IL FRATE VENETO CHE INVENTO' LA PILA A SECCO


Un altro grande veneto sconosciuto ai più, il cui ingegno diede i suoi frutti più all'estero che non nell'Italietta moderna. 

L'abate Giuseppe Zamboni nacque ad Arbizzano nel 1776 e morì a Verona nel 1846. 
Fu ecclesiastico, fisico e docente del liceo Maffei. Una lapide sulla vicina Casa del clero, al Duomo, lo ricorda come «inventore dell'elettromotore perpetuo». 
Furono le ricerche su questa araba fenice del moto perpetuo (che poi la scienza avrebbe dimostrato impossibile) a portarlo però a un'invenzione che sbalordì i contemporanei: la prima pila elettrica portatile. 
La sua pila a secco è composta da sottili dischi di due metalli conduttori posti dentro un tubo di vetro chiuso, con una colonna di alluminio al centro. I dischi sono concentrici. La pila sviluppa una forza elettromotrice sufficiente da essere misurabile con un elettroscopio. I dischi non erano posti a contatto diretto con alcuna sostanza acidula o inumidita, ma come le altre pile a secco, in realtà esisteva un elettrolita, che era il collante utilizzato tra i fogli di carta e quelli di metallo. 
La carta manteneva i dischi di metallo isolati dall'elettrolita che non reagiva chimicamente, evitando di deteriorare la pila e consentendone il trasporto. 
Al Maffei è conservato, nello studio del preside, un orogogio elettrico del Zamboni che era alimentato con queste pile. Un pendolo verticale è sorretto da un perno, in mezzo al polo positivo e al polo elettrico negativo di due pile Zamboni, disposte in modo che una abbia davanti il polo elettrico opposto dell'altra. 
L'alternanza di attrazione e repulsione provocava l'oscillazione del pendolo. Dimenticate in Italia, le invenzioni di Zamboni furono sfruttate all'estero. «Una pila Zamboni fu costruita da scienziati inglesi», spiega Massimo Tinazzi, storico della scienza, «al Clarendon Laboratory dell'Oxford University: realizzata nel 1840, nel 1900 funzionava ancora». 
Le scoperte dell'abate veronese furono utili agli inglesi anche durante la seconda guerra mondiale. «La sua pila a secco si rivelò ideale», spiega ancora Tinazzi, «per alimentare i primi visori notturni portatili a raggi infrarossi, perché garantisce un'alta differenza di potenziale — 4.000/5.000 volt — ma con una corrente irrisoria». L'apparecchiatura si dimostrò efficace. Unico limite delle pile, soffrivano l'umidità.

Fonte, L'Arena

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