IL VENETO DI UNA VOLTA, LE RADICI (£E RAIXE NOSTRE)



Il Veneto di una volta, che, mi spiace per la Kyenge e la Boldrini, non apparterrà mai ai nuovi “italiani”: quello dei paesi col parroco alla Don Camillo, i matrimoni sulle aie, con il suonatore di fisarmonica e la gente che balla allegra, mentre qualche vecchia del paese si abbuffa vittima della propria fame antica.

Mi mancano le osterie piene di fumo dove si tirava pure qualche bestemmia e ci si scazzottava, ma poi si andava in chiesa ogni domenica mattina con la camicia bianca stirata e il vestito buono; ci si scazzottava per antiche antipatie o per le vecchie storie della guerra, tra neri e rossi, ma se uno era in difficoltà tutti lo aiutavano perché del Vangelo magari si parlava poco, ma lo si praticava ogni giorno nei momenti difficili.

Avevamo un parroco del bellunese, don Gino, con delle mani enormi in un corpo massiccio, che calavano implacabili sulla tua testolina, se stonavi nel coro, apparentemente timido ma dal carattere di acciaio. Fu lui che costruì, certo con l'aiuto dei parrocchiani, la nuova chiesa di San Lazzaro di Padova, ma commise anche l'errore di abbandonare la vecchia, che era stata l'antica cappella del lazzaretto degli appestati, una bomboniera del Settecento che sarebbe stata adatta almeno ai matrimoni. 

Ma erano tempi così, in cui la campagna veneta, abbracciando la modernità, anche nelle nuove chiese, cercava di seppellire la fame atavica, gli stenti, la pellagra che aveva costretto tanti ad emigrare.. .

Venezia era un sogno lontano, ma ci si sentiva comunque parte di quel sogno, era la nostra Venezia e per qualche coppia più povera era ancora la meta del viaggio di nozze, dal profondo Veneto alla gondola sotto il Rialto, per la foto di rito, da esporre sotto vetro per il resto della vita, nel tinello tirato a lustro.

Ebbene, quelle sono le “nostre” radici, sono nostre e non possono essere di nessun altro, non perché siamo cattivi ed egoisti, ma perché ogni pianta ha le sue e non può dividerle con altre piante.

E’ nell’ordine naturale delle cose, non si può condividerle, le radici, per decreto ministeriale, si fa una cosa cattiva se si forza la natura, e nascono problemi di rigetto, che possono essere molto forti. 

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