LAVORI SCOMPARSI IN RIVA AL SILE
Mestieri sulle rive del Sile
Lungo l’autostrada
fluviale che ha caratterizzato le attività delle genti che vi si sono stabilite,
arrivavano in laguna i prodotti delle colline e delle campagne trevigiane.
Percorrere il Sile
e scoprire come questa via di
comunicazione, come per tutti gli altri fiumi che sfociano nell'Alto-Adriatico,
abbia per millenni plasmato e creato
il profilo economico, sociale ed il
carattere culturale delle genti che avrebbero dato vita alla Marca Gioiosa.
Porto Sant'Antonino 1950 |
Nel percorrere a bordo di un’imbarcazione il più lungo
fiume di risorgiva d'Italia si potrebbero
rivivere le sensazioni provate dai primi
navigatori-esploratori-commercianti che
risalivano i corsi endolagunari dell’Alto-Adriatico alla scoperta di nuove genti
con cui scambiare merci e tecnologie.
Poco più di 70 km separano le sorgenti di Casacorba di
Vedelago (TV) a Portegrandi di Quarto d'Altino (VE), la foce naturale nella
Laguna di Venezia, prima dello scavo del "Taglio del Sile"e la creazione del Silone.
Comunque è sempre
emozionante, provando sensazioni
impagabili, arrivare in laguna ed entrare in bacino S. Marco dalle bocche di
porto di S.Niccolò.
Soprattutto quando il
sole sta tramontando dietro la basilica della Salute.
La vita lungo le rive erano
animate, sin dalle origini degli insediamenti, da attività che poi sarebbero
scomparse con il progredire della tecnologia e con l’evoluzione della società ed
oggi purtroppo completamente sparite, tanto che si sta perdendo la memoria
collettiva.
Burcio a pieno carico sul Sile |
I barcàri, che lo percorrevano a bordo dei loro burci, dovevano convivere con i proprietari dei mulini che trasformavano la forza
motrice in energia per far funzionare mulini, folli e magli.
Il Sile è stato definito anche
la via dei mulini. Grazie alla sua
regolare portata e a quella dei suoi affluenti, il mulino idraulico ebbe la sua massima diffusione tra il V° e l’XI° sec. Le prime notizie certe di
una pala sono del 710 sorta nei pressi di Casier. Nel 1568, a valle di Treviso,
esistevano ben 84 ruote di mulini
mentre in quel periodo nel solo centro di Treviso si hanno notizie di almeno
sette pale che servivano per la lavorazione del pellame, del ferro e per la
macinatura delle granaglie.
Il Sile a Quinto di Treviso forma un lago a seguito alle
pesanti escavazioni del passato con oltre venti metri di
profondità. L'importante sequenza dei mulini che formano il nucleo centrale del
paese testimonia quella che fu l'imponente
"industria molitoria” della Marca trevigiana.
Su Sile venivano trasportate una grande varietà di
merci, in particolare era notevole la quantità di grano che Venezia invia ai
mulini trevigiani perché fosse
macinato. Anche le stoffe venivano portate per la follatura negli
impianti sullo Storga a Porto di Fiera.
In città sorgono sul
Cagnan e sulla Roggia i mulini delle monache della Cella, dell'abate di
Nervesa, dell'abate di Follina e del comune a S. Francesco, il mulino a 3 ruote
sul Cagnan a S. Agostino, i tre mulini sul Cagnan Maggiore a S. Leonardo,
quelli di S. Michele sul Cagnan Minore, il mulino e il follo da panni
dell'ospedale cittadino di Santa Maria di Betlemme, a S. Giovanni del Tempio,
il mulino della Torre Lunga, quello sul ponte S. Cristoforo tra Roggia e
Cagnan, le chiodere (loc. Al ciodo) e
le tintorie dei Ravagnini a S. Vito tra i due Cagnani e i mulini di S. Martino.
Oasi Mulino di Cervara - Treviso |
L’andirivieni sulle rive
era caratterizzato da mugnai,
da lavandaie che andavano a lavare i panni nelle acque limpide, i cavallanti, i cariolanti, i comanderessi,
gli squerarioli, i maestri d'ascia, gli artigiani
che raccoglievano piante palustri per
fare scope, impajar careghe,
costruire nasse e reti da pesca, e chi
traghettava fornendo il servizio del
passo a barca. segherie, mole per
coltellinai e fabbri dentro e fuori le mura.
I tratti paludosi erano ricchi di cannucce (canèe), coltellacci
(paére), mazzasorda (paeròssi) e carice (paja da carèghe). Tutta questa vegetazione forniva lo strame, par starnìr e
bestie ed essere utilizzato quale lettiera (métergheo sóto dove che ee dormìa) contribuendo alla produzione di letame. Le erbe
palustri fornivano la materia prima
per quel tipo di artigianato ormai
definitivamente scomparso, almeno a livello professionale.
Cannucce (Canèe): una volta asciugate all’ombra
si facevano i graticci
(grisiòe) utilizzati in edilizia e nell’allevamento dei bachi da seta.
Coltellaccio (Paére): cresce sott'acqua con
foglia larga. Integrava il foraggio
non sempre abbondante destinato all'alimentazione dei bovini.
Mazzasorda (Paeròssi): le
foglie erano usate come lettiera per il bestiame. Inoltre erano vendute
ai "bottèri" che le
inserivano nell'incastro delle "dóghe" sul fondo delle botti o dei tini.
Carice (Pàja da carèghe): Era ed è ancor oggi il miglior materiale usati dai impajadori per impagliare le
sedie, attività in cui erano specializzati i belumat
che scendevano in pianura durante la stagione invernale e in cambio di
un po' di latte, un piatto di minestra e di pochi spiccioli lavoravano nella
stalla, dove poi trascorrevano la notte. Inoltre sapevano rivestire fiaschi e damigiane, costruire ceste/contenitori, stuoie e borse.
Fino a non molti
anni fa a Roncade, per antica
tradizione, si lavava la biancheria dei
ristoranti e degli alberghi di Venezia. C'è ancora oggi chi si ricorda
i prati su cui, a perdita d'occhio, erano stese ad asciugare tovaglie e lenzuola. Altrettanto viene ricordato il sacrificio delle
donne, per ginocchia gonfie e mani piagate, chine sul lampòr (significa limpido nel trevigiano), l'asse
inclinata di legno che serviva d'appoggio per insaponare, spazzolare, lavare e riscacquare la biancheria.
Il "piano di
lavoro" misurava mediamente 1metro e mezzo di larghezza per 75 cm di profondità.
Le Fornaci furono le prime attività di tipo industriale, già dal 790, che vennero aperte per la
concomitanza di due fattori: il terreno argilloso di tipo alluvionale delle
aree rivierasche come quella di Dosson e la vicinanza del Sile dove poter
trasportare la produzione laterizia fino a Venezia. Fino alla fine del 1900 rimase,
per le numerose fornaci, la primaria attività dell’area a sud-est di Treviso.
Archeologia industriale - Ex Fornace Fregnan a Musestre di Roncade (foto di Gianfranco Speranza) |
I Passi a Barca sono
stati per molti secoli l’unico modo per attraversare il Sile. Gli unici ponti
in epoca romana sono stati quelli sulla via Annia a Ca' Corner (presso
Trepalade) e sulla via Claudia
Augusta a Musestre. I passi a barca del Sile
non ebbero lo stesso peso economico di quelli sulla Piave, essendo i primi
destinati a trasbordi più di persone ed animali che di merci e carri.
Il Passo a Barca di Casale sul Sile |
La pesca fluviale, fino alla
fine del secolo scorso, era praticata lungo
tutto il Sile fino al mare.
Abitualmente i
contadini che vivevano nelle
vicinanze si trasformavano in pescatori,
come i mugnai, che pescavano bisate (anguille), tinche e squali
(lucci); gli strumenti più utilizzati erano i bertovei (trappole in rete di forma cilindrico-conica), le nasse,
costruite in vimini, ed altri attrezzi usati
saltuariamente come la fiocina
e il rezzaglio.
Costruzione dei bertovei |
La necessità di spostarsi
in questi ambienti, in cui
dominava l'elemento acqua, sviluppò la navigazione a
bordo di semplici imbarcazioni, a
fondo piatto come la pàntana dalla prua e dalla poppa mozze, governabili con una lunga pertica (àtola) di salice (selghèr) senza mai raggiungere i livelli tecnico-costruttivi dei marangoni della
laguna. Queste imbarcazioni multifunzionali
servivano per poter praticare
l'attività di caccia e pesca, la raccolta delle erbe palustri, il trasporto di
modeste quantità di granaglie ai mulini, traghettare persone e animali da una
sponda all'altra.
Caneva con pàntane |
http://www.parcosile.it
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