LA SVOLTA: DA CONTADINO A OPERAIO (4a parte)
[quarta parte]
LA SVOLTA EPOCALE NEL SOCIALE, DA CONTADINO AD OPERAIO.
La creazione di Porto Marghera accelerò il processo di urbanizzazione e di abbandono delle aree circostanti della laguna e della campagna. Molti contadini diventarono operai facendo ogni giorno in bicicletta il tragitto di andata e ritorno dalle campagne della bassa padovana o chioggiotte o sandonatesi.
In questa puntata sono particolarmente interessanti, agli occhi odierni, le vicende relative al Villaggio di Ca' Emiliani, dalla sua ideazione progettuale alla sua destinazione d'uso.
All'inizio del '900 l'individuo-lavoratore era considerato alla stregua dell'animale domestico, da tenere quasi incatenato nel recinto dell'orto. Le condizioni lavorative di allora, oggi sarebbero inimmaginabili, ci devono far meditare: stiamo scivolando verso questa deriva per l'arrivo di mano d'opera non qualificata, che per meno della metà del salario di un italiano regolarmente assunto, sarebbe disposto a tutto. Per il momento succede solo nelle campagne dove non servono specializzazioni particolari durante i lavori stagionali e i controlli sono minori rispetto una fabbrica.
L'industrializzazione di Marghera è stata fatta sulla pelle dei contadini che per fame si sono trasformati in operai. Hanno abbandonato il lavoro nei campi con la prospettiva di una paga e di una casa con le comodità di quelle cittadine (acqua corrente, riscaldamento a metano, servizi igienici in casa, allacciamento elettrico). Le loro morti, avvenute durante lo sviluppo del polo chimico più importante d'Europa e dopo l'agognata pensione, hanno continuato a sottolineare la tossicità di tutta Marghera.
All'inizio del '900 l'individuo-lavoratore era considerato alla stregua dell'animale domestico, da tenere quasi incatenato nel recinto dell'orto. Le condizioni lavorative di allora, oggi sarebbero inimmaginabili, ci devono far meditare: stiamo scivolando verso questa deriva per l'arrivo di mano d'opera non qualificata, che per meno della metà del salario di un italiano regolarmente assunto, sarebbe disposto a tutto. Per il momento succede solo nelle campagne dove non servono specializzazioni particolari durante i lavori stagionali e i controlli sono minori rispetto una fabbrica.
L'industrializzazione di Marghera è stata fatta sulla pelle dei contadini che per fame si sono trasformati in operai. Hanno abbandonato il lavoro nei campi con la prospettiva di una paga e di una casa con le comodità di quelle cittadine (acqua corrente, riscaldamento a metano, servizi igienici in casa, allacciamento elettrico). Le loro morti, avvenute durante lo sviluppo del polo chimico più importante d'Europa e dopo l'agognata pensione, hanno continuato a sottolineare la tossicità di tutta Marghera.
Gli ultimi anni della IIa guerra mondiale e la
mancanza del cibo
Nella primavera
del '43 il "Gazzettino" parlava di un "[…] sensibilissimo
miglioramento rispetto al primo e al secondo anno di guerra […]", ma era
lecito dubitarne.
Assieme alle
"trebbiature di guerra" e allo sfruttamento intensivo degli orti
improvvisati, (come i 25mila metri quadri nei pressi dell'Ospedale al mare per
la coltivazione di ricino e grano) le iniziative più “coreografiche” hanno riguardato
gli spazi antistanti alle grandi fabbriche dove “ogni zolla di terreno” tornava
ad essere coltivata.
Il quotidiano
veneziano riportava inoltre che “[…] a Marghera erano stati creati una
quarantina di centri di allevamento con animali da cortile, curati da gente
esperta com'erano senz'altro molti dei primi operai di Marghera […]”.
Sempre da Il
Gazzettino del 1941:
“[…] ogni
stabilimento aveva adibito all'uopo dei terreni talvolta di superficie non
troppo limitata e accanto alle industrie della Nazione in armi le stesse
maestranze nei brevi intervalli da un turno all'altro si dedicano a seminare i
campi, ad arare, ecc. L'ILVA (a Marghera) ha sistemato ad orto una parte del
terreno disponibile per coltivare verdure adatte per la mensa degli operai,
provvede inoltre all'allevamento di oltre cento conigli e di quattro suini che
vengono alimentati coi recuperi della stessa mensa operaia. La CITA ha seminato
a patate il terreno adiacente allo stabilimento e distribuirà il prodotto fra i
propri dipendenti. L'ERIDANIA utilizza una superficie di due ettari per la
coltura di patate e di legumi. La SAN MARCO ha fatto altrettanto e inizierà
quanto prima un allevamento di conigli e un pollaio; la TELVE a Mestre ha
esteso le colture ai pomodori e agli ortaggi in genere [...]. Altre società
hanno sviluppato anche l'allevamento delle api.
La Società
JUNGHANS alla Giudecca oltre all'allevamento di pollame ha provveduto
all'acquisto di dieci mucche per la distribuzione del latte alle famiglie più
bisognose del proprio personale [...]".
Le significative vicende di Ca’ Emiliani (1934 – 1974)
Merita raccontare
le vicende di un quartiere che nell’immaginario collettivo della terraferma
veneziana era sinonimo di degrado urbano e di piccola criminalità ma anche di
lotte politiche e sociali perché era spesso agli onori della cronaca.
Il villaggio di
Ca’ Emiliani sorse nel 1934, in località Rana all’estrema periferia del Comune
di Venezia, come villaggio di casette ultraeconomiche destinate agli sfrattati.
Il nucleo
originale delle “casette del Duce”, assieme a qualche casa agricola e a una
vecchia chiesetta, sorse ai margini delle barene ed era piuttosto distante dal centro
urbano di Marghera. Inizialmente il villaggio era composto da 44 casette a due
o tre vani, per 88 nuclei familiari; dopo sei anni (nel 1940) ne furono
costruite altre 12 alle quali, durante la guerra, vennero aggiunte venti baracche
in legno destinate agli sfollati dei bombardamenti.
In una relazione
del 7 novembre 1947, fatta dal rappresentante di zona Bruno Manetti ed inviata
al Ministero dei Lavori Pubblici, erano così descritte:
< […] sono costruzioni
fatte al risparmio, costituite da un piano terra con due alloggi abbinati, una
muratura fatta da forati di 8 cm, latrine esterne, fontanelle e lavatoi comuni,
uno spazio esterno di pertinenza destinato ad orto familiare. Il tetto manca di
isolamento ed il soffitto è costituito dalle tegole stesse che fanno da
copertura, i muri hanno infiltrazioni d’acqua se pioggia o neve sono trasversali
per il vento, come passano attraverso le tegole. L’umidità risaliva dalle
fondamenta e dal pavimento che erano fatti con una gettata di pochi centimetri
di cemento. >
Le baracche di Ca'Emiliani durante la Seconda Guerra Mondiale (sopra e sotto) |
Con la creazione della seconda zona industriale gli insediamenti arrivarono fino alle porte di Ca’Emiliani, ormai il villaggio confinava con l’ingresso del Petrolchimico.
Così i suoi
abitanti subirono per primi e direttamente sulla propria pelle le conseguenze dell’inquinamento
industriale, come vissero in prima linea le lotte sindacali e sociali che nascevano
all’ombra delle fabbriche. Celebre furono nell’agosto ‘70 lo sciopero dei
lavoratori di Marghera e la “battaglia di
Ca’ Emiliani” durata per giorni e divenuta famosa per le barricate e le scene
di guerriglia urbana, in cui i manifestanti ricevettero solidarietà ed aiuto
dagli abitanti di Ca’ Emiliani, tutti schierati a favore della lotta in corso.
Nel decennio del
dopoguerra, grazie al piano Fanfani e allo IACP, furono costruite altre case comunali,
tutte di iniziativa pubblica economico-popolare.
Si consolidò così
la caratterizzazione popolare ed operaia della zona.
Nel 1952, nella
prosecuzione della ghettizzazione dell’area e con l’edificazione di un gruppo
di case destinate ai profughi istriani e dalmati, avvenne la saldatura con il
nucleo urbano di Marghera.
La maggioranza
degli abitanti di Ca’ Emiliani trova impiego nelle vicine fabbriche, con lavori
saltuari soprattutto nelle imprese di subappalto, però molti per arrotondare i
salari vivevano di espedienti o addirittura di attività malavitose.
All’interno del
villaggio comandavano “i rossi” e naturalmente erano “vietati” i comizi dei
democristiani, anche se nel quartiere era forte l’influenza che aveva don Berna,
il parroco.
Innumerevoli sono
le storie, gli aneddoti di scontri, di rancori e di discriminazioni.
Chiesa di Sant'Antonio a Marghera |
Pure qui venne riproposto
il classico confronto-scontro tra Peppone e don Camillo, reso celebre dal
Guareschi.
Nel 1954 don Berna riuscì a raccogliere le somme necessarie per far innalzare la nuova chiesa, intitolata a Cristo Lavoratore, e come gesto di sfida la fece orientare verso le fabbriche, per ricordare che non erano solo portatrici di lavoro ma anche di pericolosi valori e principi atei e pagani. Arrivò a sfidare il PCI anche a livello di simbologie organizzando una sua festa del Primo Maggio, chiamandola “Festa Cristiana Del Lavoro”, per riunire idealmente operai e datori di lavoro.
Una delle ultime baracche originali di Ca'Emiliani prima di essere rase al suolo nel 1974 |
A seguito dell’alluvione del ‘66 una parte delle baracche di legno furono abbattute, mentre le rimanenti furono rase al suolo nel 1974 dopo che gli abitanti erano stati trasferiti negli appartamenti di una torre, la Cita, costruita in un’altra località di Marghera a ridosso della stazione ferroviaria, ben visibile in treno arrivando a Mestre.
La testimonianza di Maurizio Angelini fotografa lo stato
socio-politico ed economico di Ca’Emiliani in un post del 27/04/2014.
“ Negli anni
1965-66-67 (sono del 1945) ho fatto alcune delle mie più importanti esperienze
politiche a Ca'Emiliani. A un certo punto, con alcuni compagni prevalentemente
di AO (io ero del PSIUP) si è deciso quello che si chiamava un intervento
politico a Ca'Emiliani.
Cioè,
letteralmente, si è partiti da Mestre con la filovia nr.1, si è scesi al
capolinea, si è varcato il ponticello e si è "entrati" nel Villaggio.
Il ponticello era davvero un confine, da una parte il proletariato di fabbrica,
dall'altra il sottoproletariato, o più precisamente una fascia di lavoratori
precari (operai delle "imprese", donne che andavano a fare le pulizie
a Mestre e Marghera) e una quota non piccola che viveva di espedienti, qualcuno
che talora andava a rubacchiare, molti che andavano a "rumare" nelle discariche, e forse
un po' di prostituzione, ecc. Come si usava allora abbiamo fatto la nostra
brava inchiesta, ma non abbiamo solo fatto interviste e compilato questionari,
abbiamo parlato con e conosciuto decine di famiglie, soprattutto decine di
ragazzi un po' più piccoli di noi o nostri coetanei. E abbiamo scoperto, giusto
prima che uscisse "Lettera a una Professoressa", la natura di classe
della scuola italiana, censendo fra gli adulti ancora decine di analfabeti e
scoprendo fra i nostri coetanei che quasi tutti erano stati espulsi dalla scuola
subito dopo le elementari.
E abbiamo
trovato ancora persone che vivevano in sei - sette in due stanze, che avevano
l'acqua alla fontana, che erano appena usciti dal sanatorio ecc. Quindi ci
siamo trovati in imbarazzo, perché da una parte proponevamo alla gente di lottare
per la casa, ma poi ci trovavamo a fare doposcuola e talora, un po'
vergognandoci, arrivavamo con borsoni di vestiti a chi era vestito davvero
male, ma non come noi che ci travestivamo da proletari, da TUTTO per l'OPERAIO,
ma male perché avevano solo roba vecchia e si passavano scarpe e cappotti da
fratello a fratello. Ricordo che per un anno eravamo in concorrenza con un
gruppo caritativo di altri studenti di Mestre, tutti cattolicissimi, si
chiamava il GRUPPO del MARTEDI' (c'erano anche alcuni futuri
ambientalisti-spontaneisti-rivoluzionari), noi li criticavamo aspramente
accusandoli di fare solo carità, ma poi un po' di carità la abbiamo fatta anche
noi; poi, dopo il 68, quelli del Martedì, in tre mesi, ci hanno scavalcato a
sinistra, sono diventati quasi tutti di LC.
Abbiamo organizzato – sempre in quegli anni – una vera e propria occupazione del Consiglio Comunale a Venezia, andando in una cinquantina a Ca' Farsetti, con almeno una trentina di ragazzi, soprattutto, di Ca'Emiliani e lì Favaretto Fisca Sindaco ha promesso che sarebbero ripresi i lavori del CEP di Campalto (oggi Villaggio Laguna); effettivamente molti dei nostri amici sono andati poi a vivere lì. Quella sera siamo andati a Venezia prendendo prima il nr. 1 poi il nr. 6, alcuni dei nostri compagni di Ca' Emiliani a Venezia non c'erano mai stati. Al ritorno eravamo gasati e non solo per le promesse ricevute ma perché ai nostri compagni di Ca' Emiliani sembrava fosse una delle prime volte che li avevano ascoltati, Favaretto Fisca si era rivolto proprio a loro: non si sentivano trattati con il fastidio o il malcelato timore che si riserva ai poveri che si incazzano. E a noi giovani studenti piccolo borghesi o figli dell'aristocrazia operaia ci sembrava di avere svegliato le masse, ma non avevamo nessuna capacità di guidarle o velleità di comandarle, ci stavamo proprio bene assieme.”
Abbiamo organizzato – sempre in quegli anni – una vera e propria occupazione del Consiglio Comunale a Venezia, andando in una cinquantina a Ca' Farsetti, con almeno una trentina di ragazzi, soprattutto, di Ca'Emiliani e lì Favaretto Fisca Sindaco ha promesso che sarebbero ripresi i lavori del CEP di Campalto (oggi Villaggio Laguna); effettivamente molti dei nostri amici sono andati poi a vivere lì. Quella sera siamo andati a Venezia prendendo prima il nr. 1 poi il nr. 6, alcuni dei nostri compagni di Ca' Emiliani a Venezia non c'erano mai stati. Al ritorno eravamo gasati e non solo per le promesse ricevute ma perché ai nostri compagni di Ca' Emiliani sembrava fosse una delle prime volte che li avevano ascoltati, Favaretto Fisca si era rivolto proprio a loro: non si sentivano trattati con il fastidio o il malcelato timore che si riserva ai poveri che si incazzano. E a noi giovani studenti piccolo borghesi o figli dell'aristocrazia operaia ci sembrava di avere svegliato le masse, ma non avevamo nessuna capacità di guidarle o velleità di comandarle, ci stavamo proprio bene assieme.”
[fine quarta puntata]
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