NELLE CARCERI VENETE UN TRATTAMENTO UMANO, PER I DETENUTI MERITEVOLI.


Con la fine della Repubblica marciana, partì una vera e propria campagna atta a denigrare aspetti e istituzioni della medesima. Di questa campagna, che tuttora perdura, è secondo me un valido esempio il tour proposto dalle guide ai turisti in visita a Palazzo Ducale a cui vengono mostrati i Piombi, quale esempio delle condizioni inumane dei carcerati, senza un accenno al fatto che erano celle riservate a detenuti particolari, che avevano messo in pericolo le istituzioni e quindi sottoposti alla particolare giurisdizione del Consiglio dei X, e la “sala dei tormenti” senza che nessuno spieghi che gli stessi erano ormai in disuso da decenni alla fine del 700.
Fornisco qui qualche esempio del trattamento tipico riservato alla quasi totalità dei detenuti, i quali, se non erano condannati a reati gravi, potevano uscire in permesso dal carcere, seguire i propri affari (a un armatore, tale Pasqualigo, fu allestito addirittura un apposito ufficio all’interno del carcere ove poteva ricevere i suoi collaboratori), ricevere a moglie o i parenti una volta la settimana in una apposita stanza riservata. Ma entriamo nel merito:
nel 1318 si stabilisce di trasferire i detenuti infermi (con attestazione del medico) in locali adeguati alle loro esigenze. 
Nel 1414 si stabilisce che durante le ispezioni giornaliere i detenuti potessero uscire dalle celle per loro beneficio.
Il sette aprile del 1564 si emana il primo provvedimento organico sulle infermerie riguardante la pulizia periodica delle carceri, la loro disinfezione con aceto e la profumanzione con incenso ogni anno prima di Pasqua. In tutti i blocchi una sala viene da allora riservata ai degenti, con letti materassi e lenzuola con coperte. Tutte le forniture, per i detenuti indigenti, sono a carico dello stato. Inoltre un medico deve fare visite quotidiane, e l’avvocato (se il detenuto è indigente è pagato da denaro pubblico) deve passare una volta al mese.
Nel 1715 si proibisce a condannati a morte e stranieri di fare gli inservienti, si istituisce una apposita contabilità e si inventariano materiali e arredi tra il 1731 e il 1740, mentre l’anno dopo si creano nuove apposite infermerie per donne e ergastolani. Il medico è tenuto a compilare il foglio di ricovero settimanale, e l’infermiere terrà un brogliaccio dei ricoverati.
Ogni detenuto, a seconda della condizione sociale, riceve una somma per il vestiario, i materassi, il vitto e le cure. Il pane, poi sostituito dal “biscotto” era soggetto a controlli e regole per la sua composizione e molto spesso il vitto era arricchito da lasciti di benefattori. Uno di questi, Giovan Battista Boncio, lasciò nel testamento l’astronomica cifra di 11.000 ducati da spender in vino, e all’epoca in cui su praticavano “i tormenti” si dispose che “quelli che stanno nei camerotti della camera dei tormenti possino mandar a comprar vin per uso loro solamente, dove li parerà che possano esser servidi di bona roba, acciò, oltre agli altri incomodi, essi non vengano per tal causa a patire”.
La gestione delle carceri e il sollievo dei poveretti ivi ristretti era congiuntamente gestito dallo stato e dalla carità pubblica; chi era imprigionato per debiti, poteva contare sulle Confraternite che battevano la città in cerca di oboli onde estinguerli. Insomma, chi è in carcere può toccare con mano la misericordia della società cristiana di allora, e le buone intenzioni dello stato veneto il quale “sull’esempio di Nostro Signor Dio, sempre misericordioso anche con i trasgressori dei suoi precetti” cerca sempre di trasformare il momento dell’espiazione della pena, in riscatto morale del detenuto. Per questo era fatto obbligo ai notai dal 1551, all’atto di redigere i testamenti, di ricordare di lasciar qualche cosa ai carcerati. 

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