LE LIBERE DONNE VENETE COL PALLINO DEGLI AFFARI.

ritratto di donna di Bartolomeo Veneto e dico donna.. in genere, pare che questo fosse il ritratto di Lucrezia Borgia, ma a me piaceva l'immagine, abbiate pazienza.

Dall’Archivio di Stato esposti a Ca’ Pesaro preziosi documenti che raccontano le storie di imprenditoria al femminile nel Medioevo in una mostra 2012

di Silvia Menetto

Altro che quote rosa! Talvolta il passato ci apre inaspettate chiavi di lettura sul presente, solo a saperlo leggere.
A Venezia ci fu un tempo in cui le donne avevano in mano la gestione dell’economia domestica e non solo. E questo proprio nei secoli più bui del Medioevo. Venezia, città singolare, non conobbe il feudalesimo e ci rimanda immagini di donne che hanno avuto fin prima dell’anno Mille capacità giuridica e quindi capacità di agire, di decidere della loro dote e del loro destino, chiudendo affari, stringendo patti commerciali e facendosi rispettare da tutti. Sono mogli, sorelle, dogaresse o semplici “strazarole” con bottega a Rialto, vedove di mercanti, artigiani, marinai; donne che hanno coscienza di sé, sanno quali sono i loro diritti e i loro doveri e sanno che lo Stato fornisce gli strumenti giuridici per tutelarle.
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1783 ritratto di una regatante
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L’archivista Alessandra Schiavon, assieme a Chiara Scarpa, le ha cercate, inseguite e studiate tra le preziose pergamene e i documenti conservati a Venezia presso l’Archivio di Stato ai Frari, fino a riunirle idealmente in un’unica grande squadra, quella delle “Donne di Venezia”. Le storie di una trentina di queste donne del Medioevo, straordinariamente moderne ai nostri occhi, sono raccolte nella singolare mostra documentaria ospitata fino al primo aprile a Ca’ Pesaro, nell’ambito della manifestazione “Donne a Venezia” organizzata dal Comune.

Rosalba Carriera, famosa pittrice
I fogli di pergamena vergati e a mano ci narrano di Penelda (1039) che resta vedova e subentra al marito nell’attività commerciale, dando a nolo un’àncora; oppure di Agnese (1220) che fa un prestito al figlio per i suoi commerci in mare, ma lo vincola a restituirle l’intera somma più i ¾ del guadagno al ritorno della missione. Uno spaccato della società tra alto e basso Medioevo che ci mostra come in Venezia, città internazionale al centro dei commerci mediterranei, la presenza degli uomini è discontinua, intervallata dai molti viaggi per mare, e le donne devono prendere in mano la situazione e gestire gli interessi familiari.

Riguarda una donna anche il più antico documento conservato all’Archivio di Stato: viene da Trieste, data 26 aprile 847. Maru, “ancilla Dei”, è malata e dispone davanti ad un notaio un lascito di 55 ceste di olive ai monaci della chiesa di S. Maria di Sesto in sylvis perché preghino per la sua anima e invoca la maledizione divina su fratello e nipoti se impugneranno il testamento.

Pezzo forte della mostra la pergamena che documenta la vittoria in tribunale di Fantina Polo. Il 13 luglio 1366 la donna si presenta davanti ai giudici per chiedere la restituzione dei preziosissimi beni che il padre, il celeberrimo Marco Polo, le aveva lasciato in eredità e di cui il marito Marco Bragadin si era impadronito. Ormai è vedova Fantina, e avanti negli anni: chiede giustizia e rivuole i tessuti preziosi del Chatai, il ”drapo de seda a stranii animali” (probabilmente draghi), i gioielli e le pietre preziose che il padre aveva portato dall’Oriente. I giudici le danno ragione e obbligano i due amministratori dell’eredità di Bragadin a rifondere a Fantina persino le spese processuali.
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Veronese, ritratto di dama con cane
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«Ma quello che commuove di più sono i documenti in cui le donne ottengono giustizia per episodi che le vedono vittime di violenza - conclude Alessandra Schiavon - come Biancofiore (1312), che scappa di casa dopo che il marito l’ha violentemente picchiata e ha poi la forza di trascinarlo davanti al notaio perché si impegni a non picchiarla più. Oppure Francesca da Feltre, apprendista tessitrice, che accetta l’ospitalità a Venezia di un falso zio che la accoglie in casa ma poi approfitta di lei. I giudici credono alla buona fede della ragazza e condannano l’uomo a tre mesi di carcere. Siamo nel 1339. Magari il mondo oggi girasse così!»


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