GIULIO SAVORGNAN, GRAN "FURLAN" AL SERVIZIO DE SAN MARCO


Lo storico Barbero ne traccia un profilo in tono ammirato. Fu veramente un gigante, al servizio di Venezia. Leggete qua qualche paragrafo per farvene un'idea.

Esce oggi 15 marzo, nelle librerie, per i tipi di Gaspari, “Giulio Savorgnan, il gentiluomo del Rinascimento e le fortezze della Serenissima”, di Flavia Valerio e Alberto Vidon (111 pagine, 16,50 euro). Lo storico Alessandro Barbero firma la prefazione.

di ALESSANDRO BARBERO

Mi sono imbattuto per la prima volta in Giulio Savorgnan quando lavoravo al mio libro sulla battaglia di Lepanto. Anche se non era imbarcato sulle galere della Serenissima quel memorabile 7 ottobre del 1571, le sue tracce affioravano dappertutto: lui era stato mandato a difendere la Dalmazia contro i Turchi allo scoppio della guerra, lui aveva progettato le modernissime fortificazioni di Nicosia, lui aveva avvertito Marcantonio Bragadin che Famagosta non poteva essere difesa, suscitando nell’interlocutore sgradevoli presagi. E ogni volta che sentivo la sua voce restavo stupito dalla libertà e dalla mancanza di ipocrisia con cui si esprimeva. 

Governatore a Zara, aveva voluto verificare di persona se la paga del soldato bastava «per tener vivo l’huomo», e aveva scoperto che non bastava, per cui il governo non doveva stupirsi se i volontari erano pochi («Chi sarà quel soldato che voglia venir d’Italia in Dalmazia sapendo di non haver il vivere à bastanza et non haver modo di comprarsi scarpe né altra cosa da coprirsi la vita, nè corda d’archibuggio, nè polvere, nè piombo?»). Approfondendo l’indagine, aveva scoperto che gli ufficiali si facevano pagare il pizzo dai soldati, e si era affrettato ad avvertire Venezia che se non si cambiava sistema, sarebbe andata a finire molto male. Ma il passo che mi colpì di più risaliva a quattro anni prima, quando il Savorgnan lavorava alle fortificazioni di Nicosia; di mala voglia, perché secondo lui la posizione della città non le avrebbe permesso di resistere a lungo, come infatti puntualmente avvenne; e tuttavia con assoluta professionalità, come sempre. L’intera periferia della città venne spianata per lasciare il posto ai bastioni, radendo al suolo case e chiese, spiantando giardini e frutteti. 

Tutta quella distruzione, scrisse il Savorgnan in una lettera personale, era indispensabile («non si pò far de manco per raggion di guerra») e i cittadini l’accettavano con rassegnazione; eppure lo spettacolo era così deprimente da suscitare nell’ingegnere un sorprendente moto di ribellione contro l’arte di cui era maestro. «Et questo mio mestiero è molto furfante et crudele, empio et inhumano, et non è possibile menar la cosa più a longo», confidava il Savorgnan.

A quest’uomo fuor del comune, Flavia Valerio e Alberto Vidon dedicano ora una biografia al tempo stesso appassionata e rigorosa, com’era lui. La lunga vita del Savorgnan, dal 1510 al 1595, coincide con la maturità e l’autunno dell’Italia rinascimentale, e di quella Venezia di cui il nobile friulano era patrizio e fedele servitore.


E il resto del testo della prefazione potete trovarlo al link seguente: messaggeroveneto. il-gran-custode-della-serenissima

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