CO SAN MARCO COMANDAVA, SE DISNAVA E SE SENAVA. E SE LO DICONO A SINISTRA FORSE E' VERO.

Di Edoardo Rubini
Emilio Sereni pubblicò per la Ed. LaTerza nel 1974 “Storia del paesaggio agrario italiano”.
Non era un professore leghista, ma un militante del PCI dal 1928, condannato nel 1930 a 15 anni di reclusione per  antifascismo, di nuovo arrestato nel 1943, diventato poi ministro e senatore.
Ebbene, il suo libro contiene una rassegna dello sviluppo agricolo tra Medioevo e Ottocento e porta di continuo ad esempio la terra veneta come paradigma di tutta l’evoluzione intervenuta nello sviluppo delle colture e dei sistemi di produzione agricola

L'ALTO REDDITO ricavato dalle campagne, fu causa prima del sorgere delle ville venete, che tutti ammirano oggi.
L'ALTO REDDITO ricavato dalle campagne, fu causa prima del sorgere delle ville venete, che tutti ammirano oggi.

Passiamo ad un altro eccellente autore di sinistra, Lucio Balestrieri, dirigente della Camera di Commercio di Venezia negli anni ’70 e ’80. Nel suo documentato “Veneto. Questioni di storia della società veneta e dell’economia padana dalle origini fino a oggi” (Ed. Universitaria, 1988) porta dati precisi. Per capire le conclusioni cui perviene, basti
citare i titoli di due capitoli:

  • Politica ed economia nel Seicento e Settecento: l’integrazione economica della Valla Padana è interrotta dalla politica continentale napoleonica
  • Nella Valle Padana la  funzione traente passa dal Veneto alla Lombardia.
il '700 vide nascere esempi nuovi di sfruttamento delle risorse agricole. Badoere non è più una villa padronale ma anche una "farm" che ricovera le maestranze e la forza lavoro bracciantile.
il '700 vide nascere esempi nuovi di sfruttamento delle risorse agricole. Badoere non è più una villa padronale ma anche una "farm" che ricovera le maestranze e la forza lavoro bracciantile.
Così analizza l’eredità della Serenissima a inizio ‘800: “Quanto alla lana, quasi tutta la produzione era concentrata nei territori dell’ex Repubblica Veneta.
La Lavorazione era effettuata a Vicenza con 30.876 addetti, Bergamo con 19.948, Padova con 14.050, Verona con 2.900, Venezia con 2.700, Treviso con 3.189; in totale circa 80 mila addetti contro i 4.200 di tutte le altre provincie settentrionali messe insieme”.
Alla luce di dati evidenti, Balestrieri sostiene che il Veneto nel Settecento era forse la Nazione più sviluppata d’Europa, e che nel secolo successivo questa terra crollò a livelli indescrivibili di miseria, perché i Francesi demolirono e rapinarono senza limiti, gli Austriaci investirono su industrie lombarde e Porto di Trieste, con l’Italia si passò dallo sterminio per fame alla deportazione di massa.
Citiamo dalle pagine 91-94: “Le trasformazioni avvenute nell’assetto produttivo della Repubblica a seguito della perdita del monopolio dei traffici col Levante misurano le capacità reali del ceto dominante veneziano di adattare alla mutata congiuntura internazionale la propria economia. Il paese si adegua alla concorrenza estera attraverso l’elevamento della produzione interna e la valorizzazione delle risorse locali, in primo luogo dell’agricoltura, che fornisce le materie prime all’industria tessile.
Il fatto di aver superato questa prova deve far intendere l’efficienza del ceto dirigente veneziano sul terreno che gli è congeniale, quello dell’economia”. Ancora: “L’imponente eredità della Repubblica Veneta resterà pertanto non solo inappropriata, ma sarà altresì ignorata sul piano della semplice conoscenza, e non si riuscirà a spiegare come l’avvento delle libertà democratico borghesi e il pieno riconoscimento della libera iniziativa economica, non avranno praticamente degli effetti utili a superare la crisi.
La prima a cadere sarà l’industria della lana, già prima assai fiorente, ciò che provocherà il dimezzamento del patrimonio ovino, quindi l’industria mineraria del Bellunese e la relativa lavorazione dei metalli. La produzione di seta greggia e dei filati resisterà più di altre, ma verrà quasi tutta esportata senza subire la trasformazione del tessuto. (sembra la fotocopia della crisi attuale! Milo Boz )
La perdita dell’accentramento commerciale nell’emporio marittimo veneziano comporterà un arretramento produttivo immediato, non sostituito da alcun riferimento o istituzione locale in grado di assolvere seppur parzialmente alla funzione dirigente svolta da Venezia. Il ripiegamento su posizioni di mera sussistenza nelle campagne venete raggiungerà la punta massima nella seconda metà dell’800, quando si verificherà un esodo massiccio, per effetto dell’emigrazione nelle Americhe.
Questo fatto può essere spiegato, oltre che con la mancata utilizzazione industriale del prodotto agricolo così evidente nel passato, con l’inasprimento del contrasto fra proprietari e contadini, allorquando la parte del prodotto e del raccolto di pertinenza dei primi vienetrasferita dallo stesso territorio verso altre regioni, alla ricerca del maggior profitto. La riduzione dei margini di redditività dei fondi agricoli e il ripiegamento delle coltivazioni sui prodotti alimentari spingono i proprietari ad esportare la parte spettante loro, privando lo stesso territorio delle risorse necessarie al sostentamento della popolazione.
In passato questo non era mai accaduto, essendo l’approvvigionamento dei prodotto necessario oggetto di intervento calmieratore da parte dello Stato Veneto”.
Per l’economia medioevale, poi lettura consigliabile è “Società e istituzioni in area veneta” di Silvana Collodo (Nardini Ed., 1999).  Vi si tratta della vita nelle campagne soprattutto nel Trecento, dando spazio al sistema  produttivo del podere medievale, descritto negli aspetti organizzativi come azienda agricola. Anche allora la Terra di San Marco era all’avanguardia, dunque.
Infine, siccome non si vive di solo pane, sarà lieta la lettura di “Nella terra dei Dogi” di Luigi Piva (Ed. Del Noce, 1999). Si troveranno tre capitoli dedicati a feste, spettacoli e divertimenti soprattutto tra Padova e Verona, all’interno di una descrizione complessiva delle condizioni di vita del nostro contado tra ‘500 e ‘700, che come si è detto, furono buone, dando persino spazio ad una partecipata convivialità e ad allegre baldorie, fino all’arrivo dei ben noti “liberatori”.

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