LA QUESTIONE DI TRIESTE E UN BIMBO COMUNISTA VENEZIANO CONFUSO :)
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Di
Milo Boz
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Di Roberto Bertoli
Venezia, quel 4 novembre 1953, era quasi sera. In un freddo boia di una piazza San Marco completamente presidiata dalla "Celere", circa centomila persone si erano riunite per la giornata dedicata alle Forze Armate: esuli dalmati,istriani, triestini.... Nella sezione della F.G.C.I. a due passi dai Leoncini, in Calle della Canonica sopra le Edizioni Einaudi (di entrata ce n'era una anche da Calle Larga San Marco) dove noi ragazzini "vivaci" messi al bando dal parroco, andavamo per giocare a ping pong, a carte, a Monopoli.
Un signore con il basco in testa ci catechizzava sulla "Questione Trieste". A me quindicenne di questa "Questione" nessuno prima di quella volta me ne aveva mai parlato, ma osservavo con una certa preoccupazione, avendo compreso da certi "preparativi" che stavamo per "marciare ordinati" nella folla riunita in Piazza "evitando di rispondere a provocazioni fasciste". I "compagni" più grandi erano infatti tutti affaccendati nella costruzione di cartelli, alcuni inneggianti a un certo Tito, altri che chiedevano qualcosa circa un Plebiscito, altri ancora di cui non ricordo.
Il clima all'interno della sezione mano a mano che si avvicinava l'ora X si faceva sempre più teso. La cosa cominciava a piacermi sempre meno. Raccolsi un cartello di media dimensione con la scritta "W TRIESTE" giudicandolo il meno "impegnativo". Uscimmo, tutti incolonnati e scortati, tra due ali di "Celerini" in tenuta antisommossa, e ci inoltrammo tra la folla che mano a mano ci faceva un varco. La Piazza prima muta, poi come un tuono in un temporale d'estate: VIVA I COMUNISTI! Centomila persone in un solo grido, un urlo ripetuto, due, tre, quattro volte: VIVA I COMUNISTI! VIVA I COMUNISTI! Orgoglioso di me, di noi, della F.G.C.I. mi misi di tutto impegno per farmi notare il più possibile, alzando fiero il mio cartellone inneggiante a Trieste sulla folla che mi avvolgeva.
Seguì uno sbandamento improvviso, inaspettato, pauroso e le ali protettrici della "Celere" tra le quali fino ad allora avevo marciato fieramente si spezzarono. Mi ritrovai a terra in un groviglio di "compagni" e di cartelli. Il grido immenso si rivelò per quello che era: VIA I COMUNISTI! Una V si era persa nella nebbia che intanto era salita. VIA I COMUNISTI! VIA I COMUNISTI! VIA... Un omone grande e grosso comparve "nel nebion che se podeva tajar co un corteo", pareva un rimorchiatore della Panfido, mi strappò di mano il mio W TRIESTE al quale rimanevo aggrappato, e truce, guardandomi fisso negli occhi, con una vociona roca che a me sembrò terribile concluse: "Va casa, mona!"
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