Caccia alle streghe
In
Venezia fu mai acceso un rogo per bruciare una strega?
Al contrario di molti altri paesi europei e della terraferma, anche se c'era la caccia alle streghe, non venne acceso un rogo.
Galileo Galilei davanti alla Santa Inquisizione |
Gli ordini di San Domenico e San Francesco fornirono il più alto numero di inquisitori, grazie anche alle indicazioni che sortirono dal concilio di Avignone del 1200 che aveva stabilito che in ogni parrocchia ci doveva essere una commissione con il compito di denunciare quei parrocchiani sospettati di essere eretici.
Queste commissioni erano composte da un sacerdote e da due o tre laici moralmente integerrimi e culturalmente preparati: avevano il compito di denunciare tutti i parrocchiani sospetti.
Anche la Repubblica di Venezia non fu risparmiata da questo fenomeno e già nel XIII° secolo funzionava il tribunale dell’inquisizione a seguito accordi con la chiesa, da cui non era indipendente.
Nel 1248 con l’elezione del Doge Marino Morosini venne stabilito per decreto che fossero eletti dal doge tre uomini retti ed onesti, quando già dal 1410 il Maggior Consiglio aveva decretato che era compito dei Signori di Notte ad inquisire schiavi e servi che avessero commesso “fattuchierie” e “stregarie”. Queste commissioni potevano usare la tortura per “conoscere” la verità e che non potevano fare il processo senza averlo prima presentato agli Avogadori.
Dal XVII° secolo la Santa Inquisizione iniziò ad avere nuova “indipendenza” dal magistrato secolare tanto da obbligare la Repubblica, per i numerosi abusi ed innocenti torturati, a nominare un inquisitore permanente, affiancato ad un “Savio all’Eresia”, con giurisdizione non solo nel Dogado ma anche in terraferma, dalla Marca Trevigiana al Friuli.
Il tribunale dell’inquisizione di Venezia era costituito dal padre inquisitore, dall’auditore apostolico in rappresentanza del patriarca, dai savi all’Eresia, dal Commissario Consultore, dal procuratore fiscale, dall’avvocato, dal cancelliere, dal Censore e dal Capitano custode.
La procedura era la seguente: se la denuncia non era anonima, veniva convocato il denunciante perché confermasse la denuncia. Poi venivano chiamati i testimoni e se da loro arrivava la conferma della denuncia allora si interrogava il denunciato e quando non abiurava arrivava la tortura per la confessione. A seconda dei casi la condanna andava da qualche leggera penitenza alla galera o dalla prigione al bando, fino alla morte.
La lunghezza del processo diventava spesso un grosso problema sia perché il rettore che lo iniziava non lo concludeva sia perché il suo successore subentrava senza avere alcuna cognizione di causa.
Scriveva il Marin Sanudo nei suoi diari:”In questa matina, acadete in chiexia di san Jacomo di l’Orio, san Zane Digolado et san Simon profeta, fo a tempo di messa granda proclamà, per il piovan, da parte dil reverendissimo Patriarca nostro, cum sit li sia pervenuto a noticia che in questa contrà di San Jacomo di l’Orio è molte strige, però tutti chi sa et le conosse, sotto pena di excomunication, non volendo andar a testimoniar, vadino da li piovani a dir quello i sanno, et sarano tenuti secreti.”
Un caso di stregoneria tra le mura del monastero dei Miracoli
Il giorno 22 febbraio 1622 arriva una lettera-denuncia come tante altre al Vescovo di Castello, la particolarità sta nel fatto che non è una denuncia qualsiasi. Margherita, l'accusata, non è una donna del popolo, come non è nemmeno una cortigiana che si era rifiutata ad un nobile. E’ una suora cappuccina che viene accusata dal nobile Girolamo Colonna di essere una serva del diavolo.
Girolamo venne guarito da Margherita attraverso l’uso di reliquie e preghiere, e fin qui niente di strano; qualche giorno dopo la guarigione, la incrociò per strada e cercò di salutarla ma scoprì di essere senza voce e di sentirsi le mani paralizzate, ovviamente doveva essere opera della stregoneria.
La vicenda fu però insabbiata negli atti e non si conosce l’esito del processo. A giudicare dalle carte, si può ritenere che la giovane cappuccina intrecciasse delle relazioni omossesuali con alcune suore, un fatto che la Chiesa doveva assolutamente nascondere.
La denuncia di Girolamo aveva però alcuni punti oscuri ma su tutti gli interrogativi dominava una sola domanda: come poteva una monaca essere considerata una strega?
Le indagini e gli interrogatori partirono immediatamente senza arrivare ad una sentenza, difatti non ci sono documenti scritti sulle decisioni della Santa Inquisizione. Nei libri delle sentenze non c’è alcuna traccia di condanne. Margherita, la strana cappuccina, resta un episodio di come l'inquisizione operava, anche a Venezia, ma per fortuna delle streghe nessun rogo fu acceso per lei in piazza San Marco.
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