TOMASUTTI RISPONDE A MARZO MAGNO SU VENEZIA "SCHIAVISTA"



Io non sono un accademico, né uno storico di professione, ma leggo molto di storia, e mi pare che Alessandro Alberto Magno ami recitare la parte di un Daru moderno, intento a demolire con personali interpretazioni l'enorme lascito spirituale  della civiltà veneta. Alessandro Magno sottolinea come anche Venezia avesse praticato lo schiavismo: gli risponde, in maniera efficace, in una lettera (che ho avuto il modo di leggere)  a "Il Gazzettino, ma in punta di fioretto (cosa che non sarebbe nelle mie corde ) il Dott. Massimo Tomasutti, storico anche lui. 

Gentile IL GAZZETTINO
Gentile Direttore,
Gentile Cronista,


Forse, spero, non sarà qui fuori luogo una breve puntualizzazione storica che spenda qualche parola sull'interessante contributo culturale offerto sul giornale dallo storico Alessandro Marzo Magno a proposito degli "schiavi" nell'antica Serenissima ("Veneziani con la pelle nera"). 
Che la civiltà veneziana non rifiutasse alcuna esperienza, come fu anche il commercio degli schiavi, ma che le passasse tutte al vaglio del proprio spirito particolarmente pragmatico, realistico, limpido e spregiudicato al tempo stesso, e perciò quasi immune da "medievalismo" e con precoci caratteri di modernità, è una costante storica ormai completamente acquisita dalla migliore storiografia, ma che, tuttavia, non emerge del tutto nel pur preparato Marzo Magno.
Ed è – credo -, in questa chiave interpretativa che andrebbe considerata, penso, l’intera questione dei “serenissimi schiavisti”. Una delle sue espressioni fu proprio quel decreto dogale, ricordato da Marzo Magno, del 960 (e non del 906) emanato da Pietro IV Candiano. Decreto che non solo vietava il commercio degli schiavi cristiani ma ne estendeva, contemporaneamente, la sfera territoriale d’applicazione per delle finalità sostanzialmente politiche (Roberto Cessi). Vero che esso non impedì, nel corso del tempo, il commercio veneziano di queste anime ma, tuttavia, andrebbe anche riconosciuto che fu uno dei primi provvedimenti (se non, forse, il primo) ‘abolitivi’, pur parziale e poi disatteso, presi nella storia dell’umanità in tale direzione da una entità statuale (ed eravamo nel 960 d. C.!). 
Per giudicare poi obiettivamente il comportamento dei veneziani del tempo, ancorché continuassero a commerciare schiavi, converrebbe abbandonare l’abito mentale medievalistico-europeo col quale, ancora oggi, molti storici vedono la questione in oggetto. Fino agli inizi del Quattrocento, Venezia non fu una città-stato propriamente “europea”: non la si comprende se non si ha sempre presente che antropologicamente era la Capitale di un impero propriamente marittimo e dove il “trafego” globalmente inteso, quindi anche di persone, era il paradigma stesso della Ragion di Stato veneziana a cui tutto il resto doveva conformarsi.
E, infine, sono da ricordare alcuni particolari cui Marzo Magno ha solo velocemente accennato. Nella Serenissima la schiavitù era quasi esclusivamente di natura domestica presso le case patrizie. Il che significava che la condizione dello “schiavo/a” veneziano/a era assai più confortevole di quella, ad esempio, dei tanti poveri “villani” che periodicamente calavano in città e che non potevano certo contare né sulle comodità né sulla benevolenza che i patrizi generalmente accordavano ai propri ‘moretti’. E cosa niente affatto marginale, gli schiavi e/o le schiave che servivano presso il patriziato veneziano potevano contare quasi sempre su un cospicuo lascito testamentario che concludeva – e assai felicemente, bisogna dire -, la loro condizione di schiavitù. Erano ben altro, dunque, che dei semplici e gretti ‘serenissimi schiavisti’ i veneziani del tempo! 

Dott. Massimo Tomasutti              

Commenti

  1. Doverosa puntualizzazione!
    Aggiungerei 2 particolari:
    1- il 960 era quasi il bicentenario della fondazione di Venezia, l'inizio del periodo espansionistico, e quindi il momento dello sviluppo dello stato. In quei momenti gli stati sono tutto meno che "democratici", nel senso che i diritti civili sono l'ultima Delle preoccupazioni dei governanti. Il fatto di aver messo in dubbio lo schiavismo proprio in quel particolare frangente della storia di Venezia non fa altro che aggiungere onore al doge del tempo.
    2 - ho letto che Venezia non ha mai imbarcato in regime di schiavitù come rematori sulle sue galee da guerra dei prigionieri di guerra o altri uomini. i rematori erano tutti uomini viventi sui territori veneziani, pagati per la bisogna. Non so se sia vero, ma se lo è, aggiungerebbe altro onore a Venezia.

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    1. Grazie, a proposito dei "buonavoglia", questo era il termine con cui si indicavano i rematori professionisti, furono per necessità sostituiti pian piano, da giovani di leva (ogni territorio doveva fornire un certo quantitativo di braccia) per brevi periodi, e da condannati al remo delle galee, per questo chiamati "galeotti".Fu per necessità dato che migliorando le condizioni economiche dei sudditi, si faticava sempre più a trovare braccia sufficienti per la bisogna. Sia per il naviglio commerciale che per la flotta militare. Le condanne, a differenza di altri stati italiani, non dovevano superare i 12 anni.

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