CARO ALDO SU VENEZIA E TERRAFERMA NON CAPISCI UN CAZZULLO


Ieri mi sono imbattuto in queste perle di Aldo Cazzullo, noto giornalista del Corriere, non a caso spalla di Fabio Fazio nella tricolorita tivu.Vi riporto la sua risposta (del tutto campata in aria se non in malafede) alla domanda di un lettore veneto. La rubrica è "Lo dico al Corriere". Le mie osservazioni sul fondo.

Caro Aldo, 
lei cita la «storica rivalità tra Venezia e la terraferma». Vorrei ricordare l’inesistenza di castelli e fortezze nel Veneto, sostituiti dall’ideologia extraurbana, con Andrea Palladio e le ville venete… oppure la resistenza di Treviso durante la guerra di Cambrai (1509). La città rifiutò la resa all’Impero, perché un certo Pellicciari aveva trascinato la folla percorrendo a cavallo la città con la bandiera di S. Marco. E Venezia riconquistò i territori perduti. Persino un episodio così pregnante è quasi sconosciuto. La storia può essere censurata e nascosta, e su Venezia questo processo è in atto da due secoli. Ma non è giusto dimenticare. 
Giovanni Lupato, Treviso

Caro Giovanni, 
Si potrebbero raccontare episodi di segno contrario. Per secoli i veneziani guardarono i sudditi – veneti compresi — dall’alto in basso, e di conseguenza non venivano certo amati. In laguna i traffici e i commerci, in terraferma l’agricoltura e a volte la fame. Preferisco però mettere in comune con lei e con i lettori un altro racconto che va nella direzione da lei indicata. Quando nel 1848 Venezia insorse contro gli austriaci, gli operai dell’Arsenale – all’epoca la più grande fabbrica d’Europa – presero prigioniero il direttore, il conte Marinovich, uomo spietato: ogni volta che chiedevano un aumento dei loro magri salari, gli arsenalotti si sentivano rispondere: «Forse la prossima settimana». Marinovich tenta di fuggire, viene ferito a morte, chiede un prete, gli operai gli rispondono: «Forse la prossima settimana». Venezia, governata da un ungherese, il conte Palffy, era tenuta da una guarnigione composta per metà da croati e per metà da veneti di terraferma. Ma quando la guarnigione ha l’ordine di sparare, accade il miracolo: veneti rifiutano di sparare su altri veneti; italiani rifiutano di sparare su altri italiani. Risorge la Serenissima, torna la Repubblica, ed è allora che – come ci siamo raccontati il mese scorso – Daniele Manin sceglie per vessillo il tricolore italiano, con il glorioso leone di San Marco in alto a sinistra: segno che le due bandiere possono stare assieme.
Aldo Cazzullo

Commento mio:


Caro Cazzullo,
come durante la guerra di Cambrai, periodo in cui lo stato da Tera si era appena formato, furono i "campagnoli" a morire sotto il piombo francese, nel 1797, sollevandosi in nome di "Marco, Marco!", Venezia forse guardò con supponenza le élites delle città di Terraferma, ma in questo riceveva il plauso dei popolani e borghesi non aristocratici che si sentivano grazie a questo liberi da regimi altrimenti feudali e protetti dal Leone. 
A Verona un contadino (sempre tornando alla lega di Cambrai e all'invasione) si fece impiccare pur di non abiurare il gonfalone e davanti a un testimone come Macchiavelli, disse: "mi son marchesco, marchesco voj morir!"  Il celebre fiorentino ne fu colpito e disse che tutta la popolazione della Terrferma era marchesca. E aggiunse: Fin che simili popolani fossero esistiti, l'imperatore Massimiliano non avrebbe avuto vita facile. 
Questi sono i fatti, magari agli "italianisti" come lei ciò dà fastidio, ma noi eravamo una nazione, a differenza del resto dell'Italia ferma al "Franza o Spagna, pur che se magna".
Quanto all'episodio dell'arsenale, che lei cita a sproposito, se la truppa austroveneta (probabilmente composta da  veneti di terraferma) si rifiutò di sparare ad altri veneti veneziani era appunto perché questo senso di appartenenza a un popolo, quello veneto, era ancora fortissimo. 
Manin accettò il tricolore, col Leone marciano, è vero,costrettovi dalle contingenze,  ma lui pensava uno stato italiano federale e infatti, dopo l'unità non si sentì affatto di accettare il modello accentratore dei Savoia, tanto da scegliere l'esilio londinese dove morì in povertà. 
Le ricordo infine Antonio Canova, altro "campagnolo" come tanti illustri artisti, il quale, anche dopo la fine scrisse che continuava a sentirsi "veneziano". Proprio come gran parte dei veneti di oggi. 

Si rassegni, Cazzullo, la Nazione veneta esiste e non è mai morta.  Spero che questa mia nota le arrivi, le vie del web sono infinite :). Voi continuate pure a spargere fumogeni.. la verità prima o poi verrà a galla. 

Commenti

  1. Bravo Millo,

    me giera vegnuo in mente anca a mi dell'episodio ramentà da Macchiavelli.
    Ricordo anca un altro episodio sempre in relaxion ala medesma guera: quelo de la riconquista de (Nuova Troia): Padova, popolani de teraferma ga investio la Cità facendose verzer le porte fingendo de portar dei rifornimenti, salvo po', a porte verte, iromper in massa e riconquistar la Cità!
    Graxie, Vecio mio!

    Carlo.

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    1. si Carlo, storici seri i dixe che Venezia ga capio de eser diventà un vero stato e non solo un dogado. Infati da quel momento ze nate le cernide inquadrade e organizade da Andrea Gritti come doge. Esercito d epopolo non solo de professionisti. WSM!

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  2. Mi permetto fare una considerazione come veneziano, nato da madre veneziana a Castello, Quintavalle 32 (isola de S.Piero) e da padre mestrino (con famiglia di origini della bassa padovana). Per completare il mix di tradizioni sposato con una trevigiana e vissuto a Treviso.
    Quindi uno de mar cresciuto in campagna (cioè terra ferma).
    Posso affermare che ho sempre percepito quell'aria di superiorità dei veneziani che c'era nei confronti dei mestrini e di tutti i campagnoli come quel senso d'inferiorità che pativano i trevigiani quando le novità della moda arrivavano prima in laguna e poi in piazza dei Signori a TV. Ovviamente prima dell'era Benetton e Stefanel.
    Altro esempio di una certa superiorità e di un certo orgoglio di appartenenza.
    Diversi veneziani delle nuove generazioni che trovavano lavoro a Marghera negli anni '50/'60 preferivano farsi la casa o trovarla a Mogliano V.to invece che a Mestre e dintorni come facevano quelli provenienti dalla Baia del re o da S.Marta o dalle Zattere. Dopo l'arrivo dei giovani era la volta dei vecchi (che da soli non riuscivano a sopravvivere per tutte le scomodità causate dalla laguna) e quindi tutta la famiglia si riuniva in campagna.
    Quindi a Mogliano nacque il quartiere S.Marco e si festeggiavano tutte le ricorrenze senza risparmio di energie e di risorse tra lo stupore dei campagnoli moglianesi, non abituati a manifestare un tale attaccamento alle origini.
    Concludendo, ritengo che la "superiorità" derivante dall'orgoglio di appartenenza (qualora re-esista ancora nel III°millennio) sia da ammirare e rispettare, e non da condannare.

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