LA VERA PATRIA DEI VENETI E LA TRADIZIONE DEI POPOLI

Un amico torna da una sortita in Austria, e mi riferisce ammirato di una festa, in cui si riunivano i giovani di sei paesi di una valle, e giovani ragazze e ragazzi, ascoltavano un concerto di musica rock INDOSSANDO I LORO COSTUMI TRADIZIONALI.  
Da noi non potrebbe mai succedere, nel Veneto attuale: la realtà nuda è che stiamo faticosamente risalendo dall'abisso unitario, ma purtroppo ci hanno (e ci sono riusciti anche per colpa nostra, specie con la complicità delle classi dirigenti locali) cancellato le nostre radici, dove potevano, facendoci vergognare persino della nostra lingua.  
Ecco quanto scrissi un paio d'anni fa, ricordando le parole di La Charette, a capo dei fratelli vandeani, contro lo stato rivoluzionario francese (sostituite la parola re, con San Marco):

«La nostra Patria sono i nostri villaggi, i nostri altari, le nostre tombe, tutto ciò che i nostri padri hanno amato prima di noi. 
La nostra Patria è la nostra fede, la nostra terra, il nostro re.
Ma la loro patria, che cos’è? Lo capite voi?
Vogliono distruggere i costumi, l’ordine, la Tradizione.
Allora, che cos’è questa patria che sfida il passato, senza fedeltà, senz’amore?
Questa patria di disordine e irreligione?
Per loro sembra che la patria non sia che un’idea; per noi è una terra.
Loro ce l’hanno nel cervello; noi la sentiamo sotto i nostri piedi, è più solida.
I popoli veneti (parlo al plurale, intendendo anche quelli della Lombardia veneta, della patria del Friuli, dellI’Istria e della Dalmazia) erano Patrioti, ma non erano nazionalisti come lo si intenderebbe oggi. Il vero cemento della Nazione era la libertà che Venezia riconosceva ad ogni campanile, ad ogni borgo, ad ogni piccola patria. 
Venezia riconosceva a tutti il diritto di essere eredi della propria tradizione locale, di reggersi secondo le proprie costumanze e regole antiche, nate da una evoluzione naturale della società e non per imposizione dall’alto.
Oggi invece lo stato moderno, specie in Italia, paese dai mille campanili e dalle cento capitali, che la resero celebre in Europa e prima in tanti campi, culla del Rinascimento, tutto questo viene soffocato, e si pensa al ‘cittadino’ non come individuo che in sé contiene il riflesso di una storia plurimillenaria, ma come un contenitore (quando va bene, da noi va peggio, siamo solo produttori di rendite per uno stato governato da parassiti) da riempire di ideologia, in modo che dalla culla alla sua morte, egli sia un suddito manovrabile del sistema che disporrà di lui, dei suoi guadagni, della sua vita.
Si incomincia con la scuola di stato e poi si prosegue fino alla morte; il Grande Fratello ti imporrà la sua visione della società, che perpetua il sistema.

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