MESSER GRANDO, LA STATUA E LA MINACCIA DELL'ESILIO AL GRIMANI

NARRA la tradizione popolare veneziana che quando un Grimani tentò di vendere la statua romana che troneggiava nell'ingresso del suo palazzo, comparisse Messer Grando, il temibile funzionario del Consiglio dei X, a minacciarlo d'esilio. In realtà le cose non andarono così, ma la leggenda è il riflesso dell'amore grandissimo dei veneziani di un tempo (e credo anche dei pochi superstiti di oggi)  per l'immenso, unico e inestimabile patrimonio artistico della città. Ricordo i restauri a spese del governo veneto,  ad esempio, dei capolavori della pittura conservati nelle chiese, o la biblioteca pubblica ricca di volumi antichi e preziosi, poi saccheggiata da Napoleone.  Godetevi l'aneddoto tra leggenda  e realtà, che riprendo dal sito Venezia in 1 minuto, certo che vi piacerà.


Sior Marco Agrippa

In un cortile interno del Museo Archeologico di Venezia, in Piazza San Marco, all’altezza del numero civico 17 si può ammirare sul fondo del colonnato la statua classica di Marco Agrippa, ammiraglio dell’imperatore Augusto, che originariamente si trovava sul Pantheon di Roma (che da lui fu fatto costruire). La statua, che fu portata a Venezia attorno alla metà del ‘500, ornò per secoli il peristilio di Palazzo Grimani a Santa Maria Formosa. Su questo colosso esiste un curiosissimo aneddoto.
Il Diciottesimo secolo volgeva al termine, ed erano dunque gli ultimi tempi della Repubblica. I Grimani, allettati da una offerta particolarmente generosa giunta dalla Francia, decisero di vendere la statua di Marco Agrippa, ritenuta ormai d’ingombro per l’atrio del loro palazzo.
La mattina della spedizione è tutto pronto: la barca è sulla riva, facchini e trasportatori si stanno accingendo al compito non semplice di caricarvi il colosso; c’è frenesia nell’aria, tutti sono impegnati a fare in modo che tutto vada per il meglio; ognuno è concentrato sui propri compiti. A qualcuno tra i servitori di casa non sfugge però una cosa: sulla panca d’androne, riservata normalmente al popolino, ai questuanti o a chi avesse richieste particolari (con attese destinate a durare anche ore) sta seduto Cristofolo Cristofoli, fante degli Inquisitori di Stato, bardato con le vesti che il suo uffizio richiede.
La tensione si stempera, si fa spazio una cupa preoccupazione: nell’androne cade il silenzio. Qualcuno corre ai piani superiori, avvisa che qualcosa non quadra, che qualcuno – tra i nobili signori – scenda a vedere cosa succede. Al padrone di casa che scende lo scalone e che si scusa col Cristofoli per non esser sceso prima ad accoglierlo, pur essendo la sua una visita inattesa, l’uomo non risponde. In compenso si alza, va davanti alla statua, e col berretto in mano proferisce queste parole: “El supremo Tribunal dei Inquisitori, avendo sentìo che ela, sior Marco, vol andar via de sta cità, el me manda per augurarghe un bon viazo a ela e a so zelenza Grimani”.
Il Grimani è raggelato; le parole di Cristofoli non lasciano spazio a dubbi: la Serenissima non intende far passare in mani straniere le glorie artistiche presenti sul territorio della Signoria, e anzi minaccia neanche tanto velatamente di punirlo con l’esilio. Alla nobile famiglia di Santa Maria Formosa non rimane che far partire la barca, vuota, revocando sui due piedi il contratto e lasciando la statua di Agrippa al suo posto.

La verità storica è un po’ diversa: la statua era già formalmente stata donata dai Grimani alla Repubblica, già nel Cinquecento, e Michele Grimani, nella seconda metà dell’Ottocento, cercò di venderla sottobanco, rinunciando poi all’affare per la sollevazione dei veneziani e cedendola definitivamente al Comune, che la offrì - e la offre - in concessione al Museo Archeologico.

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