Schiavismo a Venezia - Le stranezze della razza umana(seconda parte)



Le stranezze della razza umana

MAOMETTO, VENEZIA E LO SCHIAVISMO

La Serenissima fu il primo paese al mondo a proibire la tratta degli schiavi anche se i suoi mercanti ne praticarono il commercio per molti secoli.



Neri che vendono neri loro confinanti; arabi che glieli ricomprano in Mali o in Ghana per poi trascinarli attraverso il Sahara e rivenderli a bianchi che ne fanno tratta; più giù, altri arabi che catturano altri neri e li fanno castrare ad Assyuth (dove, per queste cose, avevano mani d'oro) prima di portarli a Cairo o Istanbul, mercati per le corti di Russia o Polonia.
Bianchi che rivendono bianchi; cristiani di Spagna che fanno schiavi cristiani come loro, ma di colore.

Nel Mediterraneo lo schiavo rimaneva, tutto sommato, una persona con la sua identità, con la sua religione e con una remota possibilità di riscatto. Al contrario sulle navi per le Americhe, i neri erano solo dei "pezzi" da trasportare e da rivendere.
Schiavi africani liberati dalla nave inglese Daphne il 1° novembre 1868

Il primo paese a proibire la tratta degli schiavi fu la Repubblica Serenissima nel 960, cioè 800 anni prima che il problema si ponesse in altri paesi, con la promissione del XXII° Doge Pietro IV° Candiano. Fino ad allora il commercio degli schiavi era una delle principali fonti di guadagno di parecchi mercanti veneziani, assieme a quelli francesi e spagnoli tra i paesi del Mediterraneo, senza dimenticare gli inglesi, gli olandesi.

Potrà sembrare ipocrita il comportamento dei paesi di matrice cristiana ma per mille anni dall’800 al 1800 non c'era porto e non c'era merce che in qualche modo non avesse avuto a che fare con lo schiavismo. Nei libri contabili dei corsari e degli armatori gli schiavi finivano sempre nell'elenco delle merci.
Battaglia di Lepanto
La battaglia di Lepanto (7 ottobre 1571) fruttò ai vincitori un bottino di 7.200 schiavi che vennero spartiti dalla Lega Santa in questo modo: 3.600 ai cattolici di Spagna, 2.400 ai cattolici di Venezia, 1.200 agli Stati Pontifici.


< Margherita, 15 anni, è stata pagata 65 iperperi mentre la sua coetanea Milicha ne vale 145; invece 133 ne sono stati spesi per Marta, 35 anni; mentre per Lena, 13 anni, si sono sborsati 166 iperperi. Tutto regolare. Mercato registrato dal notaio chioggiotto (“presbyter et canonicus”) Giacomo dalla Torre i cui atti sono conservati all’Archivio di Stato di Venezia. Mercato di schiavi ma di fatto di schiave. Legale e fiorente: i veneziani compravano schiavi in una certa quantità, arrivavano dal mercato di Costantinopoli (adesso si dovrebbe dire Istanbul) e finivano in famiglie di diversi strati sociali. Costavano sì (l’iperpero era la moneta d’oro in corso a Costantinopoli nel medioevo) ma uno schiavo non era necessariamente roba da ricchi. Anche se dagli atti del nostro notaio si trovano atti di compravendite di case a Istanbul per 150, 190 e 400 iperperi: una schiava valeva un buon appartamento.>

Tutto questo viene raccontato da Alessio Sopracasa nel suo saggio “Costantinopoli e il Levante, negli atti del notaio veneziano Giacomo dalla Torre (1414-16)”.
Schiavi neri condotti dai padroni berberi
Da dove arrivavano gli schiavi che i mercanti veneziani trattavano?

Prevalentemente dalla Romania, essendo diventata una specie di centro di raccolta e smistamento di uomini, adolescenti, ma soprattutto di donne e ragazzine; il mercato era in buona sostanza fatto dalle "schiave", anche se “la merce più costosa” e “più ricercata” erano i giovani maschi adolescenti.

Dalle carte del notaio dalla Torre si viene a conoscere che i mercanti mediterranei consideravano i Balcani un gran serbatoio di carne umana: gli schiavi erano di nazionalità abcasa (uno stato caucasico ora indipendente confinante con la Georgia), albanese, bosniaca, bulgara, circassa, ebraica, greca, mingrela (India, vicino a Goa), “niger de India”, russa, saracena, schiavona, tartara, ungherese, valacca (stato tra il Danubio e le Alpi transilvaniche, protetto dall’Ungheria).

Il 60 % dei rogiti fatti da dalla Torre erano relativi alla compravendita di schiavi e fanno comprendere il ruolo che ebbe Costantinopoli come crocevia dei popoli prima della sua caduta nel 1453. In pratica ogni rogito ci fa conoscere quei microcosmi di relazioni tra mercanti, testimoni, fidejussori, prestatori, creditori.

Un esempio? Una schiava che Giovanni Morosini inviò da Costantinopoli a Venezia nella nave di Leon Sguoros “per i servigi de chaxa” viene così descritta: “nome Madalena hè de nation tartar, d’etade de ani 13 in 14, vestita de una gonela biava, peliza et uno schiavinoto et altre chose li fa de bisogno (...) ala dita li mancha 3 dedi del pe per fredo er hola fata resanar”.

Il notaio annotava anche le rivendicazioni degli schiavi, come ad esempio quella di Crossa Cacho, sottomessa per 23 anni a Pietro Cacho dall’età di 7 anni e che dopo averle promesso di affrancarla cambia idea perché lui si voleva sposare con un’altra, dopo che da lei aveva avuto due figli. Davanti ai giudici i testimoni danno ragione a Crossa che venne dichiarata libera.
Battaglia di Tunisi - Attacco a La Goletta

Gli storici stimano che, dal 650 al 1500 circa, gli Arabi abbiano ridotto in schiavitù un numero di “bianchi” (latini, goti, slavi) superiore ai 5 milioni, i quali ebbero un ruolo demografico importante nell’espansione Ottomana del XV° secolo.

Fra il 1530 e il 1780 le continue razzie dei Corsari Barbareschi erano diventate una seria minaccia per l’Europa avendo reso schiavi oltre un milione di europei perché le loro incursioni non avvenivano solo sulle coste ma anche al Nord e all’interno dei paesi del mediterraneo.

Dopo la caduta di Tunisi e la conquista de La Goletta da parte di Carlo V° nel giugno del 1535, i francesi iniziarono la conquista dell’Algeria grazie al fatto che la navigazione nel Mediterraneo era diventata più sicura, ciò coincise con la fine dello schiavismo islamico e l’inizio del colonialismo europeo in Africa.
Battaglia di Tunisi - 1535

Vedi anche /schiavismo-venezia-prima-parte.html


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