I VENETI MODERNI E L'IDENTITA' NEGATA



Esiste, è esistita una identità veneta? Illustri personaggi dell'intelighenzia locale ultimamente sembrano fare a gara per convincerci del contrario. Parlano, riferendosi al grande passato di Venezia, di contrasti tra le città della Terraferma e la nobiltà veneziana, che pur c'erano, evidenti, dato che la Capitale demolì di fatto un sistema feudale o signorile che teneva imbrigliata la Venezia di terra, dopo il periodo delle libertà comunali. E questo processo, che si concretizzò nella demolizione di molti castelli, rese certamente ostile molta parte della nobiltà dell'entroterra.
Ma è anche indubbio che ciò spostò a favore di Venezia l'animo e il cuore delle genti venete, che videro ripristinati gli antichi statuti e garantite le loro rappresentanze nei governi locali. Non è un caso se anche il tricolorito Manzoni, descrivendo l'arrivo di un Renzo transfuga sulle sponde dell'Adda, scrive dello stato veneto: Terra di San Marco, terra di libertà!
Faccio un solo esempio, che mi riguarda più da vicino: alla dedizione di Feltre, il consiglio locale  esclusivamente in mano ai nobili ed al clero, era composto da sole sette persone che affiancavano il vescovo conte: ebbene, Venezia volle ampliarlo a ben 40 elementi  per dare  rappresentanza per la prima volta a arti e mestieri e in pratica a tutte le "realtà produttive" del posto, come si direbbe oggi.
Lo stesso processo accadde in Friuli, dove oggi, anche qui, si tende a negare  e a sottacere una realtà storica, che vedeva il popolo friulano fedelissimo a San Marco, forte della doppia identità friulana e veneta.
Si può anche negare, cari storici "progressisti veneti" che il popolo in sé costituisca una Nazione, alla maniera della De Fonseca Pimentel che rifiutava ogni dignità ai "lazzari" napoletani schierati in armi a favore dei Borboni, ma allora ditelo chiaramente: o si inneggia al tricolore o si è dei paria senza dignità di interlocutori. Noi che la pensiamo in maniera diversa, col nostro Leone marciano, continueremo tranquilli la nostra lotta per l'autonomia senza di voi. E vedremo chi vincerà, alla fine.
nel libro di Bruno Pederoda si parla anche delle istanze autonomiste venete degli anni '20

Questo rinato spirito unitario veneto, era differente da quello delle altre nazioni d'Europa, rette sul centralismo feudale che poi diverrà assolutismo in Francia, la quale dipendeva da una corte centralista.
L'esser  veneto era basato anche su un forte spirito identitario locale associato alla appartenenza marciana; questo sentimento è rimasto intatto e si è tramandato, malgrado le spinte in senso opposto di questi duecento anni dovute ai  tentativi di omologare il nord est el il suo cuore veneto, all'unità velleitaria e mai raggiunta di uno stato formato con un  processo unitario forzato.
Ora non mi pare una coincidenza fortuita, se tali discorsi escono all'indomani di una proposta di referendum sulla maggiore autonomia veneta: un successo per Zaia, un quasi flop al di là dell'Adda, per  tornare al Manzoni.
Spiace solo che i nostri intellettuali "veneti" si prestino in realtà al gioco centralista, immemori dei popolani che dopo pochi decenni di dominio "oligarchico" veneziano si facevano impiccare da Massimiliano, a capo delle lega di Cambrai, per non abiurare San Marco ("Mi soi marchesco e marchesco voi morir" ) o opponevano i loro petti al piombo dei francesi, offrivano la vita dei loro figli (penso tra le tante testimonianze alla lettera al doge della comunità di Tarzo nel 1796) per salvare la Repubblica di Venezia dall'invasore Napoleone.
la Guardia Nobile veronese era composta in realtà da rappresesntanti delle arti e mestieri e si schierò in difesa di San Marco

Uno straordinario continuum di amor patrio di cui la nobiltà di Venezia era cosciente, e che la portò ad abdicare sperando  col proprio sacrificio, di poter salvare la continuità dello stato veneto, una realtà che aveva ripreso il percorso plurimillenario del nostro popolo, ma che con l'unità d'Italia continuò ad esser negata. Ciò per motivi di sopravvivenza politica ed economica, di una élite politica e burocratica invadente  e parassitaria nata col centralismo, sempre più odiata dalle genti venete che ormai si sentono usate come gli indigeni delle colonie all'epoca degli antichi romani. E non è un caso se i "prefetti" sono presenti oggi, come all'epoca di Nerone.
.Oggi quindi, come un tempo, una cerchia ristretta di notabili locali "aristocratici" legati al potere italiano, in contrasto al sentire comune dei Veneti,  nega o cerca di sopire, alla Don Ferrante, un processo di riscoperta di una identità veneta sottaciuta che impensierisce non poco il potere centrale romano sempre più traballante e screditato.

E' una storia vecchia, fermenti autonomisti o indipendentisti nel nostro territorio iniziarono subito dopo l'unità e si palesarono dopo i disagi tremendi della "guerra in casa" negli anni Venti, per mano dei repubblicani federalisti veneti, ma poi, come scrisse Bruno Pederoda nel suo bel libro, il fascismo mise tutto a tacere.
Sentimenti che rispuntarono , come un'araba fenice, con la Liga veneta, in tempi recenti e che sembrano crescere sempre più, fino a rivelarsi nuovamente al modo intero con l'adesione massiccia al referentum pro autonomia.

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