AUTONOMIA DEL VENETO: “MOLTO RUMORE PER NULLA”.


Una filosofia per l'indipendenza dei popoli

AUTONOMIA DEL VENETO: “MOLTO RUMORE PER NULLA”.
Di Nicola Busin

La commedia teatrale “Molto rumore per nulla” (Much Ado About Nothing) di William Shakespeare, ben si presta alla vicenda dell’autonomia del Veneto, perché a questo punto è assolutamente necessario fare un’analisi della situazione dato il carattere da tragicommedia di quanto accaduto.

Una premessa è opportuna per non dare adito a condizionamenti politici su quanto più avanti si dirà e cioè che siamo convinti della buona fede vuoi del governatore Zaia vuoi del ministro Stefani. Difatti nella conferenza di lunedì 22 ottobre apparivano entrambi mogi, avviliti, scontenti per la piega presa della tanto agognata autonomia.

Sta di fatto che dopo le tante dichiarazioni sull’intesa tra il governo romano e i veneti con approvazione dell’accordo storico ad un anno dal referendum, la nostra autonomia appare senza vie d’uscita: non ci sono più date, forse entro la fine della legislatura, perché il governo evidenzia sensibilità diverse, hanno detto.

In realtà stiamo vivendo l’ennesimo triste copione di tante altre volte, i politici veneti incapaci di trovare le giuste formule ed equilibri per smuovere il pachiderma romano, incapaci di gridare a squarciagola che così non va, che non è possibile prendere in giro milioni di veneti che con il loro voto plebiscitario hanno chiesto maggiore capacità di autogoverno. Ed è proprio questa la questione di fondo, la capacità di autogoverno del territorio, di efficienza e risparmio nella gestione dei servizi, la capacità di creare impresa nonostante una asfissiante burocrazia e un fisco oppressivo.

Non è certo quello intrapreso dai governi romani il giusto percorso per rendere liberi i cittadini, non è possibile scaricare le incapacità di altri sempre e solo sulle spalle dei soliti. I veneti sono stanchi di pagare con il proprio lavoro le palesi inefficienze di grandi aree, l’assurdo numero di dipendenti pubblici doppi e anche di più rispetto ai pari occupati in Veneto, gli sprechi nella sanità, l’improponibile numero di invalidi, le tante assenze per malattia, e chi più ne ha più ne metta.

L’Italia poteva essere una bella idea, tanti popoli uniti in fratellanza, tantissime opere artistiche, paesaggi incantevoli. Purtroppo è diventata un inferno, una classe dirigente al sud che non è riuscita a far sviluppare la propria economia, il livello di sicurezza dei cittadini, a sanare le inefficienze palesi. Ed ora anziché intraprendere un percorso virtuoso si pensa al reddito di cittadinanza che starà come sempre in gran parte a gravare sulle spalle dei veneti dato che in questa regione il tasso di disoccupazione è il più basso di questa disarmonica repubblica.

Fa più notizia nella stampa italiana un manipolo di personaggi del meridione che ha attivato una petizione online perché vuole bloccare la proposta di autonomia rispetto a milioni di veneti che il 22 ottobre 2017 si sono recati in massa sotto scrosciante pioggia a votare un referendum. Ed è proprio questo il termine della questione: il significato di democrazia, di libertà, perché uno stato democratico non può procrastinare una decisione plebiscitaria presa da un popolo: diventa un modo per calpestare milioni di cittadini che tanto danno a questo stato, ricevendo poco in cambio.

In tanti continuiamo a sostenere che l’autonomia del Veneto è una grande occasione per avviare lo stato italiano verso un processo di cambiamento profondo, uno stato in cui i politici che rappresentano i tanti territori siano responsabilizzati, in cui anche le varie popolazioni siano coscienti che non è possibile solo e sempre chiedere incentivi, aiuti, elargizioni perché così si va verso la catastrofe economica e sociale.

In questi giorni di preparazione del nuovo documento di economia e finanzia dello stato ci rendiamo conto quanto lontano siano le condizioni tra le varie aree, con i veneti saldamente ancorati allo sviluppo economico, senza alcun problema per rispettare tutte le regole imposte dall’Unione Europea, anzi: per noi l’Europa rimane e rimarrà una opportunità a differenza dello stato italiano che rimane e rimarrà un tragico problema.

Il sud che non riesce ad avere un qualsiasi anelito di sviluppo e continuando così sarà la causa del dissesto finanziario di tutta l’Italia. Nonostante questo sono in tanti in quei territori ancora a piangere l’espropriazione delle industrie da parte dei savoia dopo la forzata annessione al regno: sono passati più di 150 anni, sono arrivati vagoni di miliardi, ci vuole forza e coraggio e la capacità di rimboccarsi le maniche. Il risultato è che i giovani di buona volontà stanno lasciando a malincuore quelle terre, destinate quindi al progressivo spopolamento, per cercare una occupazione dignitosa, per cercare di dare un senso alla propria vita e che non sia un reddito di cittadinanza. Le intelligenze non mancano, manca in gran parte il senso di responsabilità, la capacità di camminare con le proprie gambe, manca la volontà dello stato come scrive il prof. Marco Bassani di “produrre un risorgimento sociale di quelle terre, ormai devastate dai soldi del nord, la vera e unica causa della povertà del sud”.
Ed ecco allora che l’autonomia del Veneto, anche finanziaria, potrà produrre una rinascita del meridione, posto finalmente di fronte alle proprie responsabilità con una nuova classe politica e dirigente che crei un solido sviluppo economico.

Molti veneti, forse più attenti, non riescono comunque a capacitarsi di questo silenzio imposto dalla politica dei palazzi regionali all’autonomia del Veneto. Prima il governatore Zaia incita le piazze, poi si ritira nel silenzio più assordante. L’ incapacità di tessere rapporti politici a livello nazionale porta a queste conseguenze, l’oblio, il nulla di fatto, il popolo veneto non è una priorità.

A questo punto la Liga non appare più il partito capace di dare voce alle istanze dei veneti: la politica locale ha scelto il rispetto delle decisioni del partito della Lega italiana. Appare tutto un grande imbroglio e si sa, non solo i nodi vengono al pettine.

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