L'INNO DI MAMELI? UN AUTENTICO PLAGIO, OLTRE CHE BRUTTO
Proprio in questi giorni si torna a parlare con veemenza dell’Inno di Mameli, titolo originale Il Canto degli italiani, altrimenti detto Fratelli d’Italia o inno di Mameli e del 17 marzo 1861, data che avrebbe sancito la nascita dell’Italia unita.
Parlando di unità non si può non parlare di inno e di Goffredo Mameli, cioè dell’uomo a cui la storiografia italica attribuisce il testo. Noi ne abbiamo parlato già nel 2009 e pensiamo sia opportuno riproporre la questione proprio nel momento in cui in certi ambienti italici si manifesta grande l’ipocrisia del pensiero di una Italia come nazione di un solo popolo.
Mameli è nato nel 1827 e morto ventiduenne nel 1849, difendendo la Repubblica romana di Mazzini e Garibaldi, dal 1846. Studiò a Carcare, cittadina dell’entroterra savonese, presso i padri Scolopi. E proprio in quel collegio, in cui fu allievo anche Luigi Einaudi, avrebbe scritto l’inno nazionale, poi musicato a Torino da Michele Novaro, inno del quale ci ricordiamo soltanto in occasione dei campionati di calcio mondiali ed europeie soltanto per le prime strofe.
In effetti nel testo di apoteosi monarchica, molti elementi non quadrano, e ci siamo ricordati come qualcuno in tempi non sospetti abbia sostenuto che non sia stato Mameli l’autore dell’Inno, ma un certo padre Atanasio Canata (1811-1867), intellettuale giobertiano di notevole spessore.
Secondo Aldo Alessandro Mola, docente emerito di Scienze Politiche alla Statale di Milano, autore di biografie e numerosi saggi storici, Goffredo Mameli ha semplicemente plagiato uno scritto di Padre Atanasio Canata e si è costruito immeritatamente, uno spazio nella storia del così detto “risorgimento” italiano.
Il professore parecchi anni fa in una Biografia di Giosuè Carducci ha scritto proprio che Goffredo Mameli non fu l’autore di Fratelli d’Italia.
Riproponiamo, quanto precisato dal prof. Molalla giornalista Bruna Magi che lo ha intervistato, a proposito del clamoroso furto “di opera dell’ingegno” perpetrata da Goffredo Mameli ai danni di Padre Anastasio Canata:
“bisogna fare una precisazione: non sono leghista, e in fondo Bossi ha ragione, perché quello non è il nostro Inno nazionale, cioè il brano ufficiale. Fu adottato (provvisoriamente, nda) dall’Assemblea Costituente il 12 ottobre 1946, dal governo di Alcide De Gasperi, in gran fretta, perché bisognava trovare una sostituzione alla Marcia Sabauda, ed era quasi la vigilia del 4 novembre. Furono proposti L’Inno di Garibaldi (Si scopron le tombe, si levano i morti, i martiri nostri son tutti risorti…), e la canzone del Piave. Fu scelto l’Inno di Mameli, ma “come semplice inno militare”. Nel corso degli anni, nonostante l’iniziativa di vari parlamentari, non è stato mai riconosciuto come Inno ufficiale della Nazione. E non bisognerebbe neppure usare il termine nazione, definizione ottocentesca, ma Stato italiano, visto che siamo formati da diverse etnie».
Da cosa ha dedotto che Mameli forse non sia stato l’autore?
«Valutando l’Inno da pedagogo, quello non è un linguaggio giovanile e Mameli nel 1846 aveva diciannove anni. I sospetti sono aumentati leggendo da storico le sue opere. Dal collegio di Carcare scriveva alla madre che stava facendo proprio una bella vita: “Mangio per quattro, dormo molto, non faccio nulla, penso meno”, nessun ideale patriottico, ne voglia di scrivere poemetti. Era anche sgrammaticato. Del resto di nascita era un damerino di nobile famiglia genovese (il nonno era stato riconosciuto cavaliere e nobile da Vittorio Amedeo III, re di Sardegna). Educato alle scuole pie dei padri Scolopi genovesi, fu trasferito a Carcare dopo un pestaggio con un compagno. C’è anche da contestare il fatto che Mameli sia morto da eroe, in realtà fu ucciso dal fuoco amico (ferito da un commilitone a una gamba, poi andata in cancrena) ma la teoria eroica funzionava per l’immagine».
«Lo scrisse proprio lui ed il Mameli in qualche modo glielo rubò. Atanasio Canata, nato a Lerici, nel Golfo dei Poeti, era un prolifico autore di poesie e tragedie. E tutte le sue opere sono infuse del cristianesimo liberale di ispirazione giobertiana che ritroviamo anche nell’inno di “Fratelli d’Italia”: tipo “l’unione e l’amore/ rivelano ai popoli/ le vie del Signore”. Era un papista, non un rivoluzionario mazziniano. E, sia pur parlando in terza persona, denunciò il furto in alcuni versi: “A destar quell’alme imbelli/ meditò (lui, Canata, nda) robusto un canto;/ ma venali menestrelli (Mameli? nda) si rapian dell’arpe il vanto:/ sulla sorte dei fratelli/ non profuse allor che pianto,/ e aspettando nel suo cuore/ si rinchiuse il pio cantore”».
L’intervista a suo tempo fu scovata da Giuseppe e Salvo Musumeci ma non fa altro che confermare, ove mai ce ne fosse stato bisogno, che la storia dell’unità d’Italia è avvolta in cupi misteri massonici, costruita sulle truffe e sui tradimenti.
Non poteva quindi mancare, per uno stato non nazione, nato da truffe, tradimenti e falsità., anche l’adozione, peraltro del tutto “informale”, di un inno che è una autentico plagio.
dal sito www.osservatorio-sicilia.it
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