IL CONTROLLO DELLA SCUOLA ITALIANA E L'OBLIO DELLA STORIA

Ce lo spiega Paolo Mieli, mica un estremista "venetista" o "borbonico" qualsiasi. Vi metto un paio di paragrafi del bellissimo articolo. 

Tra la fine della Seconda guerra mondiale e il 1961, quando si celebrò il centenario dell’Unità d’Italia, gli studenti delle scuole secondarie nel nostro Paese raddoppiarono passando da 369 mila a 840 mila e crebbero a dismisura anche le iscrizioni all’università, in particolare alle facoltà di Lettere, le quali offrivano una laurea che avrebbe garantito l’accesso all’insegnamento scolastico.

Purtroppo, però, per ciò che riguarda la storia, quegli studenti furono costretti a frequentare una «scuola dell’oblio». In che senso? Lo spiegano le pagine finali del libro di Alberto De Bernardi e Luigi Ganapini dedicato alla Storia dell’Italia unita pubblicato recentemente da Garzanti. 

Scrivono i due autori che, nell’imbarazzo di approfondire cause, responsabilità e corresponsabilità del regime mussoliniano, «le nuove élites politiche antifasciste sembrarono voler rinunciare a utilizzare l’insegnamento della storia come strumento per costruire legittimazione, consenso, identità collettiva attorno alla Repubblica democratica, come avevano fatto la classe dirigente liberale e quella fascista». 

Di conseguenza andò affermandosi un modo di insegnare la storia assai poco problematico che puntava «piuttosto sull’oblio che sulla presa di coscienza», dove imperavano le «ricostruzioni di comodo del passato».

Questo modo di insegnare la storia all’insegna della rimozione non fu modificato - se non in parte - dopo il 1961 e, anzi, si estese dal ventennio fascista a tutto il racconto di come era stata fatta l’Italia e di quali erano stati i problemi che il nostro Paese aveva dovuto affrontare nei suoi primi decenni di vita. 

Ciò che spiega perché, anche di recente, abbiano avuto grande successo di pubblico non solo libri filo risorgimentali come il convincente Viva l’Italia! di Aldo Cazzullo e il raffinato, divertente "La patria, bene o male" di Carlo Fruttero e Massimo Gramellini (entrambi editi da Mondadori) ma anche - soprattutto - testi come il bestseller Terroni (Piemme) di Pino Aprile e il fortunato Il sangue del Sud (Mondadori) di Giordano Bruno Guerri, volumi impegnati a togliere il velo che ammantava gli aspetti più controversi della conquista dell’Italia meridionale. 

Così come altri che facevano la stessa operazione con il complicato rapporto tra il mondo cattolico e quello liberale o la drammatica transizione dal fascismo al postfascismo. Probabilmente è vero che tali testi non aggiungevano informazioni nuove rispetto a quelle già note agli specialisti della materia, ma questi libri di dissacrazione andavano incontro ad un diffuso desiderio dei lettori di saperne di più in merito a questioni che la scuola e l’università avevano e hanno continuato ad in modi assai elusivi.

Se volete proseguire la lettura andate a =1http://www.recuperanti.it/risorgimento_st.php?ar=1

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