IL NOBILE CAPITALISTA VENEZIANO E L'ARRICCHITO GLOBALISTA


Ci pensavo ora, alla differenza enorme, tra i due soggetti: il primo era il pilastro solido della Nazione veneta (in particolare) e differiva completamente da un arricchito terzo mondialista alla Benetton, che veneto è solo d'anagrafe (e certamente per capacità imprenditoriale) ma per il resto è italiano, o meglio, un capitalista che vede i confini solo come ostacoli al suo arricchimento personale. Un globalista senza bandiera, insomma.
A Venezia, il capitalista agiva in un contesto profondamente cristiano, la sua ricchezza era anche un mezzo per aiutare i più poveri, associandosi a cualche confraternita o "scuola" poteva aiutare gli ultimi, come la società si aspettva da lui. Ogni anno, al "Corpus Domini" dietro al Doge, ogni nobile son la sontuosa toga rossa, portava a braccetto un "pitocco", un invalido, a significare che davanti a Dio (e a San Marco) entrambi avevano la stessa dignità umana. Cosa mirabile, immortalata in un stampa del Grevenbroch di metà Settecento.

Non solo, quando una persona provvedeva a dettare il testamento al notaio, questo aveva l'obbligo stabilito dalla legge di ricordargli che davanti a Dio era anche suo dovere ricordarsi dei più umili.
Questo innescava un processo virtuoso nella società, per cui anche le classi proletarie non avenano alcun senso di rivalsa o invidia nei confronti dei più ricchi, nobili e non, dato che li vedevano  esercitare comportamenti costanti, caritatevoli e virtuosi, nei loro confronti.
Tutto questo è poi rimasto nel Dna dei Veneti (in senso lato) per cui da noi gli operai vedono nell'imprenditore una specie di padre che manda avanti una grossa famiglia, più che una azienda. Fu uno dei segreti del "miracolo del Nord Est.

Oggi invece l'arricchimento non ha bisogno di scopi umanitari e  di giustificazioni morali: è fine a se stesso, non conosce Patria, non conosce Dio: il mondo è un'unica arena in cui un Benetton può sfruttare i pastori in Argentina, comprando immense distese di terreni a pascolo e la manodopera  a basso costo in Oriente, spacciando i suoi maglioni come simbolo di una fratellanza della razza umana (united Colors of Benetton, appunto) che altro non è in realtà che sfruttamento dei più poveri del mondo, fatti lavorare spesso in condizioni di semischiavitù, mascherando il tutto anche grazie alla pubblicità martellante dell'altro "compagno di merenda" Oliviero Toscani.  Che infatti ci odia mentre il suo padrone forse si limita a disprezzarci.
Sputando sulle sue radici per ignoranza e miseria morale.


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