ANGELO QUERINI E LE RIFORME MANCATE DELLA REPUBBLICA



Una delle figure illustri del Settecento veneto fu certamente Angelo Querini, di casato veneziano nobile e antico, che cercava assieme al gruppo dei "novatori" di cambiare le istituzioni del governo in senso moderno e aperto finalmente alle forze della nobiltà e della borghesia dell'Entroterra. Era logico che egli fosse un seguace delle nuove idee che circolavano in Europa ma ben presto il partito dei conservatori lo bloccò e fu persino arrestato. Prendo qualche riga dall'enciclopedia Treccani,per descrivere la sua vicenda. Venezia era irriformabile e la sua fine, alla prima tempesta forte, sarà inevitabile. 
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Inquietudini e velleità di riforma a Venezia nel 1761-62 e Un riformatore mancato: Angelo Querini, i titoli di questi due saggi scritti da Bozzola e Brunelli Bonetti esprimono con grande efficacia i caratteri salienti (desiderio o velleità di riforma, impotenza e fallimento della riforma) della correzione di Angelo Querini nel 1761-1762 (77). Verso il 1761 attorno al Querini, una figura, nota Venturi, "non facile da penetrare e spesso contraddittoria", che "partiva cioè dalla tradizione aristocratica per aprirsi, con un ritmo e per vie che vorremmo conoscere meglio, alle idee dell'Europa dei lumi", si coagula una sorta di "partito", dai contorni non ben definiti, di patrizi innovatori: difende le quarantie e attacca l'arbitrio, il dispotismo, la segretezza del rito del consiglio dei dieci e degli inquisitori di stato. Dopo il suo improvviso arresto, il 12 agosto 1761, Querini, che nel 1758 era stato eletto avogadore di comun, scompare dalla scena politica: di lì a qualche tempo, liberato, riprende una vita appartata e priva di rilievo politico, nella quale spazio crescente assumono le aperture al mondo dei lumi d'Oltralpe, testimoniate tra l'altro da un celebre viaggio in Svizzera per incontrare Voltaire. 
All'arresto seguono il boicottaggio, da parte dei giovani patrizi quarantiotti, delle elezioni del consiglio dei dieci, la nomina di cinque correttori, un lungo e vivacissimo dibattito sul ruolo e i limiti dei poteri degli inquisitori di stato e soprattutto sulla saggezza e sull'arbitrio delle loro procedure giudiziarie: alla fine i conservatori, che hanno in Marco Foscarini uno dei leaders più autorevoli, trionfano senza riserve, tra la gioia non dissimulata dei borghesi e del popolo minuto, timorosi che una riforma in senso anti-oligarchico degli inquisitori di stato faccia sparire quest'organo giudiziario, tremendo e segreto, ma efficace nel tenere a freno gli eccessi della nobiltà (79): a sentire Nicolò Balbi il "minuto popolo [...] tremava al solo pensiero che tentar si potesse la benché minima innovazione del governo".
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Querini si occupò anche di innovazioni in campo agricolo, nella sua nuova villa di Altichiero di Padova oggi perduta ed ebbe certamente agganci e simpatie massoniche tanto che simboli riferentesi alla massoneria (obelischi e piramidi) li troviamo sia in Prato della Valle che nel suo palazzetto costruito nella stessa piazza da lui realizzata in pochissimo tempo per gran parte a sue spese. 
Spirito eccentrico,volle farsi seppellire nella stessa tomba di una sua amante, nota per la vita sentimentale turbolenta e libera.

Sul suo arresto potete leggere qui: -l'arresto-di-angelo-querini.

Commenti

  1. Angelo Querini incarnò la crisi del Patriziato Veneto interpretando al peggio il proprio ruolo istituzionale. I suoi contrasti con gli Inquisitori di Stato (da lui spacciati come esigenza di libertà e anticonformismo) si dovevano solo al fatto che quella magistratura difendeva la legalità nella Repubblica, mentre lui sognava la rivoluzione, che alla fine arrivò, anche per merito di quelli che la pensavano come lui.
    Nel 1758 fu eletto all’Avogaria di Comun, che lui gestiva come una podestà tribunizia, e da allora crescono i contrasti con gli Inquisitori, specie quando lo obbligarono a ritirare alcuni suoi ricorsi. Addirittura Querini si accusava l’un contro l’altro Avogadore Alvise Zen, minacciando di incrinare il decoro della Repubblica. Tanto si spacciava eroe della libertà, tanto ingiusti erano i suoi interventi: per compiacere una dama che conviveva a Brescia con il Rettore Cappello, mise al bando una povera sarta del cui lavoro la dama si era lamentata, ma gli Inquisitori la riconobbero innocente e revocarono il bando.
    Il sospetto che fosse portatore di idee liberali era accompagnato a quello di aver aderito alla massoneria, idea che sarà confermata dal ritrovamento nel 1785 del suo nome negli elenchi dei cospiratori affiliati alla Loggia massonica di Rio Marin, dove compare il suo nome.
    Questi “novatori”, come si chiamavano allora gli Illuministi, fingendo di lottare contro una fantomatica “oligarchia”, prepareranno invece la strada alla Rivoluzione Francese, che concentrerà tutto il potere a pochi autocrati, invisi al popolo.
    Fu perciò emanato un ordine di arresto, eseguito nella notte tra il 12 e il 13 agosto 1761 nel casin di S. Moisè, che costituiva l’abituale abitazione di Querini; quindi, fu sollecitamente tradotto al castello di Verona.
    L’attivismo dei parenti di Querini in favore del congiunto e il più generale malcontento di vasti settori della nobiltà veneziana si manifestarono nella seduta del Maggior Consiglio del 23 agosto 1761, in cui non si riuscì a eleggere nessun membro del Consiglio dei dieci. Questa protesta preludeva all’elezione di cinque correttori, che avrebbero dovuto proporre al Maggior Consiglio una riforma del Consiglio dei dieci.
    Finì con la sconfitta politica di Querini e ciò impedì la sua immediata liberazione, ma il clima relativamente tranquillo della vita pubblica veneziana dopo la fine della Correzione favorì, nell’ottobre del 1763, la sua liberazione da parte di nuovi inquisitori di Stato che consideravano oramai superati i timori dei loro predecessori.
    La maggior parte dei suoi ultimi anni, però, Querini li trascorse nella sua villa di Altichiero, presso Padova. La villa, non sontuosa, ma abbellita da un giardino attentamente curato secondo le istruzioni dello stesso Querini (che ebbe altresì modo di compiere ad Altichiero interessanti esperimenti agronomici), conteneva stampe, busti, rappresentazioni allegoriche, che esprimevano sia l’amore del patrizio per l’arte antica, sia una complessa simbologia illuministica e massonica.

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