100 ANNI FA L'OCCASIONE PERSA, PER SFONDARE IL FRONTE E ARRIVARE IN AUSTRIA

Ma l'Italia, per incapacità di valutazione di un suo generale, non ne seppe approfittare, e 17 giorni dopo iniziò lo sfondamento (quello si, realizzato) dell'Austria Ungheria. Una storia dimenticata volutamente, ma reale.
Un alto ufficiale austriaco schierato sul fronte della Valsugana, contatta i nemici italiani e propone di fornire piante delle difese ed appoggio per neutralizzare le reazioni, si chiamava Pivko ed era ceco.
 Lascio la parola algiornalista Luigi Sardi. Grazie e Marco Zonta per la segnalazione.

Settembre del 1917. La guerra che si volle chiamare Grande, infuria ormai da 3 anni, portando a proporzioni gigantesche le sofferenze nelle trincee e nelle città assediate dalla fame e dalla paura.Armate immense si fronteggiano, quasi immobili, imprigionate nella massa dei reticolati, in un’Europa che è un cimitero e nei mari divenuti tombe senza fine. In quel mese, sul fronte tirolese, in Valsugana, a Carzano, sulle sponde del torrente Maso, stava per succedere qualche cosa di incredibile. Nella notte fra il 17 e il 18 settembre, il Regio Esercito italiano era sul punto di cogliere una vittoria forse definitiva per il tradimento di ufficiali e graduati sloveni e cechi che indossavano la divisa dell’esercito austro-ungarico ma ben decisi a staccare, nel nome dell’irredentismo, i loro popoli dall’Austria.

Dopo la morte di Francesco Giuseppe, che con il suo carisma teneva uniti le genti nel cuore dell’Europa, a Carzano ci si trova di fronte al primo, vero sintomo di disfacimento dell’Impero, soprattutto alla rivolta di militari cechi. Per una notte, quel minuscolo paese ridotto in macerie, fu la porta spalancata sul velo di rincalzi lasciati fra Borgo e Trento mentre la massa delle armate austriache e germaniche, le artiglierie più possenti, gli aerei più moderni si stavano ammassando a Caporetto.

Si profilava un successo che in poche ore avrebbe potuto portare i soldati italiani, da due anni inchiodati dagli austriaci nell’orrore delle trincee, a Trento. Mai, su nessun fronte di quella guerra, un esercito si trovò davanti ad un’occasione così straordinaria, ad un passo da una vittoria che, forse, poteva essere addirittura decisiva.

In quell’estate che stava finendo, dopo il massacro dell’Ortigara, l’ecatombe sull’altipiano della Bainsizza ai piedi dell’Hermada, la pietraia che secondo la leggenda non venne creata da Dio ma dal Demonio, gli Italiani potevano entrare nelle città simbolo della lunghissima stagione risorgimentale. Ecco la storia di quello che nella leggenda viene chiamato il “sogno di Carzano”.

Due i protagonisti: Ljudevit Pivko ufficiale pluridecorato dell’esercito austro ungarico e nello stesso tempo traditore della monarchia asburgica che resta, al pari di Cesare Battisti,  il socialista, il giornalista in Trento e deputato al Parlamento di Vienna,  un autentico enigma storico;  e Cesare Pettorelli Lalatta,  ufficiale del nascente Servizio Informazioni Militari del Regio Esercito. Due personaggi eccezionali.

Pivko era nato nel 1880 a Ptuj, nel cuore della Stiria slovena e insegnante a Maribor era entrato a far parte dello Sokol una società  che oltre allo sport coltivava, in un crescendo di fanatismo, la difesa delle tradizioni nazionali e dell’indipendenza. Come Battisti, fin da giovanissimo manifestò una chiara tendenza irredentista.  Voleva la sua Slovenia indipendente,  “liberata” dal dominio asburgico. Pivko era figlio di un popolo dalle diverse anime e da contrastanti quanto indomiti istinti che,  ufficiale dell’esercito dell’Imperatore, tradì l’Austria.

Consegnò agli Italiani i piani per varcare tutte le difese a protezione del tratto di trincee di fronte a Carzano , reticolati percorsi dalla corrente elettrica, cavalli di Frisia, trappole esplosive, nidi di mitragliatrici. Spostò sentinelle, tagliò le linee telefoniche, sottrasse persino le pistole lanciarazzi che avrebbero potuto dare l’allarme  e mescolò, ricevute dagli italiani, robuste dosi di oppio al rancio della sera che addormentarono i soldati bosniaci del reggimento che comandava. 

A guerra finita, in Italia venne dimenticato perché si volle nascondere l’insuccesso del Regio Esercito e perché fra gli ufficiali di quell’epoca c’era molta diffidenza per lo spionaggio ritenuto certamente utile ma non decoroso, soprattutto antipatia nei confronti di chi aveva tradito la propria bandiera. In verità  é sempre difficile stabilire chi sia l’eroe e chi il traditore. Pjvko, a proposito di Carzano, scrisse: “Le imprese militari vengono apprezzate per i risultati, ma noi carzanesi (così si definivano i congiurati sopravvissuti, nda) non abbiamo avuto successo”

http://www.unsertirol24.com/2017/09/14/briciole-di-memoria-30-100-anni-fa-la-battaglia-di-carzano-1-parte/

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