QUEL DIO CHE ABBIAMO UCCISO E LA CRISI DELL'OCCIDENTE
Di Umberto Galimberti
L'abbandono del cristianesimo a causa della nascita delle nuove correnti di pensiero nella società moderna ha provocato in realtà una crisi profonda nell'Occidente, ben descritta in questo articolo dal filosofo Galimberti (insegna a Venezia ed è pubblicista molto apprezzato). Queste ultime, incapaci di dare un senso al mondo ed al suo futuro destino, una volta entrate in crisi, han lasciato il nulla e trascinato la società in una crisi di valori inarrestabile:
LE RADICI CRISTIANE DELL’OCCIDENTE
Di Umberto Galimberti
Scrive Nietzche: “Dio è morto. Noi lo abbiamo ucciso. Questo evento misterioso è tuttora in corso e non è ancora giunto alle orecchie degli uomini”.
Io penso che tra la cultura greca e la cultura cristiana non c’è alcuna parentela, perché i greci, a differenza dei cristiani, concepirono la natura come quello sfondo immutabile “che nessun dio e nessun uomo fece”. (Eraclito), regolata dalla legge della necessità, che prevede la morte nelle sue determinazioni (piante, animali, uomini) come condizione della sua vita. Platone dice che che l’uomo è giusto se si “aggiusta” all’universa armonia e quindi accoglie la sua condizione di “mortale” con cui i greci erano soliti chiamare l’uomo, il quale non può pretendere di prolungare la sua vita oltre misura (kàt metron) sancita dalla legge naturale.
Il cristianesimo invece concepisce la natura come l’effetto di un atto di volontà. Quella di Dio che l’ha creata e quella dell’uomo a ci è stata consegnata perché ne eserciti il dominio (Genesi: 1.26). Ma soprattutto il cristianesimo ha superato lo sfondo tragico della cultura greca, promettendo all’uomo il superamento della morte “O morte dov’è il tuo pungiglione?”, scrive Paolo di Tarso nella prima lettera ai Corinti (15, 51-58).
Questa promessa, che Nietzche definisce “il colpo di genio del cristianesimo” ha impresso all’Occidente, che è la civiltà nata dal Cristianesimo, una carica di ottimismo e una sprint propulsivao che non si sono estinti neppure quando la fede in Dio si è affievolita a partire dal Seicento: con la nascita della scienza e poi dell’Illuminismo, e poi del marxismo, e poi della psicoanalisi, che altro no sono che forme secolarizzate del cristianesimo.
La visione cristiana del mondo prevede infatti che il passato sia male (peccato originale), il presente redenzione e il futuro salvezza. Allo stesso modo la scienza concepisce il passato come male (ignoranza), il presente come ricerca, il futuro come progresso. Ma anche il marxismo ritiene che il passato sia male (ingiustizia), il presente riscatto (rivoluzione), il futuro il paradiso in terra. Anche la psicoanalisi pensa al passato come malattia, il presente come cura, e il futuro come guarigione. La visione del mondo cristiana ha pervaso con il suo ottimismo tutte le espressioni culturali dell’Occidente, che dunque è cristiano non solo nelle sue radici, ma anche nell’albero, nei rami, nelle foglie.
Ma, come ci ha avvertito Nietzsche, oggi “Dio è morto”, nel senso che un tempo c’era e creava mondi (si pensi nel Medioevo dove la letteratura era inferno,purgatorio e paradiso, l’arte era arte sacra e persino la donna era donna-angelo), e ora non c’è più perché il mondo accade come se Dio non fosse. Se tolgo infatti la parola “Dio” continuo a capire le dinamiche del mondo contemporaneo, che mi risulterebbero incomprensibili se togliessi ad esempio la parola “denaro” o la parola “tecnica”.
Con la morte di Dio è finito in Occidente l’ottimismo cristiano. La scienza infatti conosce perfettamente i suoi limiti molto più di quanto non lo percepisca la nostra fede nella scienza, il marxismo ha conosciuto il suo tramonto, la psicoanalisi il suo declino.
L’ottimismo, che il cristianesimo aveva profuso nella cultura dell’Occidente si è estinto, e al suo posto è subentrato il nichilismo che Nietzsche definisce così: “Nichilismo, manca lo scopo, manca la risposta al perché, i valori supremi perdono ogni valore”. Infatti, nell’orizzonte dispiegato dalla tecnica, che tende solo al suo auto potenziamento, possiamo parlare solo di “sviluppo”che è una dimensione quantitativa, ma non di “progresso”, che fa riferimento al miglioramento qualitativo della condizione umana, il risultato è che oggi non viviamo più l’ottimismo cristiano e, siccome rifuggiamo la condizione di “mortali”, ben presente agli antichi greci, ci concentriamo su un presente che non guarda al futuro, perché lo intravvede non più come una promessa, ma come una minaccia, da cui distoglie lo sguardo, come sempre accade di fronte a ciò che non si riesce a controllare e soprattutto non riesce più ad accogliere la nostra speranza di riscatto,di salvezza, di progresso, di salute.
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