Donne contro il pensiero dominante
LE TRE FIGLIE DI VENEZIA
Tutte donne che andarono contro il pensiero dominante dell’epoca usando cervello e corpo.
Mi è capitato in mano il libro di Giovanni Scarabello, “Venezia tre figlie della
Repubblica, Bianca Cappello, Veronica Franco ed Arcangela Tarabotti”, il
quale fa il ritratto di tre donne veneziane vissute al tempo della Serenissima
Repubblica.
Tre figure femminili particolari, ciascuna delle
quali è stata una protagonista del suo tempo per aver lasciato un segno nella
vita culturale, politica e sociale della città, in un periodo in cui se nascevi
femmina non avevi scelta tra essere moglie, meretrice o monaca. Invece c’era
chi sceglieva una quarta strada, quella della cultura, laurearsi e tener testa
agli eruditi di mezzo mondo, quello maschile.
Quando oggi le cronache quotidiane sono piene di
femminicidi, di violenze e di abusi, potrà sembrare non attuale portare esempi
di donne (vissute quasi 500 anni fa) che seppero andar contro il mondo maschile che imperava ai loro tempi anche se la Venezia rinascimentale era considerata la città più emancipata d'Europa essendo già una realtà cosmopolita frutto degli scambi culturali e commerciali di cui era al centro.
Modi di fare e di pensare che dopo secoli sono attuali, ancora vivi e possono
essere di esempio per molte donne, ma soprattutto utili agli uomini qualora
volessero iniziare a cambiare il loro punto di vista e la loro cultura nei
confronti dell’altro sesso (quello femminile!).
Bianca Cappello o Capello divenne duchessa di
Toscana, Veronica Franco fu la più famosa cortigiana dell’epoca, Arcangela
Tarabotti, pur essendo monaca fu una femminista ante litteram.
BIANCA CAPELLO o
CAPPELLO
Nobildonna veneziana (1548-1587), granduchessa di Toscana; venne avviata dalla zia,
sorella del Doge Andrea Gritti, all’arte della Cortigiana Onesta, a quindici anni seguì a Firenze il gentiluomo
fiorentino Buonaventuri, che poi
sposò ma che non fu in grado di garantirle quella vita agiata alla quale era abituata. Dopo l’assassinio del marito morto in una colluttazione, dietro
cui molti videro la mano di Francesco de' Medici, ne divenne l'amante
e riuscì, nonostante l'avversione della corte che tra l'altro smascherò una sua
finta gravidanza, a farsi sposare nel 1579 divenuto granduca
cinque anni prima. Quando sembrava che il passato fosse stato sepolto e dimenticato,
nel 1587 Francesco e Bianca si ammalarono e
morirono a distanza di 11 ore l'uno dall'altra dopo aver avuto per una decina di giorni febbri altissime e violenti
sintomi gastrointestinali. Secondo la
leggenda sarebbero stati avvelenati ad opera del cardinale Ferdinando, fratello
di Francesco, che non sopportava la presenza di Bianca a corte.
Dopo quasi 400 anni i paleopatologi dell'Università di Pisa, grazie alle attuali tecniche d'indagine
scientifica, hanno stabilito che le loro
morti furono causate dalla malaria e non dall’arsenico come era sempre stato
affermato.
ARCANGELA TARABOTTI
Elena Cassandra Tarabotti, la cui data di nascita
a Venezia non è certificata da nessun atto ufficiale (forse
il 1602?), di certo si sa che venne battezzata il 24 febbraio 1604 come risulta
dai registri della Parrocchia di San Pietro.
La sua famiglia apparteneva alla categoria dei
mercanti, il padre Stefano era un esperto commerciante nelle cose di mare mentre
la madre Maria Cadéna era una casalinga. Vivevano nel sestriere di Castello, una zona popolare nota per le attività legate al mare dove, girando per
le calli, si incontravano impiraresse
(infilatrici di perle di pasta di vetro) e, per la vicinanza dell’arsenale, marinai,
remeri (costruttori di remi),
calatafati e carpentieri.
Primogenita di almeno sei figli (quattro sorelle e
due fratelli), sarà l’unica della sua famiglia ad essere destinata, contro la
sua volontà, a diventare monaca nel monastero benedettino di Sant'Anna, nel sestriere
di Castello, vicino all’isola di San Pietro. Il Chiostro, non più
adibito ad usi religiosi dal 1807,
divenne prima un collegio e poi un ospedale della
Marina Militare, attualmente è abbandonato in attesa di un restauro finalizzato alla creazione di alloggi popolari mentre la chiesa è sconsacrata.
Elena Cassandra aveva ereditato da suo padre un
difetto fisico che la rendeva zoppa che per l'epoca l’avrebbe resa zitella a
vita, per questo fu costretta dal padre ad entrare in monastero quando aveva
solo 13 anni.
Solo nel 1620 prese i voti dopo un inizio di vita
monacale piuttosto tribolata fatta di fughe ripetute dal monastero a caccia di
amori fugaci e di rifiuti ad indossare l’abito talare, trovò un suo personale
misticismo, senza mai abbandonare la propria autonomia di pensiero.
Con i voti diventerà suor Arcangela, nome con cui firmerà la maggior parte delle sue
opere nelle quali denunciava la drammatica realtà delle “monache forzate” ma
anche la più generale condizione sociale della donna nella sua epoca. Era
la prima donna veneziana che parlava della parità politica, economica e sociale delle donne rispetto agli
uomini.
Non era una veneziana qualsiasi: era una monaca.
Verrà consacrata solo nel 1629 e non uscirà più
dal monastero dove vivrà per più di trent'anni e dove morirà per una bronchite il 28 febbraio del 1652.
Le sue opere, considerate dopo quasi 3 secoli e
mezzo come la prima pietra dell’emancipazione femminile, sono una spietata
analisi-denuncia della condizione delle monache, in particolare, e delle donne
di quel periodo: La Semplicità Ingannata o La Tirannia paterna, L'Inferno
monacale e il Paradiso monacale.
La tirannia paterna
E’ la sua prima opera in cui descrive la durezza della
vita di tante altre donne che come lei erano state costrette a farsi monache. Denuncia
un’abitudine della società veneziana e di quei padri che ingannano le figlie per
farle entrare in monastero. Si scaglia contro la Repubblica di Venezia che consente questa pratica e contro
le autorità ecclesiastiche per
essere troppo superficiali nel verificare
la reale vocazione delle monache se non a volte complici nell’inganno.
La
semplicità ingannata
Edizione postuma
andata alle stampe con lo pseudonimo Galerana Baratotti (anagramma del suo nome) per sottolineare ciò che le aveva
procurato tanto dolore, come alle sue consorelle, cioè l’inganno del
genitore nell’età in cui più ci si fida di lui. La dedica si rivolge
direttamente a Dio in quanto è l’unico a conoscere la verità in
una società di ingannatori che condanna
degli esseri viventi a restare chiusi tra delle mura per sempre, per la salute
del Cristianesimo e per il sollievo delle anime.
Altre opere che contribuirono alla sua fama
internazionale: “L’Inferno monacale”,
“Il Paradiso monacale” e “Antisatira” in risposta al “Lusso
donnesco” di Francesco Buoninsegni e lo scritto “Che le donne siano della specie degli uomini”, in risposta ad un
trattato in cui si affermava che le donne non avessero l’anima.
VERONICA FRANCO
La più nota prostituta di Venezia vissuta nel
XVI° secolo (Venezia, 1546 – Venezia, 1591) che per le sue opere letterarie fu un’antesignana del femminismo e dell’indipendenza
della donna.
“Se siamo
armate e addestrate, siamo in grado di convincere gli uomini che anche noi
abbiamo mani, piedi e un cuore come il loro; e anche se siamo delicate e
tenere, ci sono uomini delicati che possono essere anche forti e uomini volgari
e violenti che sono dei codardi. Le donne non hanno ancora capito che
dovrebbero comportarsi così, in questo modo riuscirebbero a combattere fino
alla morte; e per dimostrare che ciò è vero, sarò la prima ad agire, ergendomi
a modello.”
La sua vita è ben descritta nel libro “The Honest Courtesan” di Margaret F.
Rosenthal, in cui Veronica Franco viene dipinta in modo avvincente nel contesto
culturale, sociale ed economico di quell'epoca. Inoltre l’autrice ne sottolinea
il suo sostegno disinteressato verso le donne indifese e contro le diseguaglianze
grazie alla natura politica e seduttiva delle sue poesie, scritte in versi
usando un linguaggio fortemente erotico.
Veronica Franco, quando analizza i conflitti di
potere tra i due sessi, lo fa con la consapevolezza di rappresentare una
minaccia per gli uomini suoi contemporanei. E’ questo che rende ancora attuali
le sue opere letterarie e le sue relazioni con gli intellettuali veneziani,
facendole passare indenni attraverso le tappe dell’emancipazione femminile.
Nacque in una famiglia appartenente alla classe
dei cittadini
originari (idealmente i
discendenti dei primi abitanti della città e delle lagune).
A 20 anni Veronica Franco, una volta che ebbe imparato
a sfruttare le proprie doti naturali, fu avviata dalla madre alla sua stessa
professione ed inserita nel Catalogo de
tutte le principal et più honorate cortigiane di Venetia, un elenco che
forniva nome, indirizzo e le tariffe delle cortigiane più in vista della città
e sua madre era indicata come pieza,
cioè mezzana. Secondo il catalogo, un bacio di una cortigiana costava 5 o 6
scudi mentre il servizio completo ne costava 50 scudi.
Dagli archivi ancora esistenti, sappiamo che
Veronica si sposò intorno ai 18 anni con il medico Paolo Panizza, dal quale si
separò poco tempo dopo, forse a causa della morte del figlio che ebbe da lui.
Pare che nella sua vita da cortigiana abbia avuto sei figli, tre dei quali
morirono in tenera età.
Nella società rinascimentale di Venezia venivano riconosciuti due diversi tipi di cortigiana: la cortigiana
onesta, ossia la cortigiana intellettuale, e la cortigiana di lume (più
simile alle moderne prostitute), una cortigiana dei ceti bassi, che viveva e
praticava il mestiere vicino al Ponte di Rialto.
[A Rialto esiste
la Fondamenta del Traghetto del Buso,
dove un tempo vi era un servizio di traghetto sul Canal Grande. Secondo la
versione ufficiale, il luogo sotto il Ponte di Rialto era talmente ristretto da
essere definito buso (buco). Invece
nella versione popolare il termine buso,
dal significato molto meno ortodosso, deriverebbe dal fatto che questo
traghetto era utilizzato sia dai frequentatori del Castelletto, (il quartiere a
luci rosse di Venezia), sia dalle prostitute stesse per attraversare il Canale
dopo una nottata di lavoro. Detto pure“traghetto dei Ruffiani”, in quanto
utilizzato dai mezzani per portare i clienti dalle loro protette.]
Veronica Franco fu probabilmente l'esempio più
celebre di cortigiana onesta, anche se, nella Venezia rinascimentale, non fu l'unica donna a vantare una cultura
raffinata in ambito letterario e artistico.
Grazie alle sue amicizie con uomini facoltosi ed
esponenti di spicco dell'epoca, divenne ben presto molto conosciuta, tanto da
avere una breve relazione con Enrico III°,
il re di Francia.
Veronica Franco visse circondata dagli agi per la
maggior parte della sua vita da cortigiana senza poter godere della protezione
accordata alle donne "rispettabili", anzi dovette sempre farsi strada
da sola, studiando e cercando i propri mecenati tra gli uomini colti e ricchi.
A 24 anni entrò a far parte di uno dei circoli
letterari più esclusivi e famosi della città, partecipando a discussioni,
distinguendosi per le donazioni ai meno abbienti e per aver curato antologie di
poesie di giovani poeti.
In quel periodo iniziò a scrivere i due volumi di
poesia (Terze rime, Lettere familiari a diversi), a
riordinare le lettere del ricco scambio epistolare avuto con gli esponenti più
importanti dell’allora mondo culturale europeo e riunì in un'antologia le opere
di scrittori famosi. Dopo il successo e con gli introiti di questi lavori,
fondò un'istituzione caritatevole a favore delle cortigiane e dei loro figli.
Durante l'epidemia di peste che sconvolse Venezia nel 1575, Veronica Franco fu costretta a lasciare la città perdendo gran
parte delle sue ricchezze, a causa dei saccheggi che subirono i suoi
possedimenti in laguna ed in terraferma. Al suo ritorno si difese
brillantemente durante il processo intentato dall'Inquisizione che l’accusava di incantesimi; accuse che caddero pur essendo comuni per
le cortigiane dell'epoca. Senz’altro i suoi legami con la nobiltà veneziana
contribuirono all'assoluzione.
Dopo la peste si sa ben poco della sua vita
all’infuori della proposta fatta nel 1577 al consiglio cittadino di costruire
una casa per donne indigenti, ma rimase senza risposte. Non pubblicò altri
scritti, ebbe un tenore di vita assai modesto, senza però cadere in uno stato
di povertà vera e propria e, quando morì anche il suo ultimo benefattore, si
ritrovò priva di sostegni finanziari.
ALTRE VENEZIANE FAMOSE DEL RINASCIMENTO
Da non confondere con le
cortigiane.
Elena Lucrezia Cornaro (Venezia, 1646 - Padova, 1684), la prima
donna laureata al mondo.
Caterina Giulia Corner italianizzato in Cornaro (Venezia 1454 – Venezia 1510), ex-regina
di Cipro e signora di. Asolo.
Rosalba Carriera (Venezia 1675- Venezia 1757), miniaturista
barocca, musicista e ritrattista molto richiesta dalle casi regnanti dell’epoca.
Isabella Cortese ( ? - 1561) Alchimista e scrittrice. A noi è arrivata la sua opera sulla cosmetologia “I secreti
della signora Isabella Cortese”, in cui 221 ricette sono
dedicate a fare saponi, acqua profumata,
oli essenziali, creme, lozioni e ciprie (più della metà
del libro). Inoltre ci sono 27
capitoli dedicati alla medicina, 75 all'alchimia e oltre
80 ricette per produrre tinture per capelli ed inchiostri.
Cecilia Venier Baffo (Venezia 1525 – Istanbul 1587) Andò
in sposa a Solimano il
Magnifico quando aveva circa 13 anni,
conosciuta con il nome di Nûr Bânû,
fu la favorita del sultano Selim II e madre di Murad III.
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