I VENETI ANTICHI CAPACI ARTIGIANI: LA VOGLIA DI FARE
La voglia di fare dei Veneti è nel loro DNA se troviamo le stesse caratteristiche dei moderni discendenti nei paleo veneti di 3000 (tremila, eh!) anni fa. A testimonianza di quanto affermo propongo questo bell'articolo pescato nella Tribuna di Treviso di qualche anno addietro.
AL MUSEO ATESTINO I VENETI ANTICHI CAPACI ARTIGIANI
I Veneti antichi: non solo guerrieri e devoti agli dei ma anche un popolo di abili artigiani nell'arte della ceramica, del bronzo e del tessuto, esperti agricoltori ed allevatori in modo particolare di cavalli destinati spesso all'esportazione.
A testimoniarlo la rinnovata «II sala del Museo Nazionale Atestino», a Este, che racconta, con i suoi reperti provenienti dagli scavi più recenti, la trama della vita quotidiana dei nostri antichi progenitori. In esposizione fibule per abiti di lana, superbi alari a forma di ariete, uno splendido ferma trecce in oro, olle e vasi giganti per libagioni, canocchie e fusi da telaio, zappette e piccoli picconi in corna di cervo.
Gli antichi veneti di Ateste si insediavano sui dossi sabbiosi dell'Adige che passando per la città la rese dal IX secolo a. C. potente ed ammirata, coltivavano cereali nei campi, curavano gli orti, cacciavano nei boschi di querce, carpini ed olmi. Col legno costruivano le loro case e con la trachite strade, tombe e macine. Alle donne spettava la cura del focolare e l'abilità nell'uso del telaio col quale tessevano la lana destinata a confezionare i vestiti. Le più ricche, amavano il lusso dei gioielli. Una esistenza sospesa tra i campi coltivati, le acque ondulate del grande fiume e le dolcezze sinuose dei colli.
«Il mondo era cosi recente, che molte cose erano prive di nome e per citarle bisognava indicarle col dito» per evocare i suggestivi contorni della vita quotidiana dei Veneti antichi, nel lungo pannello all'ingresso della sala, la direttrice del museo Angela Ruta Serafini non cita i classici omerici ma la leggendaria Macondo di Cent'anni di solitudine. «Al di là della suggestione sull'analogia delle case costruite sulle rive del fiume- spiega la direttrice- mi colpisce la frase che parla di molte cose prive di nome. In un museo ed in una sala come questa mi sembra una chiave di lettura chiedersi il nome degli oggetti e quindi ciò a cui servivano». Insomma Marquez e gli antichi veneti come incipit per il rinnovamento della sala che è anche nel Dna costitutivo di un Museo tra i più vivaci ed apprezzati a livello regionale.
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Assolute primizie i materiali esposti provenienti dagli scavi degli abitati dall' XI al II sec. a. C. Una notevole campionatura del nucleo più antico, Borgo Canevedo e di via Restara: forme e decorazioni ceramiche. Ai reperti degli scavi del 1932 -34 in via Augustea rimasti sinora in magazzino, sono stati aggiunti materiali di nuova scoperta provenienti dalle indagini degli anni'90, quelli di via Gambina e dell'Ospedale. Uno splendido frammento di vaso miceneo attesta i rapporti con la Grecia e l'Italia meridionale e quindi un vivace e crescente interscambio di merci e costumi di indubbia modernità. Da vedere l'enorme tazza rosso e nera utilizzata probabilmente nei simposi e il biconico con incisi cavalli stilizzati. Particolarmente ricco il repertorio degli alari di terracotta, talvolta vere e proprie opere d'arte, che terminano a forma di ariete o cavallo. Vi venivano appoggiati gli spiedi. In esposizione anche la sezione dedicata a Montagnana con alcuni manufatti in bronzo ed il prezioso ferma trecce d'oro.
Infine Megliadino San Fidenzio con una significativa selezione di ceramiche da cucina e da mensa, fra cui le caratteristiche teglie. Ma il pezzo da novanta è senza dubbio la «Tavola di Este», il documento che reca l'iscrizione venetica più importante e lunga finora restituita dal sottosuolo veneto. Un allestimento difficile per lo stato di conservazione della lamina, con la nuova illuminazione si può ora vederne chiaramente le iscrizioni.
Il reperto, trovato in un cumulo di terra di riporto a ridosso del muro esterno dell'edificio, è un testo frammentario disposto in cinque righe concentriche con andamento a spirale, più una sesta riga al centro. centro.Probabilmente una iscrizione ufficiale: un decreto o una legge che regolamenta l'uso di spazi pubblici. Infine un ultimo accenno per la Situla Benvenuti, il gioiello più prezioso del Museo, che Giulia Fogolari definisce «Il poema epico delle genti atestine». Esposta nella vicina III sala, con la nuova illuminazione è stata valorizzata la lettura diretta della raffinata decorazione a sbalzo e a cesello. Per esaltarne la narrazione una soluzione scenografica: la riproduzione lineare, in trentadue metri di lunghezza per uno e settanta di altezza, sviluppata in un fregio appeso a quattro metri di altezza onde permettere a tutti di seguirne l'enigmatico racconto.
Il reperto, trovato in un cumulo di terra di riporto a ridosso del muro esterno dell'edificio, è un testo frammentario disposto in cinque righe concentriche con andamento a spirale, più una sesta riga al centro. centro.Probabilmente una iscrizione ufficiale: un decreto o una legge che regolamenta l'uso di spazi pubblici. Infine un ultimo accenno per la Situla Benvenuti, il gioiello più prezioso del Museo, che Giulia Fogolari definisce «Il poema epico delle genti atestine». Esposta nella vicina III sala, con la nuova illuminazione è stata valorizzata la lettura diretta della raffinata decorazione a sbalzo e a cesello. Per esaltarne la narrazione una soluzione scenografica: la riproduzione lineare, in trentadue metri di lunghezza per uno e settanta di altezza, sviluppata in un fregio appeso a quattro metri di altezza onde permettere a tutti di seguirne l'enigmatico racconto.
Beatrice Andreose.
L'articolo risale al 2004 scritto in occasione della riorganizzazione espositiva del Museo di Este
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