneti di Venezia ebbero
più che ottimi rapporti.
Fino
al 4 novembre 1950 si chiamò Grisolera, perchè si producevano le
grisioe
(le arelle utilizzate in edilizia per fare le cantinee
[muri divisori realizzati con assi di legno e grisioe]
e su cui stendere l'intonaco ) poi, su iniziativa dell'allora
Sindaco, del segretario comunale e a seguito di una delibera
comunale, il nome venne modificato con quello dell'antica città
veneto-bizantina, Eraclea appunto, i cui resti si trovano al confine
del territorio comunale in direzione di San Donà di Piave nei pressi
della località di Cittanova.
El
piron
(la forchetta) venne introdotto nelle abitudini culinarie veneziane
prima e italiche dopo, dalla nipote dell'imperatore armeno Basilio
II°, principessa Maria Argiros, che andò in sposa a Giovanni
Orsoleo figlio del Doge Pietro (nel 1003), infatti fu proprio lei a
usare questo arnese d'oro a due punte e che poi tutti imitarono.
Le
cronache poi ci raccontano che nel 1077, il doge Domenico Selvo,
sposò Teodora, sorella d'Alessio, imperatore d'Oriente (di Bisanzio
e di origini armene) e anche lei faceva uso del piron
contribuendo come dogaressa alla diffusione di questo nuovo costume.
Il
platano era l'albero sacro degłi
armeni. Il platano, il ciliegio, il susino (l'àmoło)
e l'albicocco (l'ermełin)
sono alberi originari dell'Armenia.
L'albero
più vecchio del Veneto, attestato in scritti da almeno 700 anni e secondo la tradizione dovrebbe averne più di 1000
(data da verificare con un esame dendrocronologico), è un platano che si trova nel paese di Platano in provincia di Verona.
A
Treviso, una delle porte che sorgono lungo le antiche mura medievali
è chiamata Porta Santi Quaranta, ma ben pochi trevigiani sanno che
si vuol ricordare i Quaranta Martiri di Sebaste.
Erano quaranta soldati provenienti da diversi luoghi della Cappadocia, ma
tutti appartenenti alla XII Legione “fulminata”
(veloce) di stanza a Melitene nel 320 d. C., caduti vittime della
persecuzione anticristiana messa in atto da Licino Valerio. Arrestati
perché cristiani, fu loro posta l’alternativa di abiurare la
propria fede o subire la morte per assideramento, essendo esposti
nudi sopra uno stagno gelato. Il martirio ebbe luogo il 9 marzo a
Sebaste (odierna Sivas in Turchia) e in tale data in Armenia viene celebrata la loro festa.
Inoltre, in base ad alcuni
ritrovamenti archeologici è stato dimostrato che attiguo alla Porta
Santi Quaranta sorgeva un monastero.
Nell'agosto del 1929 un armeno residente ad Asolo, l’ingegnere Ohannes
Gurekian, scala per primo la vetta di una cima dolomitica tra la
Forcella del Pizzon e il Monte Agner, a cui viene dato il nome di
“Torre Armena.” Nei pressi, a quota 1730 msl, venne eretto il
Rifugio Scarpa-Gurekian, grazie al sodalizio nato
tra Ohannes Gurekian, presidente del C.A.I. di Agordo
dal 1933 al 1946, e il pittore-alpinista veneziano Enrico Scarpa,
con cui condivise l’amore per la montagna.Porta Santi Quaranta a Treviso |
Rifugio Scarpa-Gurekian (1735 msl) |
In
parte avvenne per scelta degli stessi armeni che cercavano di
“mimetizzarsi” anagraficamente nel periodo in cui per decreto
del Senato veneziano i foresti non potevano acquistare un immobile nella
città lagunare. Altre motivazioni, le più drammatiche, sono state
quelle dei sopravvissuti al genocidio che, una volta arrivati in Italia, intravedevano potenziali rischi per sé e per i famigliari, quindi decidevano
di modificare il proprio cognome traducendolo o accorciandolo
togliendo l’inequivocabile suffisso –ian. All'iniziale paura, quando il
nazifascismo mise in atto la campagna antiebraica, gli armeni capirono solo in un secondo
momento che, in quanto cristiani, non sarebbero
stati toccati.
Alcuni
esempi della trasformazione dei cognomi armeni:
Atamian
– Atami/Adami;
Arslanian
– Arslan;
Duzian
– Duse;
Kanzian/Chandjian
– Canzian;
Oskanian
– Onorato;
Noradunkian
– Casanova (traduzione letterale in italiano);
Mikayelian
– Michieli;
Mardirossian/Martirossian
– Martilengo.
Duzian
ci fa dedurre che la celebre attrice Eleonora Duse avesse origini
armene, mentre Arslanian attesta come il ramo padovano della celebre
famiglia, a cui appartiene la scrittrice Antonia Arslan, abbia subìto
l'accorciamento per espressa volontà del celebre nonno di lei
Yervant, proprio a seguito della drammatica perdita del ramo degli
Arslanian rimasto in Anatolia.
Ultima
precisazione: il suffisso –ian sta per “figlio di”,
ad esempio Vartanian (figlio di Vartan), Hovannessian (figlio di
Hovannes), e così via; similmente come nei paesi scandinavi come in
quelli di lingua anglosassone incontriamo cognomi quali Erikson
(figlio di Eric mai reale), Janson (figlio di Giovanni), Robertson
(ovvero figlio di Robert), Johnson, etc.
Per rispetto ai lettori e per lasciar la libertà di scegliere cosa vedere, non ho pubblicato le immagini (molto dure) dei crimini commessi dai turchi; per chi fosse interessato, suggerisco:
https://www.google.com/search?client=firefox-b&biw=1245&bih=579&tbm=isch&sa=1&ei=NDYVW4KrB4WosgHjvJfwCQ&q=immagini+genocidio+armeni&oq=genocidio+armeni&gs_l=img.1.3.0j0i30k1l2j0i5i30k1j0i8i30k1l2j0i30k1l4.4056.8636.0.15769.16.3.0.0.0.0.2100.3739.8-1j1.2.0....0...1c.1.64.img..14.2.3731...0i67k1.0.fH9CkMwAe-w
Per rispetto ai lettori e per lasciar la libertà di scegliere cosa vedere, non ho pubblicato le immagini (molto dure) dei crimini commessi dai turchi; per chi fosse interessato, suggerisco:
https://www.google.com/search?client=firefox-b&biw=1245&bih=579&tbm=isch&sa=1&ei=NDYVW4KrB4WosgHjvJfwCQ&q=immagini+genocidio+armeni&oq=genocidio+armeni&gs_l=img.1.3.0j0i30k1l2j0i5i30k1j0i8i30k1l2j0i30k1l4.4056.8636.0.15769.16.3.0.0.0.0.2100.3739.8-1j1.2.0....0...1c.1.64.img..14.2.3731...0i67k1.0.fH9CkMwAe-w
Giro turistico non tradizionale in laguna con partenza dal Cavallino-Treporti ed arrivo all'isola degli Armeni |
provo grande stima per il popolo armeno, l'articolo è interessante
RispondiEliminaMolto interessante, grazie per un approfondimento delle informazioni, che sono sempre utili per conoscere la storia europea.
RispondiEliminaVorrei sapere se il mio cognome può avere origini armene
RispondiEliminaVorrei sapere se il mio cognome può avere origini armene
RispondiEliminaVorrei sapere se il mio cognome può avere origini armene grazie
RispondiEliminaVisitato il 9 aprile 2022. Molto interessante, non avevo la minima idea della storia armena e come si è incrociata con Venezia. Spero di ritornarci
RispondiElimina